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27 ott 2023

IL METAL NON RIDE - IX. HELLOWEEN E "HAPPY METAL", CI E' ANDATA BENE!

 


Al di fuori del vero metal parodistico stanno altre realtà, che non vogliono parodiare, irridere, o compiacersi con autoironia di quello che siamo. Semplicemente scherzare, perché il lato ridicolo della bellezza non ne guasta il valore e l'impatto, e anzi dà a volte un tocco di colore.

Insomma, un metal “pride”, se – come accade nei vari pridesi carica e si ostenta la parte più risibile del fenomeno. Da notare come questo accada appunto quando a quel fenomeno si vuole rivendicare con orgoglio l'appartenza (pride). Lo spirito di un pride sarebbe quello di dire: noi rivendichiamo gioiosamente, in maniera plateale e visibilissima, il nostro diritto ad esserci e contemporaneamente vi poniamo la nostra esistenza in maniera circense, non ingenua ma innocua

L'opposto, insomma, di una parata militare, nella quale anche i più scalcinati eserciti fanno i seri su trabiccoli di cartapesta.

Fu coniato, con la nuova ondata power degli anni '90, il termine “happy metal”. Il metal che era rimasto in piedi dopo la crisi di metà anni '90 era un metal cupo, incazzoso, involuto apparentemente, o comunque contorto e tormentato. Il nu-metal era un fenomeno alternativo, ma i toni erano sempre cupi. Per giunta, cresceva senza ormai controllo il black metal, una deriva oscura tanto benvenuta quanto inattesa. Gli anni bui del metal.

Ad un certo punto forse qualcuno si ricorda che erano esistiti gli Helloween (il termine happy metal infatti è usato per indicare quell'idea originale di metal “allegro”). Il power se lo ricordavano tutti e infatti qualche sparuto gruppo ricominciava a venire a galla, unendosi ai pochissimi strenui difensori. Ma se la forza e la grinta erano facili da riprodurre, mancava quell'ingrediente solare, scoppiettante. Il "Dr. Stein" degli Helloween, che nel suo laboratorio crea mostriciattoli e li scatena poi nel mondo fuori, I metal-criceti, come si definiscono gioiosamente, descrivendo quella foga e quell'entusiasmo cieco e frenetico che anima il pubblico metal. Gli Helloween erano soliti usare come icona la zucca, la inseriscono nel logo e divennero loro stessi personaggi da fumetto, con le teste a zucca, fino a “Live in the UK” (1989). Il percorso degli Helloween vede un loro esordio con una componente oscura appena accennata, ma subito abbandonata in favore di un sentimento di commozione per il mondo. In verità, forse vi erano due anime: quella di Hansen, epica e tagliente, e quella degli altri, ben recepita da chi poi lo sostituì (Kiske), più vellutata e ariosa. Poi vollero tentare il metal da salotto: a partire dalla composizione fotografica studiata, dall'umorismo sobrio e garbato, e da quella sfumatura “neutralizzante” che permea tutto il riffing e i cori. Un metal elegante e a tratti sorprendente per l'efficacia melodica che avrebbe meritato anche più riscontro ma non andava rivolto al pubblico metal di allora. I metallari, stanchi forse di gruppi che si ammorbidivano, così recepirono l'evoluzione, e li scaricarono gradualmente.

In un film con Tomas Milian gli viene rubata una valigetta piena di soldi che qualcuno sostituisce con della carta igienica. Per risalire all'autore del furto, il nostro eroe ripercorre tutti i luoghi in cui è passato ed esamina la carta igienica: da un bar in cui al posto dei rotoli c'è la carta di giornale ("Maledetti intellettuali!") fino a un bordello in cui ci sono i rotoli di carta igienica, ma rosa ("Nnamo va! Annamo a trovà gente che c'ha r culo meno sofisticato!"). Ecco, gli Helloween dettero un po' quest'impressione, di volerci far trovare l'equivalente musicale della carta igienica rosa, dove avrebbero potuto usare quella normale, bianca, ruvida.

E così, dal 1991 al 1998 gli Helloween attraversano fasi di transizione...con Chameleon (1993) che viene accolto con un entusiasmo tipo Scusa, avevi detto qualcosa? e la successiva annunciata esplosione della formazione. Kiske getta la maschera e si dichiara dall'inizio un'infiltrato al servizio dell'ideologia della carta igienica rosa, con dichiarazioni in cui afferma di essere distante dal gusto metal, di non essersi mai integrato negli Helloween. Molto più probabile la versione di Weikath, secondo il quale Kiske prese altre direzioni di gusto e progettualità.

Per la verità poi, l'anima “Kiske” non era tanto quella scherzosa e goliardica, che probabilmente era semplicemente il volto allegro degli altrimenti malinconici e tormentati Helloween. Kiske era l'anima pop, innestatasi dopo.

Meritato o meno che sia questo tracollo, gli Helloween mandano in avanscoperta di nuovo la zucca, e sono tra i colonnelli del nuovo power metal. Come correttamente indicato da Loffredo nella sua antologia sul Power, questo movimento non riparte da zero, ma ha un'anima più solare rispetto al power-epic-speed degli '80, derive sinfoniche anziché rinculi rockettari, e quest'anima appunto fa richiamo proprio allo stile Helloween, secondo quel dualismo energia/ariosità già citato. Secondo me è abbastanza inutile cercare di trovare una grande continuità stilistica soltanto in riferimento all'asse Weikath-Grosskopf. Se gli Helloween resistono è fondamentalmente grazie alla forza iconografica della zucca. Seguiamo fino ad oggi le peripezie di questa zucca, che alla fine li ha fatti tornare tutti amici, forse anche in memoria dello scomparso Ingo. In questa fase le provano un po' tutte, dalla carta sempre perdente del sequel ("Keeper of the Seven Keys - The Legacy", 2005), ma i tentativi che vanno più a segno sono quelli più cupi e duri.

Il cosiddetto happy metal ha però una vena sognante che non consente di accettare davvero quest'etichetta. Il sogno ha in sé, per quanto solare e vittorioso, un elemento nostalgico o una strisciante amarezza che lo segue da lontano, come gli sguardi dei nostri genitori che ci vedono crescere e allontanarci dalle loro cure. La commozione, e non la festosità, è semmai la cifra che gli Helloween ritrovano, la fusione ideale di Kiske, Hansen e Deris. E' questo il sentimento prevalente in “The Dark Ride” (2000), a dimostrazione che i semi del metal possono dare, sì, frutti gioiosi e solari, ma vanno piantati - come direbbe Carducci - “nella terra fredda, nella terra nera”. “Il verde melograno, dei bei vermigli fior” cresce sul cadavere di un bambino che non c'è più (in generale, l'innocenza perduta o letteralmente una vita interrotta).

Il seme sapeva meglio Hansen dove piantarlo che, con i Gamma Ray, ha fatto da paziente giardiniere del metal per anni. La vena solare e poppettara, per quanto apprezzabile, era un capitolo staccato, un innesto che non ha attecchito.

La band dell'happy metal, in sostanza, è quella che si può permettere anche la leggerezza dopo aver scritto “How Many Tears”. Ma attenzione, perché presi dalla nostalgia (o dal mito) degli anni '80 non vi siete resi conto di una verità molto più semplice: dietro all'happy metal c'è semplicemente il pericolosissimo umorismo teutonico. Abbiamo semplicemente rischiato di avere un doppione die Tankard, non so se mi spiego. Quindi facciamo finta di niente che è andata anche bene.

Tocca anche fare uno sforzo e accettare il ritorno di Kiske, che dopo aver rinnegato il metal e la sua stessa importanza nella scena metal, avrebbe meritato quantomeno una grandinata di nocchini. Probabilmente invece le sue velleità pop-metal ci salvarono da una svolta parodistica degli Helloween, dato che la goliardia si spinse effettivamente in là proprio con "Keeper of the Seven Keys - II", e che la mente compositiva dietro questa evoluzione non era affatto Kiske, ma Weikath. 

Insomma, all'epoca lo scontro Weikath-Kiske, da cui Hansen si tirò fuori sfavato, ci avrebbe dato un metal sanremese, o un metal da birreria analcolica.

La felicità non è parodia, e quindi la ammettiamo sul piano teorico nel metal. 

Ma non è buon presagio: vi stanno per sostituire i soldi con la carta igienica. Magari rosa.

A cura del Dottore

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