"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

25 nov 2023

SINFONIA DOOM - IL CASO DEI GEVAUDAN


 

Bello, bello, bello…[…] il doom in effetti…ma perché deve avere dei brani?!? È un genere che non vuole comunicare un c…o a nessuno; quindi è molto più coerente questa monoliticità, una mappazza che in realtà viene sviluppata secondo il modello della sinfonia, del concerto per piano e orchestra…questa è una cosa che va recuperata…”

Questo è stato l’acuto commento del nostro Dottore al primo ascolto di “Umbra”, secondo full lenght, uscito lo scorso ottobre, del four-piece inglese Gévaudan (in rete potete conoscere la storia cui si riferisce questo termine francese, anche se, dalla copertina del disco, si intuisce già...)

Che il Metal si sia da sempre cimentato con dischi composti, formalmente, da un unico brano (in una sola traccia oppure con una divisione ‘fittizia’ in più movimenti) è cosa nota. Gli esempi si sprecano ma per lo più li ritroviamo in ambito progressive, con qualche notevole eccezione (di getto mi vengono in mente “Crimson” degli Edge of Sanity o “Natasha” di quei matti dei Pig Destroyer). Ne ritroviamo qualche esempio anche in ambito atmospheric o depressive BM mentre molti sono i casi di one-song album anche in ambito rock, drone o ambient. Ma questo ci pare quasi una normalità.

Ma nel doom…caspita, dischi doom con una sola canzone…l’esperimento più vicino che mi sovviene è il superbo “Mirror Reaper” dei Bell Witch. Ma anche lì il combo americano aveva comunque diviso l’opera in due lunghe suite.

La band dell’Hertfordshire invece no: ci propone direttamente 43’ di epicissimo doom metal che prende a piene mani dalla migliore tradizione europea (Candlemass, Anathema) e americana (Pallbearer, YOB).

Ma, rimanendo nella campagna inglese, il primo gruppo che ci viene in mente appena parte il primo, immaginifico, riff portante di “Umbra” (e la voce, pulita e teatrale, dell’ottimo Adam Pirmohamed lo cavalca) sono i mai-troppo-ricordati Warning, da Harlow (Essex). Appena mezz’ora di macchina da Hertford. E con cui i Nostri hanno davvero parecchie cose in comune, oltre alla provenienza; a partire da un dolente espressionismo dei sentimenti.

Dopo una breve intro rumoristica, sorta di ouverture, “Umbra” si sarebbe potuto dividere, come su accennato, anche in 4-5 movimenti perché gli umori variano molto man a mano che il tempo scorre: dopo i primi 10’ di doom più ‘canonico’, abbiamo un rallentamento che ci guida, al minuto 13, ad una sospensione in cui si odono solo brevi accordi ripetuti (certe soluzioni dei primissimi My Dying Bride escono immediatamente dai cassetti della nostra memoria) su cui si innestano i versi sofferti e soffusi di Pirmohamed. Poesia pura…

Nota di merito per il ‘blocco’ che parte al minuto 27’. E, se non vi inginocchiate in lacrime qui, allora non so davvero cosa possa commuovervi…

Non si fanno mancare neppure sezioni psych-prog, i Gévaudan, come quella al minuto 30 che poi, al minuto 33, si scioglie in un solo piano, luttuoso all’inverosimile, che rimanda alla migliore tradizione doom inglese, prima che, come-suite-vuole, la coda finale di circa 7’ vada a recuperare il tema portante con cui “Umbra” era cominciato.

Non siamo, in definitiva, a un disco rivoluzionario per il doom. Tutt’altro. La band è pienamente, e direi fieramente, immersa nella tradizione (per chi vuole del doom davvero innovativo, si vada ad ascoltare i nostrani Messa e il loro ultimo, straordinario, “Close”). Ma l’urgenza comunicativa con cui scriviamo questo post è dovuta proprio alla qualità straordinaria di questi tre quarti d’ora che scivolano via davvero in un batter di ciglia.

Un disco di grandezza funerea, tristezza epica, monumento alla melodia senza speranza.

È il doom, appunto. Capace, nel suo "non voler comunicare niente a nessuno", di comunicare come pochi altri generi metal sanno fare…

Voto: 8,5

Etichetta: Meuse Music Records

Dati: 1 canzone, 43’, anno 2023

A cura di Morningrise