Come si ottiene l’atmosfera? Come si rende atmosferico un album di black metal? Diciamo che ci possono essere due diversi approcci alla materia. Vi è una metodologia secondo la quale si lavora per sottrazione, si punta al minimalismo, ed è il caso classico di Burzum o dei Summoning: una concezione di black metal atmosferico che farà scuola e che influenzerà la maggior parte degli artisti dediti a queste sonorità, in particolare coloro che operano nella dimensione della one-man band. Perché questa concezione è anche la più semplice da realizzare: riff ripetuti, tappeti di tastiere, trame ambient, drum-machine: chiunque dotato di una chitarra ed un PC nel chiuso della propria cameretta può realizzare un album di black metal atmosferico (bisogna poi vedere se valido o meno).
Vi è poi un secondo approccio che punta invece ad superare i limiti del black metal con una sovrabbondanza di elementi. Qui in genere, salvo i casi sporadici di qualche "Mozart" isolato (vengono in mente progetti come Blut Aus Nord ed Empyrum), c’è bisogno di una band vera e propria, preferibilmente di gente che sa suonare. E mezzi. E' una concezione di atmospheric black metal, questa, decisamente più rara e che spesso non viene nemmeno riconosciuta come tale in quanto contigua alle svariate forme di post-black metal, etichetta che dal punto di vista stilistico vuol dire tutto e niente, ma che, nelle intenzioni degli autori, sottolinea la volontà della band di volersi spingere oltre gli stilemi classici del black metal (e dunque, seppur non limitatamente, anche verso lidi atmosferici). Potrebbero appartenere a questa frangia di black atmosferico gli Agalloch ed i Wolves in the Throne Room. Si parla quindi di fuoriclasse, gente che opera fuori dalle categorie e che, ampliando la visione del black metal in generale, ha saputo fornire un importante contributo anche alla causa del black metal atmosferico.
Aggiungerei alla lista i rumeni Negură Bunget, entità superiore che ha illuminato il mondo del black metal per qualche anno del nuovo millennio.
La storia della band, in realtà, parte dal lontano 1994, anno di formazione dei Wiccan Rede. In questa band dedita ad un black metal sinfonico (tutto sommato nella media) militavano tali Edmond Karban (voce e chitarra) e Gabriel Mafa (batteria). L’anno successivo, costoro, ribattezzatosi l'uno Hupogrammos e l'altro Negru, avrebbero dato vita ai Negură Bunget. All’altezza del secondo album si sarebbe a loro unito il chitarrista Cristian Popescu (alias Sol Faur) e con questa formazione a tre avrebbero rilasciato lavori fondamentali come “'N Crugu Bradului” (2002) e “Om” (2006), rispettivamente terzo e quarto e album.
In particolare con “N Crugu Bradului” la band si era fatta notare per capacità compositive e realizzative sopra la media (con quattro lunghi brani per un totale di quasi 54 minuti). Ad animare il concept in quel caso era il ciclo delle stagioni, con atmosfere arcaiche e densamente spirituali che univano elementi folcloristici della terra rumena (anche grazie ad un uso di strumenti atipici e mutuati dal folclore est-europeo) ad un black metal affilatissimo e dalla vocazione progressiva. Un capolavoro, senza se e senza ma. Ma il viaggio sonoro dei tre musicisti sarebbe proseguito oltre, approdando ad un lavoro ancora più maturo e se vuoi complesso e stratificato del suo già ottimo predecessore.
Il titolo “Om” non ha niente a che fare con pratiche ascetiche, come erroneamente potremmo supporre. Om in rumeno significa “umano”, “uomo”: la ricerca dei Negură Bunget, non perdendo il suo carattere universalizzante, passa dunque dalla dimensione più naturalistica a quella più umana, dove entra in gioco un meccanismo di rinascita e superamento che affonda gli artigli nel terreno dell'occultismo, dell'esoterismo e delle pratiche alchemiche.
Musicalmente il tutto si articola in brani dinamici (chiaro il segno degli Emperor, qualora volessimo marcare dei punti di riferimento) che sanno trascinare l’ascoltatore da picchi di furia iconoclasta a momenti di grande atmosfera. Negru è formidabile dietro alle pelli, incarnando il motore ritmico di questi brani maestosi con un drumming nervoso che fa uso anche di diversi strumenti percussivi anomali. Le sue ritmiche contorte disegnano le imprevedibili coordinate di brani di varia durata - da due e tre minuti ai dieci e persino tredici delle suite più ambiziose. Ben sorrette dalle forti braccia di Negru troviamo le prodezze chitarristiche (e tastieristiche) dei due colleghi, autori di una prova maiuscola fra stilemi più propriamente black metal ed altri invece più vicini al metal classico, ma con una bella dose di sinfonismi a smussare la ruvidità delle chitarre e a disegnare suggestivi interludi spesso conditi da voci narranti e strumenti etnici.
Con due chitarre che spesso fanno cose diverse e le tastiere quasi onnipresenti, il sound dei Negură Bunget è stratificato e gonfio, straripante di preziosismi e dettagli degni di nota, con fiati (flauti, corni) ed altri strumenti (xilofono, strumenti percussivi vari) ad arricchire ulteriormente la palette di colori. La componente folcloristica si innerva nelle tessiture sinfoniche di brani che sanno essere crudi e feroci quanto atmosferici e sognanti. Certi passaggi richiamano la grandeur che è tipica delle colonne sonore di film fantasy e non sarà nemmeno infrequente rinvenire deviazioni psichedeliche (sempre dal forte potenziale visionario) ai margini della coloratissima tavolozza a disposizione dei tre, pronti ad impiegare ogni mezzo per edificare una musica monumentale che non trova eguali nel più vasto panorama del metal estremo.
Nemmeno a dirlo, un track by track non rende giustizia ad un’opera di tale imponenza (ben 67 minuti spartiti in undici tracce!) che rappresenta un unico viaggio spirituale e i cui tasselli vivono in funzione dell’insieme. Fra i momenti più suggestivi figurano i quasi tredici minuti di “Țesarul de Lumini” (pezzo che apre le danze dopo l’invocazione iniziale di “Ceasuri Rele”): qui chitarre sfrigolanti si accavallano nel vuoto per poi esplodere in tutta la loro magniloquenza progressiva fra continui cambi di tempo e maestosi intrecci di tastiere. Una roba che non può essere concepita e realizzata da chiunque.
Come non citare poi gli evocativi canti in “Cunoașterea Tăcută”, la solenne apertura di tastiere, fiati e percussioni di “Înarborat” (che inaspettatamente muterà di colpo in un feroce assalto thrash/black!) o le barocche alchimie di percussioni e tastiere di “Norilor”, una portentosa strumentale che mette in luce la sensibilità più squisitamente progressiva del trio. Ne sono una invitabile controparte il blast-beat di “De Piatră”, brano animato da furia mayehmiana che mostra il lato più aspro della band, e l’altra suite “Cel din Urmă Vis”, altri dieci minuti di saliscendi emotivi di intensità emperoriana che fa il paio con l’iniziale “Țesarul de lumini”. Impossibile, infine, non citare la folkish “Hora Soarelui”, forte di voci pulite e prelibatezze acustiche. I testi, si sarò capito, sono redatti in lingua madre, a rinsaldare il forte legame che questa musica ha con la cultura della terra di origine dei tre musicisti.
Insomma, queste nostre parole non fanno che ripetere quanto già detto da molti altri. Non ci discostiamo dal coro nel tessere le lodi per questa band unica che, ahimè, non fa più parte di questo mondo, nonostante la miracolosa resurrezione avvenuta nel 2010. La band ricevette infatti un duro colpo in quell'anno, quando due elementi su tre decisero di abbandonare il progetto. Ma sorprendentemente i Negură Bunget sarebbero sopravvissuti sotto la guida del solo Negru, rimasto a capo di un ensemble di musicisti nuovo di zecca con il quale riuscì a preservare la magia della sua musica (lo testimonia un album stupendo come “Vîrstele Pamîntului”, sempre del 2010). Ma questo mezzo miracolo non bastò, visto che non era proprio destino che i Negură Bunget arrivassero ai nostri giorni: la loro storia si sarebbe interrotta per sempre con la morte (per arresto cardiaco) dello stesso Negru, mentre ai superstiti non sarebbe rimasto altro che rilasciare un album postumo solo per chiudere una trilogia di album già avviata.
Fortunatamente la discografia della band è notevole e pregna di tesori e non possiamo certo dire che i Negură Bunget siano stati avari dispensatori di emozioni: la riscoperta dei vecchi lavori della band, infatti, non è tempo assolutamente perso e certo il loro ascolto diviene illuminante nel mettere in luce le potenzialità (espresse!) di un black metal - anche atmosferico - che non temeva di confrontarsi con le sfide più ambiziose.