Quarantatreesima puntata: Woods of Desolation: "Torn Beyond Reason" (2011)
Addentrarsi nelle "foreste della desolazione" non coincide per noi con il calarsi nella foschia densa ed impenetrabile di sonorità eccessivamente degradate e disorientanti; anzi: come detto qualche puntata fa in occasione dei Totalselfhatred, ad un certo punto della sua storia il depressive black metal ha saputo uscire dal suo guscio di ortodossia (ammesso che tale guscio sia mai esistito) ed entrare in contatto con la dimensione del post-black metal.
Di questo filone gli australiani Woods of Desolation sono fra i più compromessi, costituendo essi un ibrido perfetto fra gli umori affliggenti e lacrimevoli del depressive e le vibrazioni emotive emanate dagli amplificatori fumanti del blackgaze. Dopo i seminali Abyssic Hate e i validissimi Austere, riprende in Australia il nostro viaggio nel DBM...
Blackgaze. Nel 2005 era uscito l'EP "Le Secret" dei francesi Alcest, un lavoro tanto breve (due brani per 27 minuti) quanto significativo per gli sviluppi del black metal del nuovo millennio: con esso la forza espressiva del metallo nero trovava paradossale comunione di intenti con le dolcezze e la carica emozionale di un genere apparentemente distante quale era stato lo shoegaze, branca del rock alternativo che nel corso degli anni novanta aveva infiammato gli animi di una generazione di giovani attraverso commoventi melodie da un lato e il fragore delle distorsioni dall'altro. Con gli Alcest nasceva il blackgaze, presto rafforzato e consolidato nell'immaginario collettivo grazie ad opere seminali come "Souvenirs d'un autre Monde" (2007) ed "Ecailles de Lune" (2010) degli stessi Alcest e "Roads to Judah" (2011) e soprattutto "Sunbather" (2013) degli americani Deafheaven. In questo processo di ridefinizione delle modalità espressive del black metal ebbero un ruolo anche gli australiani Woods of Desolation che tuttavia, come già anticipato dal monicker, incarnavano una accezione più spettrale di queste sonorità.
Dopo un paio di demo ed altrettanti split, nel dicembre del 2008 il progetto esordiva con l'album "Towards the Depths", un lavoro che seppe farsi notare per le qualità melodiche della chitarra di Dolor (in seguito semplicemente D.), leader, mastermind ed unico membro stabile nel corso del tempo. Qui i suoni rarefatti ed intimamente decadenti del blackgaze si sviluppavano e muovevano ancora in scenari oscuri e pregni di angoscia: potremmo dire che il nostro offriva una desolante passeggiata nei boschi d'inverno lungo un sentiero che si ammantava inevitabilmente di un afflato spirituale. Di tutta la discografia del progetto questo è indubbiamente il capitolo più "depressive", sia per l'approccio più istintivo che per la grezza registrazione: aspetto, quest'ultimo, che, più che rivelarsi un difetto, aggiungeva fascino. "Towards the Depths", tuttavia, non si sottrae alle critiche che si possono fare ad un debutto ancora acerbo: i vizi di produzione avrebbero infatti penalizzato il potenziale espressivo del buon Dolor, che in questa release si trovava alle prese con chitarra, basso e batteria. In particolare le parti vocali, qui a cura di tale P. Knight, ci sono sembrate poco consistenti, sospese fra il sussurro, il lamento ed uno screaming impalpabile, rivelandosi quasi un orpello aggiuntivo ad una musica che intendeva suggestionare l'ascoltatore attraverso gli echi, i delay, le rifrazioni delle sei corde. Chissà, per molti proprio queste caratteristiche hanno reso così affascinanti questi tre quarti d'ora di musica, ma per noi i Woods of Desolation avrebbero saputo rendere meglio nei lavori successivi.
"Torn Beyond Reason", di tre anni dopo, già ci appare più maturo. Intanto la durata contenuta, solo 37 minuti, è una scelta che giova all'operazione in quanto dimostra la volontà del compositore di non strafare, di non indugiare in lungaggini in un ambito in cui la tentazione di sfrangiare le palle è sempre dietro l'angolo. In verità i sei brani non rinunciano anche a durate di una certa consistenza (i 9 minuti di "The Inevitable End"), ma nel complesso a prevalere è un equilibrio compositivo che denota la volontà di abbinare un innato gusto melodico a strutture ben precise che ne evidenzino l'intensità.
Il motore del tutto è sempre D., qui dedicato solamente alle sei ed alle quattro corde, ed ovviamente alla scrittura di testi e musica. Ad accompagnarlo troviamo Tim Yatras a voce e batteria e Lord Tim (all'anagrafe Tim Ian Grose) alle tastiere. I più attenti di voi avranno notato che in questo nucleo di musicisti si materializza parte della formazione che due anni prima, nel 2009, aveva dato vita al bellissimo "To Lay Like Old Ashes" dei connazionali Austere (Tim Yatras infatti non è altro che Sorrow, uno dei due componenti degli Austere; Tim Grose, già produttore e membro di Blackened Angel, From Beyond e Lord, aveva in quell'album prestato le sue tastiere, mentre lo stesso D. vi aveva suonato il basso). Insomma, a dare vita e corpo a "Torn Beyond Reason" troviamo tre su quattro degli artefici di quella che fu una delle più belle pagine del depressive/post-black australiano: inevitabile che gli esiti fossero estremamente positivi anche in questo caso.
La produzione non è perfetta nemmeno a questo giro, ma del resto un mix di suoni impastati che favorisce le chitarre rispetto a voce e batteria (perennemente in secondo piano) si dimostrerà una costante della musica dei Woods of Desolation. Al centro della visione artistica vi sono infatti i riff disperati e malinconici di D. Se già i sei minuti della title-track sono emblematici nel disporre gli elementi vincenti del suono dei Nostri, è con la seconda traccia "Darker Days" che possiamo saggiare l'ensemble al top delle proprie capacità, con D. ad inanellare riff saettanti che trafiggono il cuore e Yatras che gli dà manforte sia con un drumming sempre puntuale (azzeccati i cambi di tempo, impeccabile l'utilizzo della doppia-cassa) che dietro al microfono. Se bisogna ammettere che le parti cantate non sono mai state il punto di forza in un album dei Woods of Desolation, Yatras si rivela il migliore fra tutti i vari cantanti che si sono avvicendati dietro al microfono (ogni album ha sempre avuto un cantante diverso), potendo egli abbinare un canto pulito credibile (sua prerogativa negli Austere) ad uno screaming lacerante e "megafonato" che a tratti diviene disperante soliloquio. Quanto alle tastiere di Grose, esse avranno solo un ruolo di contorno (ma comunque apprezzabile!).
Le qualità migliori del platter - si sarà capito - risiedono nella musica, per questo non ci stupiamo se uno degli episodi migliori del lotto si rivelerà essere la strumentale "November": in nemmeno tre minuti di durata essa tratteggia i contorni di uno splendido post-rock, prima con una chitarra arpeggiata incalzata dal battito della cassa poi con l'inevitabile deflagrazione elettrica all'insegna di melodie dal grande impatto emotivo. La conclusiva "Somehow..." aggiunge gloria alla gloria, partendo dimessa e con un commovente cantato pulito per poi svilupparsi attraverso sette avvincenti minuti che evocano tanto gli Alcest quanto gli Agalloch.
I testi, spesso molto brevi e criptici, tratteggiano uggiosi paesaggi dell'anima, scenari immersi in una insanabile malinconia e solitudine, riconducendoci al depressive meno cruento e più votato alla introspezione, senza disdegnare certe pene d'amore.
"Torn Beyond Reason", in definitiva, raccoglie le migliori intuizioni del brillante debutto e le condensa in uno spazio più contenuto volto a dare risalto più alle idee ed alle intuizioni melodiche che alla mera suggestione, divenendo l'ideal-tipo di quella formula sonora che continuerà a ripetersi negli album successivi della band: il leggermente inferiore "As the Stars" (2014) e il già migliore (anzi, probabilmente il migliore) "The Falling Tide" (2022), dove D. si occuperà di ogni cosa: che la formula della one-man band sia quella ideale per il Nostro?
Pur una spanna sotto i maestri del genere come i già citati Alcest e Deafheaven, i Woods of Desolation sono da considerare gli iniziatori indiscussi del filone blackgaze nel depressive, aprendo la strada a nomi come An Autumn for Crippled Children, Ghostbath e Sadness, tanto per fare qualche nome.
Come si diceva in ingresso, non ci troviamo al cospetto della manifestazione più "pura" di DBM, ma i Woods of Desolation loro malgrado sono divenuti fra i nomi più noti di questo sotto-genere, mostrandone il lato più melodico e quindi più abbordabile, anche da coloro che queste sonorità non le masticano più di tanto. Si accomodino dunque i più fragili e nobili di cuore...
"But like ashes to the wind I will fade
Nameless and forgotten
The thorn upon the withered rose
Somehow I always knew..."