All'ombra delle montagne - Til Det Bergens Skyggene, "Til Det Bergens Skyggene" (2011)
Si è già detto che gli anni novanta furono anni fecondi di esperimenti che intendevano traghettare gli umori del black metal verso la dimensione atmosferica di album composti ed eseguiti con solo tastiere. Le opere di Mortiis, Burzum, Pazuzu e Wongraven erano state solo la punta dell’iceberg di un sottobosco di produzioni artigianali che sarebbero rimaste ignote ai più e che sarebbero state riscoperte solo molti anni dopo, intorno al 2010 per l'esattezza. Solo allora questi lavori sarebbero stati finalmente ascoltati, apprezzati, rivalutati e riconosciuti come base fondante di un genere che fino a quel momento non era stato nemmeno definito: il dungeon synth.
Questo rinnovato interesse fu dettato da un mix di fattori: probabilmente si erano riaffermate le condizioni storico-sociali affinché un certo tipo di discorso potesse essere ripreso. Da un lato il medium di internet permetteva di accedere a molti lavori che erano stati ignorati fino ad allora. Dall'altro qualcuno decise di cimentarsi in quegli stessi esperimenti, rievocando lo spirito delle produzioni originarie. Fatto sta che intorno ai primi anni dieci, dopo circa un decennio di mortifera quiete, qualcosa iniziò a muoversi nuovamente. Ma era come riniziare da capo, come se un corpo intorpidito da un lungo sonno dovesse faticosamente animarsi, rialzarsi, camminare. Ed infatti in questa primissima fase di risveglio i progetti sembravano votati allo stesso tragico destino dei loro avi novantiani, vegetando nella dimensione delle auto-produzioni, della distribuzione amatoriale, nascendo e morendo nell’arco di pochi anni e dopo essersi lasciati alle spalle solo una o due demo. Qualcuno di questi lavori sarebbe rimasto nella storia, altri no, ma l’importante è sottolineare che dopo una decade di oblio (la cosiddetta “Dark Era”) il fenomeno ha principiato a rianimarsi.
V’è da dire che proprio in quel periodo veniva coniata la definizione ufficiale di dungeon synth che, come si è visto in sede di introduzione, veniva partorita dalla mente visionaria di Andrew Werdna, giovane alaskano appassionato di quelle sonorità e titolare del blog che ne plasmò e diffuse la storia. Werdna, oltre ad ergersi come l'ideologo del dungeon synth, era a suo volta musicista con un suo progetto personale, i Valscharuhn. Sotto questa insegna furono rilasciati un paio di lavori degni di nota: “Seven Wonders of the Ancient World” del 2011 e “Visions of our Great Cosmic Destiny” del 2012.
C’era poco altro, perlomeno che fosse ascoltabile da orecchio umano e comunque recuperabile solo a fronte di impegnative ricerche nell’underground più rancido del black metal. Fra i primissimi a far riemergere quei suoni dalla segrete in cui erano stati reclusi per più di un decennio, vi fu il progetto finlandese Gvasdnahr che se ne era uscito con l’omonimo debutto nel 2010 e con “Through Mists and Ruins” l’anno successivo. Sempre nel 2011 uscivano anche “Lost Paths Remembered in Dream” degli Abandoned Places e l'omonimo debutto dei Til Det Bergens Skyggene, che di questa primissima ondata di nuovi progetti costituisce sicuramente il nome più interessante al pari di Lord Lodivicus, il quale di lì a poco avrebbe dato il suo contributo con i seminali “Autumnal Winds and Times of Yore”, “Trolldom” e Kyndill og Steinn”, tutti e tre usciti nel 2013.
Proprio a Til Det Bergens Skyggene e Lord Lodivicus dedicheremo le prossime due puntate della nostra rassegna.
Partiamo da Til Det Bergens Skyggiene, altisonante dicitura in norvegese (in italiano: all'ombra delle montagne) dietro alla quale, in realtà, si cela un musicista tedesco. Purtroppo non si hanno molte informazioni in merito all'oscuro figuro che, nel retro della copertina della cassetta dell'esordio "Til Det Bergens Skyggiene", si firma con lo pseudonimo Lord Vranevorn. Il Nostro pare essere il titolare anche di altri progetti (Astral Order of Impurity e Yearner), tutti gravitanti in area dark-ambient. L'apparente non-connessione con realtà metalliche (ma vi saranno state sicuramente, ci mancherebbe) rende difficile reperire altre informazioni, perché finché c'é metallo c'è speranza, ossia c'è Metal Archives che fornisce dettagli anche sulla più piccola, insignificante, sfigata band operante nell'angolo più remoto del globo...ed è proprio in Metal Archives che son riuscito a ricostruire, seppur in modo parziale, le carriere di molti misconosciuti eroi del dungeon synth, i quali fortunatamente si dilettavano anche a strimpellare in qualche band metal. Quanto a Lord Vranevorn, ci dobbiamo affidare alla sola musica che, lo dico subito, è molto buona.
C’era poco altro, perlomeno che fosse ascoltabile da orecchio umano e comunque recuperabile solo a fronte di impegnative ricerche nell’underground più rancido del black metal. Fra i primissimi a far riemergere quei suoni dalla segrete in cui erano stati reclusi per più di un decennio, vi fu il progetto finlandese Gvasdnahr che se ne era uscito con l’omonimo debutto nel 2010 e con “Through Mists and Ruins” l’anno successivo. Sempre nel 2011 uscivano anche “Lost Paths Remembered in Dream” degli Abandoned Places e l'omonimo debutto dei Til Det Bergens Skyggene, che di questa primissima ondata di nuovi progetti costituisce sicuramente il nome più interessante al pari di Lord Lodivicus, il quale di lì a poco avrebbe dato il suo contributo con i seminali “Autumnal Winds and Times of Yore”, “Trolldom” e Kyndill og Steinn”, tutti e tre usciti nel 2013.
Proprio a Til Det Bergens Skyggene e Lord Lodivicus dedicheremo le prossime due puntate della nostra rassegna.
Partiamo da Til Det Bergens Skyggiene, altisonante dicitura in norvegese (in italiano: all'ombra delle montagne) dietro alla quale, in realtà, si cela un musicista tedesco. Purtroppo non si hanno molte informazioni in merito all'oscuro figuro che, nel retro della copertina della cassetta dell'esordio "Til Det Bergens Skyggiene", si firma con lo pseudonimo Lord Vranevorn. Il Nostro pare essere il titolare anche di altri progetti (Astral Order of Impurity e Yearner), tutti gravitanti in area dark-ambient. L'apparente non-connessione con realtà metalliche (ma vi saranno state sicuramente, ci mancherebbe) rende difficile reperire altre informazioni, perché finché c'é metallo c'è speranza, ossia c'è Metal Archives che fornisce dettagli anche sulla più piccola, insignificante, sfigata band operante nell'angolo più remoto del globo...ed è proprio in Metal Archives che son riuscito a ricostruire, seppur in modo parziale, le carriere di molti misconosciuti eroi del dungeon synth, i quali fortunatamente si dilettavano anche a strimpellare in qualche band metal. Quanto a Lord Vranevorn, ci dobbiamo affidare alla sola musica che, lo dico subito, è molto buona.
"Til Det Bergens Skyggiene" esce nel 2011 ed offre 36 minuti di un ispirato ambient burzumiano che matura nella solitudine e che alla solitudine intende rivolgersi: ascolti pazienti, consumati nel silenzio e in una stanza buia, volti a cogliere dettagli e sfumature che altrimenti non sarebbero percepibili nel tran tran della quotidianità. Non è facile descrivere le cinque tracce che compogono "Til Det Bergens Skyggiene", e non perché ci troviamo innanzi a chissà quale capolavoro-di-arte-inclassificabile-ed-unica-al-mondo, ma semmai perché è un tipo di esperienza che si presta a soggettivissime speculazioni, che può esaltare o lasciare indifferenti a seconda della predisposizione d'animo del momento.
L'essenza di questa musica è degnamente anticipata dalla stupenda copertina, tanto semplice quanto suggestiva: uno scatto in bianco e nero che cattura le tetre sagome di alberi che si riflettono in uno specchio d'acqua, presumibilmente gelida. Un paesaggio silenzioso, privo di umanità, di una bellezza universale, incontaminata, eterna e che non contempla la presenza dell'essere umano.
Che ci troviamo innanzi a qualcosa di valore e decisamente sopra la media lo si capisce dalle prime obnubilanti note del primo brano "Inn I Villmarken", ossuto requiem sospeso fra folclore nordico e musica sacra. Qui le tastiere sembrano mimare l'intreccio mesto delle note basse di un organo da chiesa con quelle tremolanti di un harmonium mezzo scordato: una marcia funerea, ubriaca, sconsolata che subito ispira una gran tristezza in chi si presta all'ascolto. Il brano si sviluppa liberamente attraverso vari temi melodici che si susseguono sfuggendo a particolari tendenze alla ripetizione: insomma, ci sono personalità ed ispirazione.
La seconda traccia spiazza per il suo incipit di chitarra arpeggiata ed un "dinamismo" (si fa per dire...) che a questo punto non ci saremmo aspettati. "Skog, Natt Og Stjerner", lunga sei minuti e mezzo, si sorregge su un arpeggio ipnotico su cui si innestano lunghe note di chitarra solista ed ossessivi contrappunti di tastiera dall'inequivocabile flavour burzumiano. A metà del brano si inserisce discreto il battito pacato della drum-machine e quando il tema ricorsivo delle tastiere riprende la sua marcia è semplicemente gloria che si aggiunge alla gloria. Del resto il titolo del brano (in italiano "Foresta, notte e stelle" - altro che sole, cuore, amore!) in solo tre parole spiega alla perfezione le sensazioni che ci possiamo aspettare da una visione artistica volta a carpire sentimenti universali radicati nella sempiterna maestosità della natura.
Segue la title-track, la quale conserva gli stessi elementi utilizzati nel brano precedente, ma ne scombina l'ordine e la funzione: qui sono le tastiere a riempire il corpus sonoro del brano, mentre alle sentenzianti note di chitarra spettano i ricami. Ma, come si suol dire, il meglio deve ancora venire: "Min Tid Har Kommet", lunga quasi 14 minuti, è indubbiamente l'apice dell'opera. Il titolo, tradotto, significa "Il mio momento sta arrivando...": un indizio utile a cogliere la vocazione metafisica di questa suite che odora di musica cosmica fin dalle prime note. Una tastiera sinuosa serpeggia subdolamente accompagnata da effetti stranianti, dal pulsare sottocutaneo di note basse e dai giochi di volume della chitarra: inevitabile che venga in mente la "Tomhet" di burzumiana memoria. Il momento di massima intensità si ha tuttavia nella fase centrale della composizione, pregna di umori da trapasso: un gorgo di tastiere spettrali, droni e canti rituali che vanno a generare una sensazione di assoluta catarsi mistica, fra psichedelia siderale, la spiritualità panica dei Popol Vuh e visioni à la Hermann Hesse (si pensi al finale del romanzo breve "Klein e Wagner").
La conclusiva "Opphavens Stillhet" chiude il cerchio ripiegando sui toni quieti che avevano aperto l'album, ma al di là del cosa è il come a contare nei Til Det Bergens Skyggiene, progetto tanto sfuggente quanto incisivo nel dispiegare la propria visione artistica, nonostante l'attitudine minimalista e la povertà dei mezzi: un dungeon synth che da un lato sa cogliere in pieno la potenza della natura, traendone ispirazione e riflettendone la suggestività nelle note (qualcuno parlerà di forest synth, ma sono, queste, definizioni che lasciano il tempo che trovano) e dall'altro sa lambire i confini con il misticismo più vibrante.
La stranezza del progetto, infine, si palesa nella stessa discografia, che vede altre tre demo pubblicate nel medesimo anno, il 2011, ed una quinta nel 2013. Poi il nulla.
Come visto in molti altri casi, il silenzio discografico verrà rotto solo in anni recenti, chissà, forse per la voglia di riemergere dall'oblio e far valere lo status di leggenda "vivente" (o riesumata...): è del 2021 lo split con gli Yearner (un altro progetto di Lord Vranevorn - questo più improntato su sonorità winter synth) nel quale figurano due tracce a firma Til Det Bergens Skyggiene.
Come visto in molti altri casi, il silenzio discografico verrà rotto solo in anni recenti, chissà, forse per la voglia di riemergere dall'oblio e far valere lo status di leggenda "vivente" (o riesumata...): è del 2021 lo split con gli Yearner (un altro progetto di Lord Vranevorn - questo più improntato su sonorità winter synth) nel quale figurano due tracce a firma Til Det Bergens Skyggiene.
Sia quel che sia, il progetto tedesco rimane un caso più unico che raro, nel dungeon synth così come nel dark-ambient: senza saper né leggere né scrivere, Lord Vranevorn si lascia dietro un lavoro che ha saputo fare storia a sé e che a ragione rimane tutt'oggi fra le testimonianze di dungeon synth predilette da parte degli addetti ai lavori.
L'epopea del dungeon synth non sarebbe potuta rinascere sotto migliori auspici...