"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

25 giu 2016

LE BALLATE DEGLI IMPICCATI A CONFRONTO: DEATH SS VS DE ANDRE'


L'impiccato è una figura ambigua. La prima ambiguità sta nella contrapposizione tra condanna e giustizia, che è il tema centrale, anarchico, della “Ballata degli Impiccati” di Fabrizio De André. Dal punto di vista cristiano, per definizione al di sopra della legge, ma ipocritamente connivente con il piano della punizione terrena, il condannato a morte va rispettato (da morto) e la sua anima salvata (con l'estrema unzione). La seconda ambiguità dell'impiccato sta nel vero senso della sua posizione capovolta, che starebbe ad indicare non letteralmente il supplizio pubblico o la modalità di uccisione che deve patire, ma la sua posizione spirituale rispetto al mondo: egli vede le cose da un punto di vista rovesciato, e quindi svincolato dalla fallacia delle varie ideologie.

Andrebbero distinti l'impiccato vero e proprio dall'appiccato, o appeso, che non lo è con il cappio al collo ma per un piede. Trattasi in ogni caso di una forma di pubblica gogna, da moribondo o morto. Come accennavamo, "La Ballata degli Impiccati" più famosa nella canzone italiana è quella di Fabrizio De André. Anche il metal ha una sua “Ballata degli impiccati”, quella dei Death SS, pubblicata nel primo album e poi anche in una raccolta di versioni alternative.
Nella mia copia, non si faceva menzione di una eventuale fonte di ispirazione per questo brano, mentre se si va a cercare in rete Steve Sylvester lo dichiara in un'intervista. Io invece ci sono arrivato per vie traverse.
Nella traduzione del testo, con ausilio del cantato, avevo due elementi: il primo, che la traduzione è infarcita di errori e costruzioni sintattiche caotiche, talvolta impossibili da decifrare. Conclusione: sembrava un testo tradotto male.
Il secondo elemento è che nel cantato è evidente una pronuncia con storpiature francofone e una cadenza metrica più romanza che anglosassone. Il nostro poi tende a mangiarsi pronomi e articoli, che intralciano nella metrica, oltre a produrre storpiature “eufoniche” (allora ben venga la soluzione della lingua fonetica di Paul Chain.... nda). Conclusione numero due: forse Sylvester mastica di francese, ma ha tradotto in inglese un testo che magari era originariamente di un autore francese.

Basta una semplice ricerca del titolo della canzone, comunque, per svelare l'arcano. Trattasi di una Poesia di tal Villon nel 1489, scritta prima della condanna a morte e dedicata a tutta la categoria, in cui si evoca rispettosamente la pietà cristiana nei confronti di chi la legge ha condannato.
Steve Sylvester dichiara di essersi ispirato, ma in realtà si può parlare di una traduzione, con alcune variazioni (mettendo da parte quelle legate agli incidenti di traduzione).

La visione dei Death SS è cristiana: gli impiccati rivendicano il diritto a non essere giudicati dagli uomini, che al massimo hanno potuto ucciderli, e anche se ammettono il loro diritto ad averli giustiziati, adesso chiedono loro di passare ad un piano cristiano e di pregare per le loro anime. La tragedia dell'umanità, si potrebbe dire: si dovrebbe essere cristiani, ma di fatto si è uomini; la poesia di Villon iniziava infatti con le parole “fratelli uomini” che fu anche uno dei suoi titoli ufficiali.

Rincuorato dalla disponibilità della traduzione dal francese, il testo si può ricostruire, con alcuni cespugli lessicali e sintattici che si fa prima a potare che a sbrogliare. 
L'unico verso originale dei Death SS è quando nell'ultima strofa si dice che “qui i debiti non devono essere sanati”, l'invocazione di un perdono assoluto che non tutti i cristiani concepiscono in maniera così chiara, come dimostra il concetto stesso di Inferno. L'inferno, stante il perdono di Dio, non dovrebbe esistere se non sulla terra, per cui resta ambiguo perché si debba pregare Dio per evitarlo dopo la morte. A meno che non si tratti di una metafora della preghiera da vivi per evitarci l'inferno sulla terra, l'inferno del peccato senza pentimento.

Fratelli uomini che siete sempre in vita
non abbiate per noi un cuore di pietra
che se avrete pietà di noi disgraziati
Dio vi concederà più generosamente la sua grazia

Puoi vederci qui appesi in cinque o sei
la nostra carne un tempo avvolta fin troppo dal grasso
è divorata e consumata col tempo
e le nostre ossa ridotte a cenere e polvere

Nessuno schernisca della sofferenza che ci devasta
ma ora pregate Dio per la salvezza delle nostre anime
se vi chiamiamo non disdegnate di ascoltarci
anche se siamo stati uccisi secondo giustizia
ma abbiate ancora il buon senso che a molti manca in questo mondo

Poiché siamo morti, pregate il figlio della vergine Maria
che non sia arido di grazia per noi,
e ci salvi dalle fiamme dell'inferno

Nessuno nella morte ci disturbi
ma pregate Dio per la salvezza delle nostre anime
la pioggia ci ha lavato e mondato
e ora il sole ci secca e annerisce
i corvi e le gazze scavano i nostri occhi
gli uccelli ci strappano le ciglia col becco

Non abbiamo pace per un attimo
col vento ci muoviamo da una parte e dall'altra
ci giriamo a suo piacimento suo del vento
beccati dagli uccelli come puntaspilli

Non siate della nostra risma
ma ora pregate Dio per la salvezza delle nostre anime
Oh Dio che su tutto regni
non ci condannare al caldo infernale
perché qui i debiti non devono essere estinti
uomini non chiediamo pietà o ironia
ma pregate Dio per la salvezza delle nostre anime.

Il brano è una litania molto evocativa, che esplode nel finale in un grido di dolore volutamente sgraziato che riporta alla cruda realtà della morte. La registrazione fu forse un tantino poco calibrata, con un effetto di suono imploso (tipo gong). Ricordo che nel vecchio stereo la puntina del disco saltava se tenevo il volume alto, come feci la prima volta perché il tono del brano è, fino all'ultimo, sussurrato. A parte l'apprezzamento complessivo, ci sono delle trovate di pronuncia non male, che vanno dalle semplici licenze tipo “jastìs” alla francese (per jùstice), agli arrotondamenti vocali tipo “uaur” (per our), alle svisature tipo “shauer and uer shen and clinsin as” (showers have washed and cleansed us /o cleaned ?), al delirio totale di “mesh” (per magpies), leiiii (per eyelashes) e thamble-beis (per thimbles).

Forse nella mente di Sylvester c'era anche l'idea di adattare il testo cristiano ad una interpretazione più ambigua, come se in realtà il Dio fosse un Dio che non prevede l'Inferno, che non deve recuperare crediti dai morti per conto degli uomini e che se ne frega della loro giustizia terrena.
Il tutto quindi, se visto in una chiave ironica, è semplicemente un invito agli uomini a specchiarsi nella morte, senza ironia e senza (altro inserto originale di Sylvester) chiedere neanche pietà. Non siete della nostra risma, potrebbe significare ironicamente: non siete condannati a morte, mentre voi vi credete “diversi” o superiori.

Procediamo al parallelo con gli impiccati di De André, in chiave assolutamente non cristiana. Questi ultimi muoiono rigidi nella loro empietà e se il mondo è così stupido da averli condannati, è sicuramente troppo stupido per perdonarli.
Il giochetto cristiano di crocifiggere per poi pentirsi è il fondamento stesso della morale cristiana, del pentimento e della condivisione della colpa. Io ho ucciso te, ma mi capirai perché insieme abbiamo ucciso Cristo. Pietro, il fondatore della Chiesa, inizia subito rinnegando Gesù, suo maestro crocifisso da altri. Dopo di che se ne duole e con questa colpa può, ipocritamente, fondare una religione a cui attirare le stesse masse che hanno condotto Cristo alla croce, per poi pentirsene. 
Il cosiddetto “capro” espiatorio è comune ai discepoli e ai carnefici. Questo, De André, lo spiega bene in “Via della croce”, in cui i discepoli si nascondono vigliacchi, mentre i veri sofferenti muoiono senza tanto clamore e i comuni criminali al suo fianco senza che nessuno dia dignità alla loro agonia.

Così come i ladroni, anche gli impiccati sono figure sarcastiche che non si pentono e non si piegano alla giustizia che li condanna. Mentre i cadaveri di Villon/Sylvester sono fatti oscillare dal vento, quelli di De André spirano “tirando calci al vento” e recitando “l'antico credo di chi muore senza perdono”, cioè una bestemmia regalata al mondo, scoccata in punto di morte con l'ultimo respiro. Una bestemmia che potrebbe essere annullata chiedendo perdono dopo la morte, ma questi impiccati non lo fanno, anzi si trincerano dietro il silenzio; invece di chiedere pietà per la loro anima, gli impiccati di De Andrè maledicono i loro carnefici e chi li ha applauditi.

Chi ha deriso la nostra sconfitta, e l'estrema vergogna ed il modo
Soffocato da identica stretta, impari a conoscere il nodo
Chi la terra ci sparse sull'ossa, e riprese tranquillo il cammino
giunga anch'egli stravolto alla fossa, con la nebbia del primo mattino

La donna che celò in un sorriso, il disagio di darci memoria
ritrovi ogni notte sul viso, un insulto del tempo e una scoria
Coltiviamo per tutti un rancore, che ha l'odore del sangue rappreso.
Ciò che allora chiamammo dolore, è soltanto un discorso sospeso

Insieme ad alcuni passi delle poesie di Dino Campana, questi versi sono assolutamente il top del depressive black metal più truce e sfido qualunque norvegese a scrivere cose più agghiaccianti.

A cura del Dottore