In una ipotetica classifica
dei dieci migliori album non metal che dovrebbero ascoltare anche i cultori
del metallo, inseriremmo sicuramente uno dei vari capolavori della maturità di Sopor
Aeternus & The Ensemble of Shadows, perché no?, il doppio "Dead
Lovers' Sarabande", uscito in due parti nel corso del 1999.
Di Anna Varney Cantodea,
mente unica del progetto, si sa veramente poco: entità misteriosa e solitaria,
non fa concerti, nelle foto si trucca ed assume smorfie grottesche fino a
rendersi irriconoscibile, rilascia raramente interviste e solo nella garanzia
del più assoluto anonimato.
Benché la "messa in
scena" allestita sotto l'etichetta Sopor Aeternus sia incatalogabile e
sicuramente estranea al metal, essa è sempre stata guardata con interesse anche
dai nostri ambienti, probabilmente per il carattere estremo che si porta
dentro.
Per sua definizione "uomo
nato per essere una donna asessuata", ma che si rifiuta di cambiare
sesso tramite operazione chirurgica, Anna Varney (ci riferiremo a
"costui" al femminile, secondo la visione psicoanalitica che vede
come predominante nei transgender l'identità di
"destinazione") sostiene di essere ispirata nella composizione della
propria musica da un insieme di spiriti, di presenze, di energie: il cosiddetto
"Ensemble of Shadows".
Già le premesse sono
importanti, se poi a questo aggiungiamo una lunga depressione che, almeno in
passato, ha fiaccato nel corpo la “sofferente creatura”, costringendola a trascorrere
le giornate in isolamento, nel silenzio e nell'oscurità più completa (è in
queste circostanze che tali "ombre" principiarono a palesarsi e a
suggerirle le melodie e le arie che poi avrebbero animato le sue composizioni),
si potrà intuire gli umori angosciosi e disperanti della proposta.
In una prima fase, la musica
verrà solo immaginata, pensata, formulata nella testa. Poi, con l'aiuto di un
certo Holger (che avrebbe abbandonato quasi subito il progetto) si
passerà alla incisione su nastri. I primi demo portavano già il seme di
insana e morbosa follia che caratterizzerà il percorso artistico di Sopor
Aeternus, mentre da un punto di vista formale la musica si avvicinava ad un dark/gothic
funereo a base di suoni sintetici evocatrici della dark-wave più sulfurea,
animato però dalla straziante ed androgina voce di Anna Varney che, in modo
teatrale quanto sopra le righe, si muoveva fra pianto, singulto e
insopprimibile dolore. I temi ovviamente variavano dalla depressione al
suicidio, tutt'al più annacquati da suggestioni esoteriche, ma trattati con una
profondità poetica tale da rendere credibile e sincera una proposta che
rischiava di precipitare ad ogni pie' sospinto nel baratro della pacchianeria.
Senza menar troppo il can
per l'aia, il progetto Sopor Aeternus intraprenderà un percorso di sviluppo
virtuoso che si distanzierà dai lidi della darkwave per approdare inizialmente
a quelli di un folk dalle arcane ambientazioni e successivamente ad una
spettrale musica da camera che in effetti si allontanava quasi
definitivamente dalle forme conosciute della musica "popolare".
Siamo giunti al punto dei due
tomi di "Dead Lovers' Sarabande" e del successivo, altrettanto valido,
"Songs from the Inverted Womb", dove la Nostra, alle prese con
pianoforte, clavicembalo, xilofono, percussioni ed altri alambicchi, si circonda
di un folto stuolo di musicisti: archi, fiati e chi più ne ha più ne metta!
Ballate deprimenti si alternano a macabri cerimoniali resi ancora più
estranianti dagli arrangiamenti barocchi. Forse la sacerdotessa Nico,
forse il canto sfibrato di Rozz Williams dei Christian Death
possono fungere da punti di riferimento per comprendere questa musica
indescrivibile che si fa esperienza mistica a metà strada fra seduta
psicoanalitica e seduta spiritica.
Toccato l'apice formale con
questi album (tutti molto lunghi e finemente curati nei dettagli), l’evoluzione
di Sopor Aerernus proseguirà imperterrita, ma compirà una retromarcia verso gli
stilemi del passato, riappropriandosi di parte del bagaglio dark-wave
degli esordi, fino ad impantanarsi nelle paludi del manierismo con gli album
degli ultimi dieci anni. Se da un punto di vista lirico e di atmosfere si
percepirà una maggiore ironia ed una certa distensione nei toni, musicalmente
parlando le composizioni della nostra "divina" Cantodea si faranno
sempre più prolisse e attorcigliate intorno alle solite soluzioni melodiche.
Ma non è solo per via di una
proposta oramai sempre più autoreferenziale ed uguale a se stessa che
Anna Varney mi ha rotto i coglioni. C'è un altro motivo, ma prima
dobbiamo compiere un passo indietro.
Primavera 2004: usciva "Le
Chambre d'Echo", fioccavano le ennesime recensioni entusiastiche ed io
ero nel pieno della venerazione di Sopor Aeternus. Avevo seguito l'evoluzione
artistica del progetto fin quasi dagli inizi e la mia passione era stata
rafforzata dalla sequela dei capolavori che abbiamo appena citato. "Es
Reiten die Toten so Schnell (or: the Vampyre Sucking at his own Vein)"
era stato forse inferiore rispetto alle prove precedenti, ma aveva portato
timide novità (una maggiore orecchiabilità, una presenza ritmica più incisiva,
il recupero di sonorità dark che guardavano agli esordi del progetto) che
avevano gettato pepe su una pietanza che rischiava di divenire stucchevole: la
stessa cosa che capita nel metal quando ci si innamora di band intransigenti
subendo come male minore quella stessa intransigenza, e da un certo punto in
poi si iniziano ad accettare di buon grado tutte quelle concessioni che tanti
artisti si permettono in vecchiaia, stanchi anch'essi della loro rigida ortodossia.
E il fatto che nel nuovo annunciato album, "Le Chambre d'Echo",
sarebbero state presenti inedite soluzioni elettroniche ad ossigenare le tetre
melodie del Sopore Eterno, rendeva il piatto ancora più accattivante.
Insomma, tutto perfetto!, ma…
l'album venne rilasciato in edizione limitata in un cofanetto a costi
elevatissimi, sopra i novanta euro, tanto per intenderci…
Fu per me un colpo al cuore e
per un certo periodo mi trovai combattuto in mezzo ad insanabili dilemmi
amletici (comprare o non comprare?), ma infine decisi a malincuore di
abdicare, perché la musica può essere una passione costosa, ma c'è un limite a
tutto. Il caso volle tuttavia che proprio quell'estate mi ritrovai a fare il
cameriere e, grazie alle sole mance, riuscii a raggranellare un discreto
gruzzolo, che infine mi permise di acquistare l'agognato "oggetto"
del desiderio (e molti altri...) senza troppi sensi di colpa…
Soddisfattissimo
dell'acquisto, pensai che si fosse trattato di una eccezione, ma mi sbagliavo
di grosso, perché da quel momento in poi tutti gli album dei Sopor Aeternus
sarebbero stati rilasciati a costi esorbitanti in inutili cofanetti contenenti book
fotografici, cartoline, sacchetti pieni di terra cimiteriale,
sigilli in cera, biglietti firmati da Anna Varney in persona e
stronzate di questo genere.
Spazientito convenni dunque
che fosse giunta l’ora di chiudere definitivamente con un artista che con tal
moneta ricambiava la fedeltà dei propri fan, ma mi resi conto che, fatto
passare del tempo dalla data di uscita degli album, le versioni economiche
uscivano regolarmente. E così l'epopea Sopor Aeternus ebbe modo di continuare
per un altro po'. Alla fine abbandonai la nave comunque, sia perché reperire
questi prodotti a costi decenti richiedeva uno sforzo di attenzione decisamente
al di sopra della mia volontà, sia perché i prodotti stessi non mi
soddisfacevano più: sempre impeccabili e curatissimi da un punto di vista
formale, portavano avanti con mestiere una stanchezza compositiva che era
divenuta insopportabile.
Ma se Anna Varney mi ha
rotto i coglioni, il motivo non è questo ma un altro. Ancora un passo
indietro…
Proprio perché la musica di
Sopor Aeternus è fuori da ogni schema ed ambiente musicale, per essere sicuro
di non perdere una singola uscita discografica, da bravo fan mi iscrissi
alla newsletter ed ancora oggi, sebbene non segua più da anni il
progetto, mi continuano ad arrivare e-mail. E sono proprio queste e-mail
a suscitare la mia indignazione.
In pratica la casa
discografica, la Apocalyptic Vision Records, non soddisfatta
evidentemente di aver per anni tartassato i fan con fiumi di cofanetti
venduti a prezzi proibitivi per le tasche di chiunque, ha avuto la bella
pensata di organizzare una campagna di raccolta fondi per finanziare la
produzione del prossimo album dei Sopor Aeternus, "The Spiral Sacrifice".
L'obiettivo è 40.000€ e sebbene sembri una bella gran somma (si
tratterebbe delle spese per l'affitto dello studio, per l'ingaggio
dell'ingegnere del suono e dei musicisti turnisti, per l'artwork e per le
"horrorific" tasse, così come vengono definite dal titolare dell'etichetta
Alex Storm), alla fine si tratterebbe di un contributo simbolico di 2€
a testa, se solo partecipassero alla campagna il 10% dei "Facebook
liker".
Non è quindi questione di soldi,
ma di principio. Intanto dà fastidio il ricatto morale: si assicura che se
l'obiettivo non venisse raggiunto i soldi verranno restituiti ai donatori, ma
in tal caso non ci sarà alcun nuovo album dei Sopor Aeternus. Anzi, "sarà
la fine" (scritto in grassetto tanto per sottolineare la minaccia!).
Quello che fa ridere della cosa è che non stiamo parlando delle mega produzioni
dei Pink Floyd: Anna Varney ha dimostrato di saper fare ottimi album
solo con una tastierina Bontempi, addirittura all'inizio se la
immaginava e basta la musica. E ora, se non ha alle spalle schiere di ottoni,
non sarebbe più in grado di fare dischi? Sarebbe invece l'occasione buona
per liberarsi da tutti quegli oziosi e stucchevoli arrangiamenti che nel tempo
hanno soffocato la prorompente urgenza comunicativa dei tempi d'oro.
La cosa che tuttavia infastidisce
dell’operazione è, a mio parere, la mancanza di rispetto nei confronti dei fan:
sono favorevole all'utilizzo del crowdfunding (in Italia non è
ancora un fenomeno diffuso, ma all'estero va decisamente forte) per aiutare
giovani e meritevoli artisti emergenti che non avrebbero altro modo per
realizzare il proprio album di debutto. Ma non sono d'accordo che questo
strumento venga utilizzato per supportare un progetto attivo da più di
venticinque anni: un periodo di tempo in cui un artista dovrebbe aver
consolidato le basi economiche della propria attività.
Evidentemente il culto per il
progetto è ancora vivo, ma probabilmente più sotto forma di "likes"
su Facebook che di acquirenti in carne d'ossa, visto che questa politica dei
cofanetti per miliardari ha portato negli anni ad una progressiva erosione
della fan-base, complice il fatto che il mondo si compone sempre più di
giovani spiantati che ascoltano la musica in rete. A meno che l'obiettivo della
Apocalyptic Vision sia stato quello di raggiungere più comodamente le tasche di
un Lapo Elkann o di un Donald Trump, sfruttando al massimo la
venerazione che un'artista così particolare ed estrema potesse generare.
Mi vengono allora in mente
tutte quelle band metal e non metal che, umilmente, si fanno un culo pazzesco a
suonare nei più sperduti locali del mondo, perché si sa che oggi rende di più
l'attività dal vivo che la vendita di materiale discografico. Quelle stesse
band che ritroviamo a fine concerto dietro agli stand a vendere i loro
dischi e le loro magliette a prezzi irrisori. Quelle band che magari ti
accolgono amichevolmente e ti fanno un autografo sul CD che hai appena comprato
per dieci o dodici euro. Quelle stesse band, infine, a cui non passerebbe manco
per l’anticamera del cervello, per farti avere lo stesso medesimo scarabocchio,
di costringerti a spendere novanta euro per un cofanetto. Ma ad Anna Varney
pesa il culo e non fa concerti.
Ed allora, cara Anna, sai che
ti dico? Per quanto mi riguarda, m'hai proprio rotto i coglioni, per me puoi
rimanere a casa a piangere nel buio, io ti vado nel culo!