"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

20 mag 2017

CIAO CHRIS, SALUTACI IL PARADISO



Il cielo era il tuo campo da gioco / ma la fredda terra era il tuo letto […]

Non avrei mai voluto scrivere queste parole per te / pagine con le frasi di tutte le cose che non faremo mai…

(“Say hello 2 heaven” – C. Cornell)

No Chris, nemmeno io avrei mai volute scrivere queste parole per te…

La notizia arriva tra capo e collo giovedi mattina, mentre sono a lavoro, ed è una mazzata: Chris Cornell è morto e non si sa neppure perché (lo si saprà ore più tardi e probabilmente sarebbe stato meglio non saperlo).

Tornato a casa provo a buttare giù queste righe, di getto, d’istinto, ma sono confuso perché tanti pensieri affollano la mente. Soprattutto i ricordi di quando negli anni universitari, nella mia cameretta, ascoltavo a tutto volume “Superunknown” o “Down on the upside”, provando a fare il verso di Chris, con i testi alla mano dei suoi brani.

Casualità: proprio un paio di mesi fa ero andato, chissà perché, a riprendermi, per “ripassarlo” bene, quel mattone colossale di “Badmotorfinger”. Quanto era cazzuto, duro, fottutamente metal quel disco. A partire dalla copertina.

Certo, i Soundgarden sono sempre stati annoverati nell’ambito del grunge; ma il grunge mica era un monolite fatto e finito! No, aveva diverse diramazioni, diverse modalità di approcciare ciò che lo aveva fatto nascere, che lo aveva prodotto: quel male di vivere, quel senso di emarginazione e vuoto; quel disorientamento che, se sei debole, ti fa precipitare nelle braccia della droga e non ti fa vedere un domani. Droga che alla fine ti ammazza, come successo ad Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone, grande amico di Chris e per ricordare il quale Cornell creò, assieme ai restanti membri dei MLB e alcuni componenti dei Pearl Jam, i fantastici Temple of the Dog, il cui unico e omonimo disco del 1991 è, per chi scrive, il più grande album grunge di sempre (assieme a “Core” degli Stone Temple Pilots).

Chris e i Soundgarden, binomio automatico. Sono stati i migliori i Soundgarden, almeno in quello che potremmo definire il ramo metallico del grunge. I migliori grazia a Cornell, grazie alla sua voce, che sapeva essere flebile e soffusa come scorticante e abrasiva, di una potenza pazzesca che tanti metal singer se la sognano. E furoono i migliori anche grazie ai suoi testi intelligenti, provocatori, mai banali.

Non lo seguivo più da tanto Chris. Direi proprio da quel “Down on the upside” del 1996, un album diseguale, complesso, dove c’è un po’ di tutto. Difficile da assimilare. Ma in realtà era un album con i controrazzi, dove il genio di Kim Tahyil, chitarrista fondamentale per il successo dei Sondgarden, si esprimeva in tutta la sua versatilità. Dopo quel disco, a causa di dissidi interni e stress correlato, seguì lo scioglimento della band. 

Comunque no, preso ormai da altre sonorità in quella fertile metà degli anni novanta, non avevo seguito Chris negli Audioslave e nella sua carriera solista. Ma mi è sempre rimasto nel cuore e nella mente, come un retropensiero che regolarmente si affaccia. E questo non mi capita con tanti altri musicisti. Qualcosa vorrà dire.

Il ricordo chiaro che ho di lui è sul palco, in jeans sdruciti e canotta sudata, a braccia larghe e occhi chiusi a cantare “Jesus Christ Pose”. Ma forse adesso ha più senso salutarlo utilizzando per lui quelle splendide parole che aveva scritto per Andrew, oltre un quarto di secolo fa; due anime fragili che ci piace immaginare adesso ancora una volta a dividere una camera, parlando di musica, da fraterni amici...

I’m warm from the candle
Though I feel too cold to burn
He came from an island
And he died from the treet
And he hurt so bad like a soul breaking
But he never said nothing to me

So…SAY HELLO TO HEAVEN

A cura di Morningrise