"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 mag 2017

NONOSTANTE TUTTO NOI STIAMO DALLA PARTE DI MARIO: "REPORT MENTIS" DEL M.aG. METAL FESTIVAL - TEATRO CARIGNANO, GENOVA (13/05/2017)



Un concerto dei The Black di Mario Di Donato non è cosa da sottovalutare, in quanto evento più unico che raro: il Nostro infatti è solito manifestarsi al suo pubblico in occasioni speciali, fra l'altro molto centellinate nel tempo, e non in tour veri e propri.
Come esimersi dunque dal presenziare al M.aG. Metal Festival di Genova dove il musicista abruzzese avrebbe figurato niente meno che come headliner?

Ci siamo stati, dunque, dovevamo esserci, frementi e trepidanti di poter vedere Mario "The Black" Di Donato di nuovo sulle assi dopo la calata, sempre a Genova, di qualche anno fa al Teatro Albatross. Gli esiti tuttavia non sono stati all'altezza delle aspettative. Lo diciamo subito: è stata la classica serata no. Ma in qualità di massimo conoscitore in sala dell'ars mentis di Di Donato, mi sento addosso una missione: riabilitare l'immagine di tale monumento del metal tricolore agli occhi dei profani che non lo conoscevano e che non lo hanno apprezzato.
Eravamo lì per lui, quindi giungiamo al Teatro Carignano assai tardi, appena in tempo per il set dei Vanexa, che nostro malgrado dovremo sorbirci per intero. Ma non sarà un dispiacere, anzi.
Per la cronaca, si era iniziato a suonare dal pomeriggio: facevano infatti parte della partita anche Damnation Gallery, Bellathrix ed Arcana 13, che al sottoscritto sarebbe anche interessato vedere in quanto ho letto molto bene su di loro (ci riferiscono fonti accreditate che gli Arcana 13 hanno spaccato di brutto, con il loro doom granitico “felicemente” abbinato alla proiezione di pellicole, classici del cinema dell'orrore, tutto ovviamente molto vintage, in linea con il concept che sta dietro al progetto). Un peccato averli persi…
L'impressione generale, in ogni caso, è che si sia consumata una gran bella festa metal animata da un parterre anagraficamente variegato che ha visto come estremi da una parte i "senatori a vita" (veterani di età piuttosto avanzata che fa sempre piacere incontrare: un po' come il vecchio partigiano che al circolo ti racconta della Resistenza), dall'altra colui che indubbiamente ha vinto la palma di "più giovane di tutti", ossia un bambino di pochi anni che, in braccio al padre, ha dimostrato un entusiasmo pari a quello degli adulti. Registrata inoltre la presenza di qualche rappresentante del gentil sesso, in tenuta rock/doll o dark/fetish a rispecchiare le due anime dell'evento: hard/heavy da un lato e doom/gothic dall'altro.
Passiamo dunque alla musica. Parto da un presupposto antipatico: i Vanexa non mi dicono nulla. Hanno una storia, hanno i brani, sanno suonare, suonano coesi, sono dei grandi intrattenitori e stasera sono fottutamente in palla, eppure, per tutto l'arco del loro set, non posso che domandarmi: ma perché dovrei comprarmi un CD dei Vanexa quando basta possedere un album qualsiasi di Deep Purple, Whitesnake, Judas Priest, Saxon o del Dio solista? Ok, no problem: non passeremo allo stand a frugarci il portafogli per arricchire la nostra collezione con un album dei Vanexa, questo è certo.
Godiamoci dunque il concerto: energico, adrenalinico, a tratti spettacolare, con una solida base ritmica e le due formidabili asce a scambiarsi continuamente ritmiche ed assoli, il tutto baciato dalle continue ovazioni del pubblico. Del resto i Nostri stasera giocano in casa e la platea festante li omaggia come se fossero delle divinità, nonostante l’organico della band veda oggi la presenza di soli due reduci del nucleo originario (Sergio Pagnacco al basso e Silvano Bottari alla batteria). E certo l'abbandono del chitarrista storico, nonché compositore principale, Roberto Merlone non è stato certo indolore: a rimpiazzarlo troviamo un cavallo di razza come Pier Gonnella (ex Labyrinth, Mastercastle, Necrodeath) e l'estroso Artan Selishsta, responsabile di una bella parentesi "orientale", ambito di cui si dichiara appassionato. Il nuovo ingresso Andrea “Ranfa” Ranfagni (in formazione dall'ultimo album "Too Heavy Too Fly" dell'anno scorso) fa il suo dovere dietro al microfono, sebbene ai miei occhi non mi appaia troppo credibile per l'eccessiva somiglianza con Demo Morselli, il direttore d'orchestra di Buona Domenica (vabbè, la capigliatura di Gonnella mi ha ricordato Marty Friedman, e così i conti vengono presto pareggiati!).
Il fatto è che sul palco succede di tutto, la folla è in estasi, ma in pochi si rendono conto che in realtà non sta succedendo praticamente niente. I cliché dell'hard rock e di certo heavy ottantiano vengono ripercorsi in modo anche troppo prevedibile, in salsa "provincial metal". E qui si capisce il perché i Nostri non abbiano sfondato nonostante la bravura, la professionalità e il fatto che si siano affacciati sul mondo discografico assai presto (l'omonimo album di debutto risale al 1983): il problema, infatti, è che i Vanexa non hanno detto nulla di nuovo o di diverso (o almeno di "leggermente diverso") nel corso della loro più che trentennale carriera. Se godono di uno status di culto (ma secondo me nemmeno di quello al di fuori della Liguria) è per quella strana regola che se una band resiste per decenni nell'underground senza vendere una mazza, automaticamente diventa degna di rispetto. Con il vantaggio della “storicità”, oltre al fatto di saper stare sul palco, i Vanexa, nostro malgrado, costituiranno l'apice del festival, almeno da un punto di vista sociologico: dopo la loro coinvolgente e sfavillante performance, infatti, tutto sarà in salita per il nostro beniamino Di Donato.
Del resto, dopo una sfavillante giornata di metal, dopo una band che ha giocato la carta della multimedialità ed un'altra veramente cazzuta ed interattiva, come era possibile affrontare con serenità un uomo quasi immobile sul palco che fa una musica praticamente strumentale, senza ritornelli, la cui esibizione viene per giunta penalizzata da inconvenienti tecnici? Eccoci dunque alla triste storia di Mario Di Donato.
Si è fatta nel frattempo mezzanotte: siamo in ritardo di un'ora sulla tabella di marcia e la gente inizia ad accusare la lunga giornata. La location (poltroncine, luci blu) nondimeno concilia il sonno. Fatto sta che sotto il palco c'è molta meno gente che con i Vanexa: molti erano qui solo per loro, evidentemente. C'è chi persino sfrutta la pausa per schiacciare un pisolino e c'è da dire che pure il sound-check, unito alle vaghe aspettative dei più, sembra voler condurre direttamente nelle braccia di Morfeo: mesti e serafici figuri provano con estrema calma gli strumenti, come se fossero le nove di sera. Nel frattempo sono stati posti cinque o sei lumini da cimitero per terra e due croci di metallo, dal lungo piedistallo, ai lati: orpelli macabri volti ad introdurre, senza destare emozioni particolari negli astanti, un apparato scenico a dir poco minimale. Ad un certo punto sul palco compare anche il Marione, la cui presenza è quantomeno magnetica: volto scavato dai segni del tempo, espressone torva, si guarda attorno con fare circospetto come se fosse appena uscito da un oscuro mondo sotterraneo, dove presto, finito il concerto, sarebbe ritornato strisciando. I sorrisi e le battute dei Vanexa sono già un lontano ricordo e non si capisce quale delle due dimensioni, la passata o la presente, sia la più inquietante…
Cosa aspettarsi? A quanto mi risulta non è stato pubblicato nulla di recente a nome The Black, anche se si vocifera che vi siano in cantiere almeno un paio di album praticamente pronti. Tenendo conto che i concerti dei The Black non sono dei greatest hits, quel che è lecito attendersi è l’anticipazione di materiale inedito. E così sarà, o almeno questa è la mia impressione, corroborata dal fatto che possiedo quasi tutta la discografia della band e non riconoscerò nessun brano.
Silenzio, le luci si abbassano, le voci accavallate di un coro gregoriano introducono l'ingresso dei musicisti: individuo subito il fido Gianluca Bracciale dietro le pelli, ma con rammarico noto l'assenza del veterano Enio Nicolini, che con il suo carisma avrebbe dato un qualcosa in più, perlomeno a livello scenico; al suo posto troviamo un non meglio identificato giovinastro che tuttavia al basso farà il suo dovere. E poi, anticipato da un affossante quattro quarti, ecco che entra Di Donato, con addosso la canotta dei Requiem, armato della sua chitarra e con ben due microfoni a disposizione. Microfoni che, almeno nella prima parte del set, non fungeranno, lasciando il buon Di Donato a fare il pesce per i primi due brani (che anche il fonico se ne sia andato a letto?). Dopo le varie lamentele del cantante, verrà aggiunto un terzo microfono, ma le cose miglioreranno di poco, e purtroppo questi problemi tecnici pregiudicheranno la buona riuscita dell'esibizione.
Di fatto il problema non sarà fare a meno della voce di Di Donato (che non è un cantante e la cui musica alla fine può essere fruita serenamente anche come strumentale), semmai il mood di scoraggiamento generale, sia per quanto riguarda il pubblico (già provato dalla giornata e comunque non interessato più di tanto alla band), che per quanto riguarda i musicisti stessi, in primis proprio Di Donato, che completerà il concerto assai scazzato. Non dico svogliato, perché alla fine la sua musica (almeno a livello chitarristico) è talmente impegnativa da richiedere continuamente attenzione e dedizione da parte di chi la esegue, ma alquanto irato sì. Tant'è che i suoi pochi interventi tradiranno una certa irritazione e in nemmeno un'ora scarsa di concerto il tutto si concluderà (vuoi anche per la tarda ora) senza bis.
Che dire: dal punto di vista "ufficiale" non si può negare che l'esperienza si sia rivelata nel complesso un disastro. Per io che sono un estimatore dei The Black è stato particolarmente doloroso vedere la loro musica deturpata da così tanti e vistosi problemi tecnici, ma soprattutto essere circondato da un pubblico così distratto, diviso fra chi se ne andava al bar, chi parlava ad alta voce e chi rimaneva per dormire sulle comode poltroncine. Eppure io, appunto perché sono grande cultore del progetto, ho saputo apprezzare ancora una volta la grandezza artistica di Di Donato, chitarrista portentoso e dalla forte spiritualità.
Non voglio fare quello di parte, ma ho udito più idee nei primi due minuti dei The Black che in tutto il concerto dei Vanexa. L'impronta è sostanzialmente sabbathiana, ma i ricami di Di Donato sono personali e solida è la sua visione artistica, sospesa fra doom arcano e fughe progressive. Quello che ho inoltre apprezzato dei nuovi brani è il recupero di una vena black che era presente all'inizio di carriera di Di Donato: un black che si è manifestato attraverso rancidi arpeggi elettrificati e persino tramite qualche sporadica accelerazione (a tratti mi son venuti in mente i farraginosi Ophthalamia di "Via Dolorosa", ben consapevole che Di Donato non avrà la minima idea di chi siano costoro).
Il riffing si fa ipnotico, poetico a tratti, ossessivo in altri, ma è sempre ispirato, pervaso da un’aura mistica ed articolato in melodie calde ed avvolgenti e temi geniali: sessioni chitarristiche dominate da una irrazionalità formale che viene in parte arginata dai frequenti cambi di tempo di Bracciali. Un Bracciale in affanno, questo va detto, forse per il fatto che non vi è stato sufficiente tempo per provare adeguatamente i pezzi prima di questa data. Del resto non deve essere facile correre dietro alle continue mutazioni del chitarrismo free di Di Donato, agli imprevisti cambi di ritmo di brani che si muovono fuori dal formato canzone e che prevedono lunghe code strumentali. E così si ha avuto qualche pasticcio anche a livello di sezione ritmica, con brani troncati senza tanti complimenti, non si capisce bene se per volere della band o per mancanza di intesa.
Eppure, nonostante questo (e non era semplice ignorare una voce che non c'era e una batteria che andava un po' per i cazzi suoi), le mie orecchie e il mio cervello sono comunque rimasti deliziati da questo genio chitarristico che ovviamente non è stato compreso dai più, interessati maggiormente alle sicurezze del metal classico, ai ritornelli anthemici o alle proiezioni di film. Nel mio intimo, estraniato da tutto il resto, ho goduto: non distante dal palco, ho potuto seguire i movimenti delle dita e il profilo arcigno di Di Donato, reso ancora più aspro dalla espressione contrita di chi è incazzato nero e vorrebbe mandare tutti affanculo ed invece gli tocca stare sul palco e suonare. Ma secondo me questo umore ha conferito un fascino diverso al concerto, un'atmosfera di vera misantropia che dona alla musica oscura di Di Donato.
Fra i pochi scambi con il pubblico, segnaliamo uno scoraggiato "nonostante i problemi andremo comunque avanti", una sentita dedica ad un amico scomparso con annesso un ringraziamento alla storica etichetta Black Widow, una presentazione a denti stretti degli altri componenti della band (di cui non abbiamo capito i nomi) ed un lapidario "la notte incombe" per introdurre, appena dopo cinquanta minuti, l'ultimo brano della serata. Annuncio tutto sommato accolto con sollievo anche da me, un po' per la stanchezza, un po' per quell'irritazione che mi procura vedere così deturpato del materiale dal gran potenziale che poteva rendere molto di più, se adeguatamente valorizzato. Magari non collocando il set del Nostro così tardi e magari con un trattamento sonoro più rispettoso della grandezza dell’artista in questione.
Al Teatro Albatross, qualche anno fa, le cose andarono decisamente meglio, con un solo gruppo spalla ed un album da supportare (il meraviglioso "Gorgoni") già pubblicato e dunque meglio conosciuto sia dalla band (con Nicolini presente in formazione) che dal pubblico. Ed ovviamente con una voce udibile, che non è chiedere troppo, secondo me...
Grande Mario, è andata come andata, ma noi rimaniamo comunque con te: trepidanti e frementi attendiamo la tua prossima incursione in questo mondo!