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9 mag 2019

VIAGGIO NEL METAL ASIATICO - IL "GELO TROPICALE" DEL BRUNEI




Darussalam, Dimora della Pace. Così viene anche chiamato il Sultanato del Brunei. Un luogo talmente pacifico che, a breve, il Sultano e Monarca assoluto Hassanah Bolkiah (che governa democraticamente e pacificamente da soli 51 anni…) farà entrare in vigore la sharia, con tanto di taglio di mani e piedi per i ladri e lapidazione per adulteri e omosessuali. Insomma, roba da IS. O da Arabia Saudita.


Ma, così come tolleriamo l’inosservanza dei diritti civili in Arabia perché alleato occidentale nel Vicino Oriente e fornitore petrolifero privilegiato, così sorvoliamo sulle nefandezze del Brunei, dove il nostro Hassanah, tetragono più che mai a qualsivoglia pressione interna e/o esterna, accentra in sé tutti i poteri (legislativo-esecutivo-giudiziario-religioso). E ci facciamo una ragione anche del fatto che i partiti politici siano banditi, le libertà religiose ristrette (i pochi cristiani non possono neppure festeggiare il Natale) e la struttura amministrativa sia di stampo feudale, a regime familistico. E questo perchè, come le Isole Cook o Panama, anche il Brunei, oltre che grande produttore di petrolio da quasi un secolo, è un utile paradiso fiscale (e neppure tra quelli inseriti nelle black list internazionali…).

E pazienza se i proventi del greggio, anziché essere usati per asfaltare le strade delle zone interne del paese o costruire qualche ospedale in più (ma c’è da dire che istruzione e sanità sono completamente gratuiti per i bruneiani) vadano per finalità ben più importanti, come ad esempio mantenere il parco macchine di Bolkiah (migliaia e migliaia di supercars) e la sua reggia di 200.000 m² con 257 bagni (del resto, su un’area così vasta, se ti scappa la grossa è sempre bene avere un cesso a portata di mano). Il denaro compra tutto. Nella forma mentis del Sultano evidentemente anche le persone, tanto che, dopo le Olimpiadi di Atlanta nel 1996, offrì al nostro medagliato Ennio Falco 2 mln di dollari per cambiare nazionalità e diventare bruneiano (l’idea era quella di far vincere la prima medaglia olimpica al paese…). Per onor di cronaca, Ennio, umilmente, rifiutò.

E non è forse un caso se la scena metal bruneiana non si è sviluppata principalmente, come ci si aspetterebbe, nella capitale Bandar Seri Begawan, dove vivono i 2/3 dell’intera popolazione. Ma c’è più vitalità metallica in periferia, come a Muara (estremo est del paese), Tutong (centro) e soprattutto a Kuala Belait, estremo ovest al confine con la Malesia. Da qui infatti provengono diverse band dedite al metallo estremo, come i Deamon, probabilmente la prima metal band bruneiana, attiva da inizio anni novanta e, forse, ancora attiva. Dico “forse” perché le sue tracce si perdono nel 1992, anno del loro ultimo EP “Hellstorm”. Come si suol dire, se ci siete battete un colpo (regime di Bolkiah permettendo).

Da un decennio non lo battono, il colpo, neppure i Grotesque (da non confondere con la mitica band death svedese), che nel 2009 si erano resi fautori di un ottimo singolo “Let me fall”, un death metal oscuro e alquanto primigenio ma ben suonato e con un cantante, tal K-Rol, degno (cosa non scontata in Asia).

Qualcosa di più recente la ritroviamo invece in uno split a 4 (sic!) del 2018, “Invoking the nusanthropian supremity” (della serie: l’unione fa la forza). Vediamo un po': a far da apripista sono i Luk Tujuh, one man band creata dal polistrumentista Adukasaria Sang e che si esprime, con una produzione raffazzonata ma calda, in un power melodico strumentale che, se non fa di certo gridare al miracolo, è comunque de core. Meglio prodotto parrebbe un loro upcoming EP, dove a emergere in modo preponderante è invece la vena folk della band. Era il 2012 e dell’upcoming ep non vi sono tracce…
Se dei Masyghul non riusciamo a reperire alcun brano, qualcosa si riesce ad ascoltare di altri protagonisti dello split. Ad esempio dei Noiratasya (traducibile come Fantasia Nera). E ci si riesce perché i giovani si son fatti mettere sotto contratto in Thailandia quando nel 2007 han dato alle stampe un discreto full lenght di black metal a tratti primordiale e in altri avantgarde, ma nel complesso atmosferico e ben architettato. Al di là della solita voce inascoltabile (un grugnito cavernicolo disarticolato, alternato a rantolii gargarismatici) il duo ci mette cuore e passione, risultando credibile. Del resto il black rimane il veicolo privilegiato anche del metal bruneiano, tanto che tra le formazioni disciolte possiamo trovare gli ottimi Azmael che già nel 1994, quando in Europa eravamo nel piano dell’ondata BM norvegese, anche qui si davano alle stampe demo malvagi tanto quanto. Ascoltatevi l’ottimo “The legend of the eastern land” per credere…

L’infaticabile Adukasaria lo troviamo anche dietro al progetto Shadowmirth, band melo-death che però non è ancora riuscita ad esprimersi sulla lunga distanza (un EP e un paio di split per loro), gravati da carenze strumentistiche che affossano i brani, i quali, tra le nebbie di suoni da cantina, non sembrerebbero essere neppure malvagi. Il melo-death (lontano però dagli stilemi scandinavi) ci regala anche un po' di gnocca con i Senjakala, che presentano la graziosa Sam Siren come frontwoman (non particolarmente dotata per la verità). Trascurabili.
Molto meglio invece, rimanendo nel genere, i Draconaeon che già dal 2003 si erano affermati nell’underground locale con l’ottimo singolo “Rivers of blood, rivers of sorrow”. La band si è sciolta nel 2015 ma, inspiegabilmente, nel 2017 li ritroviamo in uno split con i Suicidal di Singapore: 3 brani per loro ma…già editi in una loro demo del 2007 (ma che cazzo di senso ha?!). Ad ogni modo mi sembrano tra le migliori cose del Brunei, sia per tecnica che per capacità compositive. Bravi bravi.

Non mancano neppure in questo piccolo sultanato band di groove/metalcore, generi che non ci esaltano granchè (da segnalare comunque i Beyond Fiction, autori anche di un paio di video reperibili on-line) e cerchiamo di rintracciare un po' di metal classico, ma, anche in Brunei, non se ne trovano molti. Citiamo giusto i buonissimi Wartillery autori di un paio di EP debitori del primo thrash anni ottanta (i Metallica di “Kill’em all” sono un riferimento). Spassosissimo il loro video di “Dying to live” girato con amici che pogano in modo sfrenato all’interno di una stanzetta di 15 m² ingombra di scatoloni e sacchetti dell’immondizia. Il video termina con la consegna a domicilio di pizze da asporto, una bella mangiata collettiva e tutti i membri della band col muso sporco di pomodoro
Più professionali e seriosi gli Hebiimetaru (traslitterazione dal giapponese che sta per heavy metal) che mescolano heavy classico a groove metal e qualche arrangiamento di tastiera in sottofondo.

Insomma, il viaggio in Brunei ci ha soddisfatto, più che altrove; va detto che, rispetto a molti altri paesi asiatici, qui troviamo produzioni più raw, meno professionali, ma con idee nondimeno valide. E sempre incentrate su generi estremi con atmosfere sul gelido andante. Quasi fosse un modo, da un lato, di combattere il caldo umido tropical-equatoriale, e dall’altro di esprimere un disagio e una libertà artistica "estrema" nonostante il clima repressivo del regime sultanino.

Confidando che Bolkiah sia più distratto dall’incrementare il suo parco macchine piuttosto che occuparsi di qualche giovane musicista anti-sistema…

A cura di Morningrise

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