"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 mag 2019

MANOWAR, MISSIONE FALLITA: IL METAL IN MANO AI RAMMSTEIN




La cosa mi diverte. Da anni noi vecchie cariatidi del metal lamentiamo il mancato ricambio generazionale dopo gli anni ottanta. Ci lamentiamo che il metal è morto, ma abbiamo ancora la forza di buttare un orecchio all’ultimo patetico EP dei Manowar, sapendo bene che non vi troveremo niente di buono. Quel metal di spade è finito, rimpiazzato al massimo dalla sua versione giocattolo, alias Rhapsody of Fire e compagnia. 

Ci lamentiamo che ogni anno gli headliner ai festival son sempre i soliti Iron Maiden e Judas Priest e che nessuno è riuscito a sostituire i grandi padri del Metal, non rendendoci conto che quegli stessi festival non sono più solo metal, ma happening di ampio respiro che accolgono indistintamente Tool, Smashing Pumpkins, Dream Theater (tanto per citare il bill dell’edizione 2019 di Firenze Rocks) e, sì, ancora Iron, Judas ed Ozzy, perché anche loro fanno fare i soldi, al pari di Foo Fighters e Queens of the Stone Age.


La cosa mi diverte perché continuiamo a considerare "realtà emergenti" dei gruppi che hanno alle spalle quasi trent’anni di storia; li liquidiamo con un sorriso di sufficienza solo perché si presentarono agli antipodi dell’ortodossia del metallo classico; li vediamo ancora come dei fenomeni evanescenti destinati a scomparire nell’arco di un paio di stagioni, mentre nel frattempo si sono stra-affermati, vendendo milioni di dischi e riempendo puntualmente gli stadi. E i loro videoclip si aggiudicano un'infinita di cliccate su YouTube. Prendi i Rammstein: e se invece fossero oggi dei big del metal come lo sono stati i Metallica del dopo Black Album


Chiariamoci: sebbene li abbia scoperti per caso (e in tempi non sospetti) imbattendomi nei due loro pezzi presenti nella colonna sonora di "Strade Perdute" di David Lynch (anno 1997), i Rammstein, non mi sono mai piaciuti: li trovo banali e ruffiani, cosa che però li rende famosissimi fuori dai ranghi del metal. Queste mie considerazioni risulteranno risibili per il metal-kid che è cresciuto con i Rammstein già forti di un nome consolidato nel panorama rock, se proprio non si vuol parlare di metal (ma perché, poi? Non hanno forse dei bei chitarroni anche loro?). Per un ragazzo nato nel 1996 il nome dei Rammstein ha probabilmente lo stesso peso che ha quello degli Iron Maiden per noialtri nati verso la fine degli anni settanta. E tenendo conto che gli Iron per gli ultimi quasi tre decenni hanno faticato a proporre qualcosa di soddisfacente su disco, c’è poco da schernire i Rammstein, che invece ritornano sul mercato dopo una decade di saggio silenzio discografico. 

Il 17 maggio 2019 è la data di uscita prevista per il loro settimo album, dopo dieci anni dal precedente “Liebe ist fur alle da”. Il 28 marzo scorso è apparso in rete “Deutschland” (un titolo un programma), brano di cinque minuti e mezzo avviluppata in un video di quasi dieci minuti: mega-produzione da colossal hollywoodiano che, fra verità e fiction, passa in rassegna la storia della Germania, da un’immaginaria Magna Germania del 16 avanti Cristo ad un futuro fantascientifico, passando ovviamente per le atrocità del nazismo. Immancabili le polemiche, tanto che la data di Parigi è stata cancellata per protesta in un tour, ricordiamolo, che vanta un quasi tutto esaurito. Sebbene poi l’ufficio legale della band fa presto sapere che i prigionieri impiccati nel campo di concentramento del video hanno cucite al petto stelle di colore diverso, a rappresentare le diverse cause di persecuzione e reclusione (non solo l’essere ebreo, quindi, ma anche l’essere omosessuale, oppositore politico ecc.): classica provocazione calibrata al millimetro.

Che dire, un ritorno con il botto, sebbene il brano sia la solita paraculata targata Rammstein. Eppure “Deutschland” è un bel midtempo, ci mette un po’ per decollare, ma quando parte, lo fa a suon di chitarre grasse ed epiche che celebrano adeguatamente, e con la giusta enfasi, un ritorno che si è fatto attendere una decade. E se al terzo ritornello, al grido di "Deutschland uber allen", una lacrima può effettivamente scendere sulla guancia, i meno disposti ad emozionarsi, dovrebbero almeno realizzare che è proprio in questi momenti che l’ufficio comunicazione del PD dovrebbe prendere appunti. 

Con perfetto tempismo ecco che il 26 aprile esce il secondo singolo, “Radio”, piacevole pezzo tunzettone dagli apprezzabili rimandi ai Kraftewerk (e con il solito riffone che ti si fissa in testa dal primo istante). Il video sulle prime sembrerebbe più svagato e meno impegnativo del precedente, ma si rivela anch’esso un altro indubbio capolavoro di paraculaggine. Intanto una bella fotografia in bianco e nero ad opporsi all’esplosione di forme e colori che aveva caratterizzato il mini-film “Deutschland”. E poi la solita ironia sferzante, che tuttavia non diviene mai davvero cattiva, quel provoco-non provoco che sempre trova un equilibrio a prova di cause legali: un colpo ai benpensanti con donne che si masturbano con apparati radiofonici (tac!), riferimenti al movimento delle Femen per prevenire critiche dal fronte femminista (tac!) ed ovviamente un immancabile pizzico di nazismo che non guasta mai! 

La musica regge il passo, almeno in questi due episodi, fornendo sostanza e fondamenta a tutta la messinscena: riff potenti, elettronica bombastica, vocioni tonanti, anthem da cantare in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Certo, è la stessa formula che i Rammstein ci propinano da quando si materializzarono sul mercato discografico molti anni or sono, ma francamente non ci saremmo aspettati altro. Povertà di idee? Andare sul sicuro? Dite quel che volete, ma non che i Nostri (o chi per loro) non ci sappiano fare a livello di marketing, comunicazione, immagine, tempismo, capacità di confezionare un prodotto efficace benché semplice (e comunque non più semplice di certo metal classico di una volta). Il successo e le chiacchiere non mancheranno di certo; a mancare è solo il riconoscimento ufficiale da parte del popolo metallico, in particolare il riconoscimento da parte di una certa fascia anagrafica più datata, visto che le generazioni successive di metallari hanno oramai da tempo accolto i Rammstein in famiglia

Laddove anche i Metallica (che continuano ad essere i “più forti di tutti”) potrebbero iniziare a stancare (e sarebbe l'ora!), i Rammstein si candidano di diritto a fenomeno metal onnicomprensivo in grado di abbracciare un po’ tutti, belli e brutti. Quanto al metal che ci piace, per quello dobbiamo ormai guardare ai generi di nicchia e ai piccoli club.

E i mitici, puri, onesti ed indefessi Manowar? Questi signori, che si professano Re del Metallo e Difensori dello stesso, negli ultimi venti anni non hanno fatto altro che dormire sugli allori: nessuna innovazione stilistica (ma su questo punto non avevamo aspettative particolari), ispirazione men che zero, le stesse identiche ed oramai indistinguibili copertine prese da angolazioni diverse, le cinque medesime parole (Warriors, World, War, Gods, Battle) rivoltate in tutte le combinazioni possibili. Una caduta inarrestabile che li ha visti con l’EP “The Final Battle I” toccare il punto più basso della loro carriera. Ennesimo flop artistico che si inserisce in un momento di grande difficoltà per la band, con il chitarrista Karl Logan arrestato per possesso di materiale pedo-pornografico e l'annuncio del tour finale della loro carriera con musicisti reclutati da cover-band per risparmiare (obbligatoria l'immediata retromarcia, fra sputi ed insulti, con la chiamata dietro alle pelli di Anders Johansson, che perlomeno, avendo militato in Hammerfall e Yngwie Malmsteen’s Rising Force, possiede un curriculum all’altezza della situazione). 

Cari Manowar, voi non siete più il Vero Metallo, voi siete semmai la causa prima della decadenza del metal. Non siete onesti, ma vili e poco intelligenti affaristi che oramai marciano solo sul nome, pensando ai loro "amati" fan solo quindici minuti all’anno per capire che cagata-ad-impegno-zero dar loro in pasto. Da troppi anni coglionate i vostri fan, erodendo inesorabilmente una storia gloriosa forse sopravvalutata e in ogni caso troppo breve. Al di là dei proclami altisonanti, la vostra condotta è indecorosa. 

Siete vergognosi.