Ed eccoci alla terza e ultima parte della nostra Retrospettiva sul lato oscuro/metal della musica di Fabrizio De Andrè.
Nella seconda parte eravamo arrivati al 1975 e al suo ottavo disco di inediti in studio. In quest'ultima sezione affronteremo gli ultimi 20 anni della sua carriera artistica. 20 anni in cui il Nostro pubblicò "appena" 5 dischi. Ma che dischi...
Dopo la fruttuosa collaborazione con Francesco De Gregori, il Faber si affida a un altro grande talento del cantautorato italiano: Massimo Bubola. Il risultato è ancora una volta strabiliante, un disco di un’espressività e di una varietà da lasciare a bocca aperta. Virando sul folk a forti tinte rock, ma non tralasciando la parte più intimista-cantautoriale, “Rimini” è una sola, lunga, consecutiva ballata di una tragicità devastante; non propriamente un concept album ma attraversato da un chiaro fil rouge tematico. Si susseguono storie di drogati, omosessuali, fuorilegge, prostitute, omicidi, suicidi, naufragi, morti in guerra…al disincanto e all’amarezza che trasudano dai versi fa da contraltare la musica: energica, a tratti “positiva”, scossa da vibrazioni elettriche, ritmiche sostenute, percussioni improvvise, arrangiamenti vari e ricchi, stratificati (vengono sperimentati fagotti, mandolini, fisarmoniche, trombe e perfino ocarine!). E vi troviamo anche una certa leggerezza da ballata popolare (“Volta la carta”, “Zirichiltaggia”). A livello metallico c’è l’imbarazzo della scelta. E la mia scelta ricade su:
13) “Coda di Lupo” (da “Rimini”
– 1978)
Forse il più rock dei brani fino
a quel momento composto dal Faber (forte ed evidente l’influenza della mano di
Bubola), la song è attraversata da assoli di chitarra elettrica come mai prima
avevamo sentito nel canzoniere deandreiano. Il testo, molto complesso e
simbolico, giustappone il percorso di crescita di un giovane pellerossa, che entra nel
mondo adulto, con la disillusione della generazione sessantottina che si
scontra con la durezza e la violenza degli anni settanta. Un must.
La tourneé con la PFM, il
rapimento in Sardegna, la liberazione, la decisione di non lasciare l’isola…i
mesi che vanno dal dicembre 1978 al dicembre ’79, sono tra i più importanti da
un punto di vista personale per FdA. Il risultato? L’ennesimo
capolavoro…l’album omonimo uscito nel 1981 (ribattezzato “L’indiano” per la
celebre, suggestiva, copertina) è un coraggioso progetto che mette in parallelo, a livello tematico, quella Sardegna così amata (e celebrata
continuativamente nel disco) e i Nativi Americani. Musicalmente, appoggiandosi
ancora alla qualità compositiva di Massimo Bubola, il Nostro innerva nel sound già magniloquente del precedente “Rimini”, influenze fusion, blues, cori, rumori
naturali…oltre a un ancor più corposo strato folk/rock (strepitosi gli
arrangiamenti del compositore americano Mark Harris che si
cimenta con risultati da pelle d’oca anche alla voce in “Ave Maria”,
paradossalmente la canzone più dura del lotto). Difficile scegliere in cotanto
ben-di-dio (“Quello che non ho”, “Canto di un servo pastore”, “Hotel
Supramonte” sono tutti brani imprescindibili del suo canzoniere), ma direi che,
metallicamente parlando, non si può prescindere da:
14) “Fiume Sand Creek” (da “Fabrizio
De Andrè” – 1981)
"Fiume Sand Creek" sta a de Andrè come “Run to
the Hills” sta agli Iron. Lo sterminio di una tribù Cheyenne nel 1864 ad opera
delle milizie del Colorado, viene ripresa come simbolica per la
“colonizzazione” del popolo sardo, con un ritmo e un arrangiamento
cinematografico. Il dramma visto con gli occhi di un bambino, intervallato da
quel “mmm mmmm mmm” è, ad ogni ascolto, da pelle d’oca.
15) “Se ti tagliassero a pezzetti” (da “Fabrizio De Andrè”)
Per chi scrive, una delle canzoni
“superiori” del Faber. Introdotta da un piano jazzato, la song si sviluppa su
un semplice ritmo di chitarra classica che si movimenta dalla seconda strofa
con l’inserimento di tastiere, batteria, basso elettrico e una chitarra elettrica soffusa
e in sottofondo che ricama trame delicate mentre il Faber racconta la parabola
tragica di una ragazza che insegue la libertà, anche in una fugace storia
d’amore. Fino a incontrare la Morte per mano di un assassino. Il verso che apre
e chiude la canzone è tra le cose più liricamente emozionanti mai scritte dal
Faber. Dolce, delicata ma atroce e tagliente come una lama…
Lungi dal volersi sedere sugli
allori, e spinto da un costante desiderio di evoluzione, FdA abbandona gli
stilemi dei due album precedenti, salutando la collaborazione con Bubola, per
abbracciare quella con il polistrumentista e compositore piemontese Mauro Pagani. Il risultato? Qualcosa di
inaudito per la musica d’autore italiana: un album cantato completamente in dialetto
ligure (e per di più molto stretto). Prendendo a prestito strumenti tradizionali
dei paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo (in primis nordafricani), il
Faber riesce, incredibilmente, a comporre un concept album che è al contempo
fortemente caratterizzato localmente, ma attraversato da un respiro universale. Se da un lato rinuncia alla comprensione dei versi (elemento decisivo del suo
cantautorato fino a quel momento), dall’altro il suono dei versi impastati con
gli arrangiamenti creano un mood che è trasversale alle genti, al tempo e ai
luoghi.
Nonostante la mossa,
commercialmente parlando, fosse potuta sembrare suicida, l’accoglienza di
pubblico e critica fu al contrario entusiasmante. Sancendo il successo dell’azzardata
visione deandreiana.
Tra prostitute di diversa
estrazione sociale, venditori di pesce ambulanti, esattori dal cuore d’oro, il
punto di vista metal è ben rappresentato nel disco da:
16) “Sidùn” (da “Crȇuza de mä” – 1984)
Sidone, Libano, anni ottanta.
Introdotta dalle voci di Reagan e Sharon, seguite dal suono dei cingoli dei
carri armati, è la descrizione, atroce, della morte di un bambino durante la
guerra civile libanese e della conseguente disperazione di sua madre. Una morte
innocente che, simbolicamente, è quella di un’intera civiltà. La dolcezza della
lingua genovese non può nascondere l’uso di immagini e termini durissimi: le
persone che fuggono dagli occhi arrabbiati dei soldati e dai loro spari come
fossero selvaggina, i ferri in gola, il sangue raggrumato, la durezza della
deportazione. Il coro finale a più voci, dolcissimo e disperato al contempo, è ancora una volta da goosebumps. Sensazioni metal allo stato puro…
A distanza di 6, difficili, turbolenti anni da "Crȇuza de Mä", il Faber sforna l’ennesimo album di livello eccelso. Lungi dal pensare di poter rifare un CdM – Parte II, il Nostro, coadiuvato dall’estro di Pagani, dà alle stampe "Le Nuvole", il suo album più complesso, vario, articolato, discordato, parlato in diverse lingue, ma comunque capace di mettere assieme tutte le anime che aveva espresso in quegli oltre 20 anni di carriera. C’è nuovamente il recupero delle canzoni di impronta medievale (“La nova gelosia”); quello dell’elemento classico-sinfonico, qui espresso in forma di Opera Buffa (“Ottocento”, canzone capolavoro); e poi le arie mediterranee di "Crȇuza de Mä" (“A cimma”) e il recupero della lingua ligure (“Megu megun”).
Ma soprattutto c’è la canzone più
amara, e se vogliamo brutale, dell’intera discografia del Faber:
17) “La domenica delle salme” (da “Le
nuvole” – 1990)
Basato su un recitato quasi croonico, sommesso, la song è sorretta da un semplice arpeggiato veloce. E’ lo spietato ritratto di un paese, l’italia, uscito dal falso benessere ottantiano. Quel senso di crescita ruspante, deregolarizzato, viene qui messo a nudo, rivelando le meschinità e le ipocrisie di tutte le classi sociali (da quella dirigente agli stessi cantautori e intellettuali, incapaci di farsi sentire a tempo debito). Ma è soprattutto l’amara constatazione della fine di ogni forma di Resistenza contro il dilagante avvento di un Pensiero Unico imposto dalle Oligarchie capaci di mettersi in tasca la Democrazia e il suo funzionamento. La fine delle ideologie con la Caduta del Muro completa il quadro.
Le strofe sono intervallate da stridenti parti di violino e kazoo ad
opera di Pagani. Che li usa come una clava per suggellare le frasi appena
recitate dal Faber.
Apocalyptic metal…
18) “Monti di Mola” (da “Le nuvole”)
Pianto. Questa canzone mi ha
sempre sciolto in un pianto senza freni. Cantata interamente in sardo è la
descrizione di un Amore impossibile: quello di un giovane pastore per una mula
bianca; i due si incontrano e si innamorano sugli altipiani della Gallura (i
“Monti di Mola” del titolo). Gli arrangiamenti di fiati, fisarmonica e
bouzouki, assieme ai cori dei Tazenda, sono di quanto più toccante avesse
espresso da tempo il Faber. Incredibile come questo brano scavi in profondità
nell’animo. E un metalhead non può esserne indifferente…
Folk prog dei più puri…
Se qualcuno avesse potuto pensare
che 6 anni di silenzio, dodici album in studio e 30 anni di carriera avessero
inaridito le fonti di ispirazione del Faber, beh, arrivò “Anime Salve” a fugare ogni possibile dubbio. A 55 anni, Faber
riesce nell’impresa di creare non solo l’ennesimo capolavoro (di un’intensità e
di un’emozionalità massime), ma addirittura il suo disco migliore. Mai come in "Anime Salve" infatti il cantautore genovese riuscì, in un sol colpo, da un lato a
sintetizzare tutte, ma proprio tutte, le influenze e le istanze musicali che
aveva raccolto in quei 30 anni (con l’aggiunta di ritmi e sonorità
sudamericane); e dall’altro a dare così potenza, forza, fisicità e chiarezza ai
suoi versi. Se nel songwriting e nei curatissimi arrangiamenti possiamo
riscontrare gli stilemi passati, (in cui ritroviamo le precedenti influenze
delle prestigiose collaborazioni con Reverberi, Pagani, Bubola, De Gregori, ecc.),
nei versi ritroviamo quell’umanità di diseredati, deboli, disgraziati, reietti
che, mai con questa lucidità vengono celebrati e posti in rilievo,
sottolineandone il dolore vissuto. Scelte quanto mai ardue per noi ma, dato quanto sopra, impossibile prescindere da:
19) “Anime salve” (da “Anime Salve” – 1996)
La title track dell’album,
cantata a due voci con Fossati e guidata da una linea melodica di una bellezza
imbarazzante, è la celebrazione dei diversi, di coloro che, proprio per tale
diversità (scelta o imposta dalla natura o dal contesto sociale), fanno una
scelta di libertà. E la libertà, come si sa, spesso è sinonimo di solitudine e
dolore. E’ il dolore e la solitudine del trans di “Princesa”, dei rom di
“Khorakhanè”, dell’innamorato di “Dolcenera”. Il dolore della libertà dello
stesso Faber…
20) “Smisurata preghiera” (da “Anime salve”)
Sigillo, epitaffio, chiusura del
cerchio. Del disco. Di una poetica. Di una Vita. I 7’ di "Smisurata Preghiera" sono qualcosa di
indescrivibile. La libertà, la solitudine, la lotta alle ingiustizie, la
critica all’autorità e al Potere costituito, lo spirito anarchico e ribelle,
“ostinato e contrario”, vengono qui sublimati in quello che è, a tutti gli
effetti, un testamento spirituale. E il fatto che fu anche l’ultima canzone
incisa da De Andrè, che morirà di lì a poco, senza neppure riuscire a completare il
tour di AS, la rende ancora più preziosa.
I 3’ minuti finali, in cui delle
struggenti note di mancoseddas (strumento a fiato tipico della Sardegna)
lasciano spazio a una sezione orchestrale guidata dagli archi, sono il “punto”
perfetto a una Vita e a un’Arte senza eguali.
“Per chi viaggia in direzione
ostinata e contraria/col suo marchio speciale di speciale disperazione / e tra
il vomito dei respinti muove gli ultimi passi / per consegnare alla morte una
goccia di splendore, di umanità, di verità”
Riepilogo della tracklist metalmirroriana:
1) "Si chiamava Gesù" ("Vol. 1°")
2) "La Morte" (Vol. 1°")
3) "Leggenda di Natale" ("Tutti morimmo a stento")
4) "La Ballata degli Impiccati" (Tutti morimmo a stento")
5) "Girotondo" (Tutti morimmo a stento")
6) "Il re fa rullare i tamburi" ("Volume III")
7) "Via delle Croce" ("La buona novella")
8) "Il Testamento di Tito" ("La buona novella")
9) "Un blasfemo" ("Non all'amore, non al denaro nè al cielo")
10) "La bomba in testa" ("Storia di un impiegato")
11) "Ballata dell'amore cieco" ("Canzoni")
12) "Amico fragile" ("Volume 8")
13) "Coda di Lupo" ("Rimini")
14) "Fiume Sand Creek" ("Fabrizio de Andrè")
15) "Se ti tagliassero a pezzetti" ("Fabrizio de Andrè")
16) "Sidun" ("Crȇuza de Mä")
17) "La domenica delle salme" ("Le nuvole")
18) "Monti di Mola" ("Le nuvole")
19) "Anime salve" ("S/T")
20) "Smisurata preghiera" ("Anime salve")
A cura di Morningrise