"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

28 set 2021

I MIGLIORI ALBUM DI ATMOSPHERIC BLACK METAL - SPECTRAL LORE: "III" (2014)


E meno male che c’è Ayloss a riportare un po’ di complessità esecutiva nell’atmospheric black metal: un genere, questo, che per definizione si presta a partiture formalmente elementari, purché evocative - cosa che peraltro non è necessariamente un male (e i mirabili esempi si sprecano, a partire dagli antesignani Burzum e Summoning). Ma è anche bello, ogni tanto, poter riabbracciare il metal estremo nelle sue forme più tortuose, quel metal estremo figlio di un approccio in cui la tecnica si rivela essere un valore aggiunto, purché sorretta da una solida ispirazione, al fine di dare corpo alle visioni della mente. O anche realizzare “osservazioni”, come le chiamavano i King Crimson

Preambolo altisonante per presentare “III”, opera quarta (?) del progetto Spectral Lore, dalla Grecia con furore! 
Si è parlato di tecnica e complessità compositiva, ma non aspettatevi adesso un disco dei Dream Theater, perché Ayloss intende spaccare letteralmente il culo, armato di una drum-machine che non si perita a comandare oltre i limiti del consentito. Ma al di là della scorza dura della sua musica, è indubbio che il musicista di stanza ad Atene abbia dalla sua una discreta tecnica che gli permette di realizzare un black metal non alla portata di tutti: un black metal tanto bestiale e claustrofobico quanto capace di affacciarsi su visuali inaspettate e sempre sconcertanti. Un black metal, in definitiva, che sa essere realmente progressivo, schivando schemi prevedibili e che, senza perdere un grammo in efferatezza, sa asservire ai propri fini una miriade di influenze, proprio come solo il metal estremo di ultima generazione sa essere capace. 

Sette brani divisi in due tomi (“Part I: Singularity” e “Part II: Eternity”) per ottantasette minuti di durata, e già questo è un dato che rende l’idea di quello che potrà essere l’ascolto della pantagruelica opera: un’esperienza non facile, certamente non per tutti, in quanto non solo l’album è esageratamente lungo, ma è anche denso, straripante di contenuti. E soprattutto è brutale, bestiale come solo le opere degli artisti di paesi “assolati” sanno essere quando si applicano al metal estremo. 

L’impostazione è chitarra-centrica: Ayloss mostra una discreta disinvoltura alle sei corde ed una predilezione per partiture non convenzionali, spesso tendenti alla dissonanza ed alla disarmonia. Le tastiere, di contro, recitano un ruolo di contorno, standosene in terzo piano alla stregua di presenze fantasmatiche chiamate ad ammorbare ulteriormente il sound, mentre dalla voce non v’è da aspettarsi grandi variazioni. 

Se entrare in questo mondo non è facile (e le partenze non è delle più rassicuranti), brano dopo brano maturerà nell’ascoltatore una strana sensazione: egli si dimenticherà probabilmente del fatto che sta ascoltando un album metal e gli parrà di ritrovarsi, incredulo, in luoghi assurdi, lontani dal “Dominio del Conosciuto”, non dissimili dallo scenario ritratto nella bellissima copertina, colorata e ricca di allegorie come quelle delle band dedite al rock progressivo negli anni settanta, ma con dettagli macabri che strizzano l'occhio alle ambientazioni “mortifere” del metal estremo. 

Omphalos” (l’episodio più breve - “solo” sette minuti e mezzo) apre le danze con tempi velocissimi ed una voce cavernosa che non fa prigionieri. L’ascoltatore avrà l’impressione di essere risucchiato in un incubo ove non vi sia via di scampo...o forse si? Dopo qualche minuto di caos furibondo e riff ricorsivi qualcuno finalmente decide di staccare la spina alla drum-machine e, dopo aver lasciato le chitarre correre a vuoto per un poco, ecco che Ayloss sfodera il suo lato più gentile, estraendo dal cilindro una intensa coda shoegaze che si fregia di chitarre arpeggiate e solismi che si impennano in linee melodiche da brividi. 

The Veiled Garden” (sedici minuti e mezzo!) mostra un ulteriore volto del progetto, puntando sulla destrutturazione della materia black metal: un approccio “disgregativo” che ricorda i mitici Ved Buens Ende….. o i più recenti Deathspell Omega. Il piede molla l’acceleratore e il buon Ayloss inanella visioni su visioni, fra imponenti architetture doomiche, interludi acustici e riff a cascata che riescono nell’intento, palese, di disorientare l’ascoltatore. Percepisco in questi solchi la dispersività di certo depressive black metal americano; una dispersività comunque tenuta in carreggiata dall’ispirazione che anima i diversi passaggi e che fa loro da collante. 

Con “The Cold March Towards Eternal Brightness” (quasi un quarto d’ora) si torna a correre. Questa volta a rischiarare il cammino è uno stop improvviso a tre quarti del brano, una quiete prima della tempesta che si tramuta in emozionante crescendo post-rock (prima che il pezzo si imbrutisca nuovamente nei ranghi di un black metal ferale). Da segnalare, terminato il brano, un'appendice di qualche minuto che ci porta in prossimità di lidi gothic: qui i tempi lenti fanno da sfondo a tastiere catastrofiche, chitarre evocanti certo folk ellenico e una pastosa voce narrante. 

Ma eccoci al vero gioiello dell’album, “Drifting through Moss and Ancient Stone”, una strumentale dove la chitarra acustica galoppa liberamente in praterie soniche che non ci saremmo a questo punto aspettati. Cambia il medium espressivo, ma anche con la chitarra elettrica riposta nella custodia Ayloss non muta approccio, divagando in lungo e largo con le sei corde. Aiuta la lunghezza del brano (undici minuti e mezzo) che permette al Nostro di farsi impetuoso ed acquietarsi, prendersi le sue pause e nuovamente animarsi, passando in rassegna stili diversi, dal country spettrale dei primi minuti ai fraseggi incalzanti della seconda parte, dove intervengono prima dei flauti poi dei cori di voce pulita, coniugando suggestivi sapori folcloristici alle trame epiche del neo-folk. 

Il secondo lato si apre come il primo si era concluso, ovvero con una chitarra acustica. Ma questa volta si tratta solo di qualche istante, perché è il tempo di un’altra clamorosa doppietta di contorto black metal, “The Spiral Fountain” e “A Rider in the Lands of the Infinite Dreamscape” (rispettivamente di undici e tredici minuti). Ayloss non è certo uno che suona guardando l’orologio, pertanto anche qui le composizioni si mostreranno labirintiche e svincolate da schemi prevedibili. Entrambe rievocano quel contesto di decostruzione che si era respirato nel primo tomo, implodendo in paludi di passaggi doom e parentesi atmosferiche. 

A colpire, in particolare, sono quei momenti in cui l’autore si dedica a sviluppare le sue idee senza fretta, edificando soundscape a dir poco allucinanti e dallo sferzante potere visionario: una sorta di teatro greco dove figure allegoriche si affrontano in dimensioni atemporali. Particolarmente suggestive, a mio avviso, si riveleranno quelle fasi in cui le chitarre sono lasciate libere di sfogarsi con il solo accompagnamento di tastiere e tamburi rituali in lontananza: momenti che odorano di sogno, sempre che l'ascoltatore si lasci andare e si arrenda al potere immaginifico di questa musica. 

Chiude degnamente il tutto un’altra lunga strumentale (quasi quattordici i giri di orologio), la quale, lungi dal portare a termine il lavoro con il pilota automatico, scocca frecce che il buon Ayloss non aveva ancora estratto dalla propria faretra. “Cosmic Significance”, questo il nome del brano, continua dunque a sorprendere, questa volta con un'apertura di organo e linee di hammond che guardano senza tante remore prima alla psichedelia degli anni settanta e poi, in modo più energico e con il supporto di chitarre e ritmiche infuocate, al rock progressivo della stessa decade. Gioiranno i fan dei nuovi Opeth, anche se presto le trame si involveranno nella direzione della baraonda sonora con cui si era aperta l’opera circa ottantacinque minuti prima. 

Chi dovesse intimorirsi innanzi alla varietà di influenze presenti nel platter, sappia che un altro aspetto positivo degli Spectral Lore è una visione artistica dannatamente a fuoco, fondata su una solida personalità che fa da trait d'union fra tutte le suggestioni esplorate. Spectral Lore, non a caso, è un nome di spicco nel black metal atmosferico, e questo significa che tutto quello che viene riversato nell’opera è finalizzato a generare emozioni nell’ascoltatore. 

Quello che Alyssos sa fare meglio di altri è appunto saper estraniare l’ascoltatore, ammesso che si sia disposti a pagare il prezzo del biglietto...