"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 set 2022

VIAGGIO NEL FUNERAL DOOM: LONGING FOR DAWN



Ventiquattresima puntata: Longing for Dawn - "Between Elation and Despair" (2009) 
 
I Longing for Dawn hanno avuto vita breve, ma nello spazio di nemmeno dieci anni e tre album hanno saputo lasciare un solco profondo. 

Il quintetto di Montreal ha privilegiato l'esplorazione di quei passaggi dell’anima che si prestano bene ad essere descritti attraverso gli stilemi del funeral doom, ma contrariamente a molte altre band dedite a questo genere, i Longing for Dawn offrono un sound arioso, aperto, paesaggistico, estremamente poetico, cosa che si evince già dalla bellissima copertina di “Between Elation and Despair”. 
 
Si è visto che, quando si parla di funeral doom, le influenze più gettonate sono Paradise Lost e, in misura anche superiore, i My Dying Bride. Gli Anathema, proprio perché virarono presto verso lidi estranei all’universo del metal, sono una presenza meno ingombrante nel bagaglio di stimoli da cui gli artisti consacrati al doom funereo di solito attingono, ma di certo sono molte le affinità fra la band dei fratelli Cavanagh e i Longing for Dawn, che sembrano aver colto più di uno spunto da lavori come “Serenades” e "Pentecost III”. 
 
Il growl di Stefan Laroche, in particolare, ricorda quello di Darren White, uno di quei growl aspri, secchi, che si muovono per sillabe, a scatti, esprimendo una grande fatica di vivere/esistere. Lo stesso si dica del suo sofferto recitato: grasso, pastoso, congeniale ad un sound fluido, liquido, impalpabile. Potremmo definire questo sound psichedelico? Ni, nel senso che se da un lato non possiamo qui contare sugli infinite-solos di un prodigio alle sei corde come Daniel Cavanagh, dall'altro verremo ammaliati dai suggestivi soundscape elaborati dal chitarrista Simon Carignan

Considerate che, dicendo questo, ci stiamo riferendo alle sensazioni ricevute con l’ascolto di “Between Elation and Despair”, terzo ed ultimo album per i canadesi, che si sarebbero sciolti di li a poco (l’album risale al marzo del 2009 e già nel 2010 la band non esisteva più). Abbiamo scelto questo album perché esso costituisce il punto di approdo e l'apice evolutivo di un percorso che, strada facendo, ha preferito lasciarsi dietro gli spigoli di un suono in origine ben più pesante. E’ come se in questa opera i Nostri si librassero in volo, si vaporizzassero e si andassero a confondere con il paesaggio nebbioso ritratto in copertina. 
 
Questa sensazione, si diceva sopra, viene resa principalmente dai sound effect di Carignan, una sorta di “sfasatura costante” nella messa a fuoco del suono con cui vengono rivestiti i brani. I riff sono corpulenti, il muro di suono consistente, ma il profilo dei brani viene scombinato da scenari rarefatti che fanno loro da involucro (sbiaditi cori gregoriani, fiati stonati, vocalità processate che divengono quasi tappeti di tastiere). I brani si prestano bene a questo tipo di alterazioni in virtù della loro lentezza, oserei dire pacatezza. Quello dei Longing for Dawn non è un suono impetuoso, il drumming affaticato di Francois Fortin lascia spazi considerevoli fra un beat e l’altro, ma non è un effetto asfissiante quello generato dal passo lento del batterista, la tensione è semmai tenuta alta grazie a colpi fuori tempo e rullate grondanti pathos. 
 
Lunghe escursioni strumentali fanno da incipit ai brani, dominati da una commovente elettricità. Ci mettono un po' a partire, poi, senza nemmeno accorgertene, ti ritrovi nel mezzo di un possente maelstrom di chitarre e note dilatate. Oasi ambientali si aprono come voragini fra la rocciosa scorza delle composizioni e code strumentali, di nuovo, sfumano nell’inizio del brano successivo. 
 
“Between Elation and Despair” è indubbiamente da vivere come un’unica esperienza. Considerate che l’album dura 52 minuti e si compone di soli quattro brani. Si prenda l’apertura affidata ai quindici minuti di “Our Symbolic Burial”: la lunga introduzione di suoni sfocati ci introduce nel mondo dei Longing for Dawn come in un video ripreso con mano tremolante in cui la telecamera non sembra in grado di mettere a fuoco l’immagine e stabilizzarla in modo nitido. Commuovono i suoni di tromba percepibili in lontananza, mentre si fanno largo, con calma, arpeggi di chiaro stampo post-rock/post-hardcore. 

Sapete che a me piacciono gli accostamenti azzardati, e se dovessi descrivere in poche parole lo stile della band, direi che i Longing for Dawn (almeno quelli del loro ultimo album) sono i Sigur Ros del funeral doom, non per la condivisione di specifici tratti stilistici (stiano alla larga i fan della band islandese!), ma per quel suono immateriale, onirico, che sembra fatto della materia stessa di cui son fatti i sogni. Come quella dei Sigur Ros, la musica dei Longing for Dawn è pregna di emotività, si fa specchio dell'anima in una fruttuosa dialettica fra interiorità e mondo esteriore, paesaggi dell’Io e natura indomita. 
 
Non hanno in questo un ruolo secondario le chitarre, intrecciate in riff e ricami melodici da lacrime. Non vi sono particolari picchi da evidenziare, i Nostri non operano per scossoni, tutto l'album, nella sua completezza, sa incantare, costituendo un lento e fluido trascorrere di note. Da segnalare, semmai, i rari passaggi in cui la band decide di discostarsi dal binomio ambient/doom: uno di questi è la coda acustica di “A Sunrise at Your Feet”, momento di grande suggestione che evoca certo cantautorato a stelle e strisce. Una pausa, invero, destinata ad essere schiacciata nuovamente dalla potenza delle chitarre e dalla lentezza di "Reflective", la traccia successiva. 
 
Il tutto viene sublimato alla perfezione nei sedici minuti conclusivi di "The Piscean Dawn", felice incontro fra i primi Anathema e gli Isis, fra commoventi temi chitarristici e (lente) immersioni nel post-metal più paesaggistico. I canadesi non hanno bisogno di incupire l’atmosfera con trucchi e messe in scena teatrali: i Longing for Dawn ci consegnano una rappresentazione matura del funeral doom, a tratti persino cantautoriale, che non esce fuori dall’ambizione di descrivere stati d’animo di una inconsolabile malinconia, trovando in questa ambizione la sua vera forza. 
 
Vi può essere un attimo fra l’esultanza e la disperazione, ma quando si ascoltano album come questi, capiamo che può valere benissimo il contrario…