"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

2 lug 2024

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: LIFELOVER

 
Ventiseiesima puntata: Lifelover - "Pulver" (2006) 

E ora qualcosa di completamente diverso, recitava il titolo di un celebre film dei Monty Python. Sì, apriamo uno squarcio di diversità nella nostra rassegna e parliamo dei Lifelover, che oserei definire “diversamente depressive”. 
 
Anche chi non è proprio avvezzo a queste sonorità avrà probabilmente sentito parlare dei Lifelover, che, al di là del nome curioso, sono da ricodare fra i gruppi di punta dell’intera epopea del depressive black metal. La cosa strana non è tanto che i Nostri si proclamino amanti della vita, ma che non suonino nemmeno black metal fino in fondo...
 
Attivi dal 2005, e con alle spalle una demo ("Promo 2005"), i Lifelover esordivano nel 2006 con “Pulver”. Abbiamo più volte evidenziato come nel DBM a prevalere siano le copertine in bianco e nero. La nostra rassegna ce lo ha confermato, essendoci imbattuti al massimo nel logo rosso degli Xasthur o nelle tonalità bluastre delle copertine di Nyktalgia ed Anti (mamma mia, come il sole per i vampiri!!). Ma chi è rimasto scioccato da questo exploit di colori deve stare molto attento ad avvicinarsi alla copertina di “Pulver”, dominata da colori sgargianti e ritraente un soggetto decisamente insolito, ai limiti dello splatter-porno-grind: una ragazza bionda, completamente nuda e ricoperta di sangue, sdraiata su un prato verde ricoperto di fiorellini bianchi. Mai si era visto nel depressive qualcosa di così oltraggioso! 
 
Già dal monicker l’ironia era da mettere in conto, ma l’ascolto dell’album sarà ancora più sconvolgente della copertina. Devo ammettere che da anni tendo ad avere difficoltà a stupirmi quando ascolto qualcosa di nuovo nel metal, ma i primi dieci minuti di “Pulver” sono fra le cose più disorientanti che mi sia capitato di ascoltare nell'ultimo ventennio. Si parte con l’openerNackskott”, che si avventa sull’ascoltatore con un energico riff punk-rock: una melodia che una volta sentita non ti togli più dalla testa. Ancora oggi la canto sotto la doccia. La componente più squisitamente depressive si svuota paradossalmente della materia prima del black metal e sopravvive a sprazzi, ora nel canto che da agonizzante sfocia sovente nello screaming, ora nel riffing sporco e ricorsivo. Il tutto all'insegna di una sgradevolezza voluta, ricercata e sbattuta in faccia all'ascoltatore. 

Il brano si interrompe, spunta una canzoncina per bambini, poi riparte un altro riff irresistibile: “M/S Salmonella” bissa le suggestioni della prima traccia, voci stonate e sofferenti imperversano sui tempi battenti del punk, nel frattempo fucilate e grida nel sottofondo. Poi è la volta di “Mitt öppna öga”, già più confusa e lenta, squarciata da sofferte spoken word, con sospiri e gemiti questa volta a fare da contorno. Ecco un’altra brusca interruzione, ma attenzione: seguono una orchestrina di liscio da sagra di paese, il suono scricchiolante di un carillon e un pianoforte che incalza: attacca senza lasciar respiro “Kärlek – Becksvart Melankoli” con basso in evidenza e chitarra arpeggiata a tracciare l’ennesima irresistibile cavalcata elettrica. 

Nei suoi 42 minuti scarsi di durata l’album si schianta nelle orecchie dell'ascoltatore con una carrellata di soluzioni inaspettate che è inutile stare ad elencare. Basti dire che la band si trova decisamente a suo agio nel modulo del brano di breve durata che compone e decompone in scenari di lacerante degrado emotivo: nei Lifelover fragilità, rabbia, follia, slanci vitali e repentini salti negli abissi si inseguono e susseguono in un circolo vizioso apparentemente senza fondo. 
 
Spieghiamoci meglio. I Lifelover sono stati una band svedese attiva dal 2005 al 2011. Al centro di una formazione mutevole troviamo Jonas Lars Bergqvist (anche conosciuto come Nattdal) e Kim Carlssonun genietto del depressive che incontreremo nuovamente nel corso della nostra rassegna: oltre infatti ad essere stato il titolare dell'etichetta Insikt, numerose sono le formazioni in cui è o è stato coinvolto, fra cui figurano i Life Is Pain e gli Hypothermia, che avremo modo di approfondire. Altri progetti collegati a Carlsson sono (o sono stati o sarebbero stati) A Symphony to the VoidConsider SuicideIsolationistKallKylaNothing But NothingnessRitualmord, per certi dei quali basta leggere il monicker per capire l'aria che tira. 

Carlsson nei Lifelover si faceva chiamare semplicemente () ed andava a ricopre l'incarico di prima voce; Bergqvist, invece, che del gruppo è stato il compositore principale, si è occupato di chitarra, seconda voce, basso, piano e tastiere, facendosi chiamare semplicemente B. Detto questo, quello che poteva sembrare un fuoco di paglia si è dimostrato un progetto consistente che ha dato alla luce almeno tre capolavori e che ha aperto scenari inediti nella galassia del suicidal black
 
Il merito dei Lifelover, più che altro, è stato di creare un ponte fra il DSBM e il rock. Laddove molte altre band sono passate dal metal estremo ad altro, qui la sfida (vinta!) è stata di uscire dal black metal (e a tratti anche dal metal stesso) e conservare un nucleo di agonia e macabro auto-lesionismo che è rimasto miracolosamente intatto nonostante il cambio di casacca. Nei fatti parliamo di un genere inclassificabile, una formula totalmente inedita fatta di black metal, post-punk, darkwave e depressive rock à la Katatonia, ove le lezioni di Burzum e Shining venivano sgretolate e ricondotte in scenari di pura follia auto-distruttiva. 

La band lo avrebbe chiamato “narcotic metal”, probabilmente per l'effetto straniante che questa musica ha sull'ascoltatore (ma non escludo che l'etichetta sia anche un riferimento all’abuso di droghe e psicofarmaci da parte dei componenti della band). Fatto sta che una nuova forma di DSBM, più libera, più contaminata, paradossalmente più malata, stava nascendo e da quella breccia sarebbero spuntati fuori band che al verbo dei Lifelover si sarebbero ispirati (i connazionali Apati sono sicuramente l'esempio più eclatante, ma potremmo anche pensare a certe cose dei georgiani Psychonaut 4). 

Di "Pulver" abbiamo già detto: lo abbiamo eletto quale rappresentante della band nella nostra rassegna in quanto fulmine a ciel sereno nell'empireo del depressive, ma sarebbe un peccato non spendere qualche parola sui due tomi che l'anno succeduto e che avrebbero mutato la formula, perfezionandola. Il secondo lavoro, “Erotik” (2007), avrebbe giustamente puntato sul song-writing, visto che oramai l’effetto sorpresa si era in qualche modo affievolito Questo lavoro appare maggiormente ragionato nel suo procedere, scelta che da un lato toglie qualcosa al suono esuberante ed anarchico espresso nell’imperdibile debutto, ma che dall’altro compensa con la capacità della band di modellare le proprie intuizioni e tramutarle in qualcosa di più complesso ed ascoltabile sulla lunga distanza. Saremo inondati sempre da una vagonata di riff irresistibili, da vocalità di ogni tipo e campionamenti disturbanti, ma questa volta a prevalere è un clima di malinconia diffusa che vuole stemperare l’irruenza degli esordi delineando i contorni di uno spazio di fragilità emotiva. Pianoforte, chitarre arpeggiate e melodia hanno un ruolo maggiore che in passato, con l’immagine sfocata di una metropoli (altra copertina atipica e perfettamente riuscita) a fare da sfondo a quello che è il senso finale della musica dei Lifelover: una persistente (inascoltata) richiesta d'aiuto...
 
Konkurs”, terzo atto targato 2008, a scapito del malaugurante titolo (in svedese significa "Fallimento") costituisce un ulteriore passo avanti. Da un lato Bergqvist si dimostra più che mai in grado di architettare passaggi memorabili, spesso giocandosi le carte del riff melodico, dell’arpeggio, del giro azzeccato di pianoforte, declinando la sua visione artistica su un piano mediamente più riflessivo, ma non rinunciando del tutto agli umori folli del debutto, fra denotazioni post-punk, dissonanze e riffing tagliente. Dall’altro lato la folle performance vocale di Carlsson si incastra perfettamente ai soundscape allestiti dalla band: il cantante, abile nel passare da un registro all’altro, offre il consueto campionario di toni lamentosi, sussurri, gridolini dementi, ululati, improvvise impennate di agonia, singulti, isterismi assortiti. E come se non bastasse viene supportato dagli interventi vocali di Bergqvist stesso e di tale 1983, paroliere e voce di supporto dagli esordi della band. Non mancheranno, infine, i soliti campionamenti, voci e suoni ambientali spesso buttati in mezzo ai brani senza tanti ghirigori. La mano rimane pesante, ma il collage di suggestioni è tutt'altro che casuale, delineando le fratture e le nevrosi di una mente sull'orlo del collasso schiacciata da una realtà asfissiante e dai connotati maligni. 
  
Peccato solo che appena tre anni dopo i Lifelover si sarebbero sciolti, travolti dalla sciagurata morte di Bergqvist (deceduto per overdose di farmaci): un personaggio borderline sia in arte che nella vita, evidentemente. Egli avrebbe comunque avuto il tempo di pubblicare con i Lifelover l’EP “Dekadens” (2009) e l’album “Sjukdom” (2011) e dunque iscrivere il proprio nomi negli annali della musica estrema. 

Rest in pain...