"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

8 mar 2025

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: MY USELESS LIFE




Quarantottesima puntata: My Useless Life - "My Useless Life" (2018) 
 
La mia vita inutile, che bel modo di presentarsi al mondo! I My Useless Life si insinuano nel panorama del depressive black metal degli anni dieci con un monicker a dir poco forte e in perfetto stile suicidal, per poi però confezionare una proposta non così estrema come ci si potrebbe aspettare. 
 
Già le copertine, inusuali, tutte in tema e molto coerenti fra di loro, sono un indizio sul fatto che ci troviamo innanzi ad una realtà che potrebbe riservarci delle sorprese. 
 
Fatta eccezione della copertina della demoExistence without Purpose” (2011) che raffigurava un corvaccio appollaiato su un ramo (il volatile sarebbe stato poi incorporato nel logo della band), tutte le copertine dei loro album hanno due caratteristiche comuni: sono scatti in bianco e nero e raffigurano scenari urbani e/o industriali. 

Nella copertina del loro debutto “On the Edge” (2012) campeggiano minacciosi dei tralicci della luce e fili dell’elettricità sullo sfondo di un cielo altrettanto minaccioso. Quella di “Negative Memories” (2014) presenta uno scenario mestamente metropolitano fatto di lugubri e squallidi palazzi, con in primo piano due lampioni che illuminano uno stormo di uccelli. Nell’omonimo “My Useless Life” (2017) si hanno le scale mobili di una metropolitana deserta con la silhouette nera di un uomo che sembra smaterializzarsi e ricomporsi nei soliti uccellacci che volano via (ricordando non poco la copertina di “Tonight’s Decision” dei Katatonia - un rimando che come vedremo è tutt’altro che fuori luogo). Per “Bittersweet Agony” (2022), infine, la scelta ricade sull’interno fatiscente di un capannone dismesso con al centro della scena una sedia. Desolazione e un tocco di macabro, infine, sono ciò che emerge dall’immaginario prescelto dai My Useless Life, immaginario che puntualmente si va a rispecchiare nella musica proposta. 
 
Il progetto nasce nell’assolata California per mano del polistrumentista F. E' il settembre del 2011. Appena due mesi dopo sale a bordo tale S. ad occuparsi di voce e chitarra acustica (qualche anno dopo egli avrebbe poi riposto nella custodia lo strumento per dedicarsi solamente al “canto”). Con queste formazione il duo giunge solidissimo ai giorni Nostri, forte di una proposta assai originale che sa sapientemente miscelare violenza e melodia. 
 
Violenza e melodia che troviamo indissolubilmnte intrecciate nell’acerbo (ma affascinante) debutto “On the Edge”, dove si contrapponevano, magari in modo non sempre equilibrato, queste due componenti: da un lato un suono compresso, ossessivo, claustrofobico ammorbato da uno screaming degradato e fantasmatico; dall’altro un riffing capace di improvvide quanto inaspettate aperture melodiche ed una chitarra acustica molto presente e ben in evidenza, spesso in grado di sovrastare quella elettrica. I Nostri avrebbero poi gradualmente aggiustato il tiro bilanciando gli elementi della loro visione artistica, approdando nei fatti alle forme di un solido post-black metal dalle tinte moderniste. 
 
Un buon punto di arrivo è il terzo full-lenghtMy Useless Life”, forte di un suono compatto ed incisivo con ottime idee melodiche disseminate per 34 minuti che costituiscono la sua durata (ah, un’altra costante è che alla band non piace rilasciare album lunghi – e di questo gliene siamo grati). Gli ottimi suoni con cui il tutto viene confezionato valorizzano il lavoro di F., che si dà un gran da fare alle pelli come alle sei corde. Il risultato è un black metal “massiccissimo” tutt’altro che privo di spina dorsale: è come se Katatonia ed Agalloch di comune accordo si cimentassero in un solido e compatto black metal, fra passaggi tiratissimi e momenti di quiete, ma senza mai tirarla troppo per le lunghe (il brano dalla durata più estesa supera di poco i sette giri di orologio). Non dovrete infatti aspettarvi un disco di prog estremo, ma un mix ben calibrato di pieni e vuoti, come perfettamente descritto dall’opener Melancholic Overdose” che mette sul piatto un sound tanto rabbioso quanto malinconico, continuamente sconquassato dai cambi di tempo, vigorose rullate, scheggiante doppia-cassa e rischiarato da temi melodici dal grande impatto. 
 
Discorso a parte merita l’operato di S. dietro al microfono, che potrebbe esser visto come l’anello debole della catena: il suo screaming non si evolve e rimane quello degli esordi, lontano, impalpabile: un dettaglio, questo, che tuttavia non disturba più di tanto, in quanto oramai la voce in secondo piano è quasi un cliché del black metal dei giorni nostri (se non del DBM, di sicuro del blackgaze e di certe altre forme recenti di post-black metal, a cui i Nostri possono essere parzialmente ricongiunti). 
 
Considerata l’inconsistenza della voce, i brani potrebbero essere considerati strumentali, e anche sotto quell'ottica risulterebbero comunque avvincenti. Non si seguono strutture precise, ma solo la forza trainante delle sei corde: sono i riff a comandare, le coinvolgenti trame melodiche, ora trascinate da furiosi blast-beat (“...Point of No Return” uno dei tanti esempi), ora scandite da sconsolati quattro quarti (la commovente “In the Eyes of Despair”), ora nella forma di fragorose ripartenze dal sapore post-rock (il bellissimo finale della conclusiva “I’ve Had Enough”). 
 
Fra i sei brani ce n’è uno strumentale per davvero, l’intima (a base di chitarra arpeggiata e struggenti assoli) “Død II”, sequel della strumentale “Død” del precedente album “Negative Momories”, momento di quiete che ben si incastona nella scaletta. 
 
I testi, molto brevi, esprimono concetti assolutamente coerenti con la sensazione di inutilità che trapela per tutta l'opera e che viene spiattellata senza tanti giri di parole fin dal monicker. Si prendano in considerazione, per esempio, queste strofe di “Grey Mo(u)rning”: 
 
“Every morning I wake up 
Wishing to be dead 
It's all in vain, 
I can't explain 
How much I want to get away 
From those nightmares, 
To face my fears 
But why should I 
Cause no one cares” 
 
Anche qui non siamo di fronte a dei novelli Leopardi, ma vabbè, per quello che si capisce dei testi.... 
 
Come detto mille altre volte, nel DBM è la musica a parlare piuttosto che i testi, e quella dei My Useless Life è un’altra bella espressione del depressive che tenta nuove vie trovando di fatto una buona sponda nel post rock, come già visto con realtà come Woods of Desolation, Austere, Totalselfhatred e Happy Days. Non un gruppo imprescindibile, ma un valido ascolto per gli appassionati del genere che desiderino confrontarsi con sonorità più fresche e dinamiche.