"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

28 mar 2025

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: ETHEREAL SHROUD



Cinquantesima puntata: Ethereal Shroud - "Trisagion" (2021) 

Dopo cinquanta post e quasi due anni di rassegna mi piacerebbe concludere con una band non proprio qualunque, anche a costo di andare un po’ fuori tema. Spero che me lo concediate, ma dopo tanto patire sono sicuro che avrete un occhio di riguardo... 

Ethereal Shroud, due soli album rilasciati, due capolavori. Chi li conosce? Secondo me in pochi, troppo pochi, eppure ci troviamo di fronte a qualcosa di sensazionale. Bene, ora posso anche calare la maschera del fine intenditore e confessare che li ho scoperti nel corso di questa rassegna, in quanto il loro debutThey Became the Falling Ash”, del 2015, l’ho ritrovato qualche volta nelle classifiche dei migliori album depressive black metal. Ma non è di questo bellissimo tomo che vi voglio parlare oggi, bensì del seguito (e ad oggi canto del cigno del progetto) “Trisagion”, del 2021, che io definirei una declinazione assolutizzante di black metal

Ripartiamo da capo. Gli Ethereal Shroud sono un progetto capitanato da Joe Hawker, originario dell’Isola di Wight ed oggi di stanza a Sheffield, in Inghilterra. Il Nostro esordiva nel 2013 con la demoAbsolution/Emptiness”, un tomo di 40 minuti che già anticipava le ambizioni sconfinate del polistrumentista inglese.

Eccoci dunque a “They Became the Falling Ash” (splendido titolo!), su cui vale la pena spendere due parole. Tre brani, un’ora di durata. Con questa imperdibile opera di debutto Hawker (che qui si faceva carico di tutti gli strumenti) edificava un monumento contro Dio, contro la religione cristiana, contro la religione in generale: un’opera apocalittica che esordiva con immagini terribili. Così recitavano i versi iniziali: 

Broken limbs bound to funeral pyres, torches lit, skyward
Ceremonious light for the damned, the lord is now upon you

E che si estingueva nella più completa desolazione. Queste le parole conclusive: 

They became the falling ash and snow 
Return to dust and embers in the soil 
Untold names in the snow 
Lifeless, bitter autumn leaves 
Sorrows echo on for many an age 
A silent hymn for the dead none can hear 
March now into the light...” 

Un mondo ricoperto della cenere dei corpi prima perseguitati e poi bruciati dalla Chiesa: un Nulla categorico che si contrapponeva ad ogni speranza di redenzione e promessa di Aldilà. 

Hawker è gay, non lo sbandiera ma lo ammette candidamente in sede di intervista, non perdendo l'occasione di precisare le difficoltà di esserlo non solo in certi ambiti bigotti della vita reale, ma anche negli ambienti in prevalenza maschilisti del black metal. È importante precisarlo perché c’è come un fil rouge in tutta l’opera di Hawker, una sorta di contrapposizione fra natura umana e divino, il divino presunto, deciso dall'altro ed imposto con la forza: un sentiero accidentato, un percorso più di consapevolezza che di redenzione. E’ importante precisare questo aspetto della vita privata di Hawker perché se agli esordi questa idiosincrasia fra natura ed imposizione dall'esterno era mascherata dietro la ferocia di un anti-cristianesimo e calata nella forma di un depressive black/funeral doom ancora molto arcigno (ma già incredibilmente ispirato!), con il secondo lavoro “Trisagion”, più maturo di sei anni, il discorso si fa ancora più complesso e personale.

Si parte anche qui da una condizione di dolore: 

“I cannot build myself up again 
To watch myself fall apart at the seams 
I cannot walk if I'm destined to fall 
Through trials by design of cruelty and hate

I suffer the want for a better world 
And the need for compassion in terrible times 
Great is my weakness to punish myself for 
A love forbidden by those who bore me 
Behind the weight of this cage of bones 
Is a heart that sinks at the sights of greed 
Of a Lord who damns his beloved creation 
For sins he determined his sons to commit” 
 
L'uso della prima persona suggerisce l'alto tasso di intimità dell'opera. Se la musica ivi contenuta, sebbene difficilmente catalogabile, potrebbe ricadere sotto l'ampio ombrello di un atmospheric black metal dagli ampi e vaghi confini, c’è una sostanziale differenza rispetto ai lavori dei vari Summoning, Saor Caladan Brood che ci parlano di battaglie, saghe tolkieniane etc. “Trisagion” è epico, molto epico, ma intende descrivere una battaglia diversa, una battaglia interiore, quella fra individuo e religione, ma anche, a voler guardar meglio (considerata la biografia del musicista), una lotta per l’affermazione del Sé. Un impeto che spezza le catene con la forza lacerante di un "tradimento" (come suggerisce il titolo dell'opera), ma che alla fine si rivelerà come la piena e legittima espressione personale contro tutte le sovrastrutture soverchianti che reprimono la vera natura dell’individuo. E questa storia non ha niente di letterario, di sanguinolento, ma ha in sé il peso e la valenza della vita vissuta, un percorso di dolore, emancipazione e speranza (sì, quella strana cosa...).

La struttura è la stessa dell’album precedente (tre brani infiniti per 64 minuti di durata), ma il suono si fa più vario, dinamico, sfumato. Hawker non è più solo, o meglio, è sempre lui il titolare unico del progetto ed autore di musiche e testi, ma questa volta si fa aiutare da un batterista in carne ed ossa (John Kerr) e da due ulteriori guest, Richard Spencer, a basso e viola, e Shannon Greaves, alla voce. E c’è da dire che tutto questo giova al sound allestito dal Nostro, saldo dietro a microfono, chitarre e tastiere. Un sound più fluente, spontaneo, urgente, meno mediato ed ingessato, più pulsante ed umano potremmo dire, per un album che sprizza umanità da tutti i pori. 

L’opening trackChasmal Fires” nei suoi 27 minuti rappresenta al meglio lo stato evolutivo del progetto: l’incipit di tastiere, arpa e viola sono l’introduzione ideale per entrare in un mondo che è principalmente il mondo interiore di Hakwer. Inutile spiegare come il brano continua e si sviluppa, basti dire che il riffing coinvolgente e vigoroso da solo regge la durata infinita del pezzo, aiutato sicuramente da un drumming dinamico e fieramente battagliero. Fra i momenti di maggiore intensità si iscrive il materializzarsi, come d'incanto, di un soave canto femminile evocante un magico folclore, pausa atmosferica a cui seguirà una emozionante maratona strumentale dove la chitarra si rifrange in epici e romantici accordi al confine con il blackgaze. 

Succede molto, ma non tantissimo, perché l’ossessività e la reiterazione rimangono il perno della visione artistica del Nostro, che tuttavia non guarda al minimalismo burzumiano e nord europeo in generale, ma piuttosto ad un grandeur che sembra trarre ispirazione dalla terra natia, in particolare dalla tradizione gothic/doom albionica (My Dying Bride in primis) e persino qualcosa in area metal classico (gli Iron Maiden, ma quelli più epici e progressivi). Detto questo, toglietevi dalla testa i nomi appena menzionati perché Ethereal Shroud suona come nessun altro: non troverete punti di contatto evidenti con altri artisti, band o scene musicali; è questo a rendere unica la musica del progetto. 

La quasi mezz'ora del primo brano ben esprime un grande travaglio interiore attraverso svariate pause, ripartenze e sempre nuovi climax, ma senza mai perdere il filo della narrazione. Non da meno sono i due brani successivi, l’irruenteDiscarnate” e l’oniricaAstral Mariner”, rispettivamente di quasi quattordici e ventidue minuti. 

"Irruente" ed "onirica", tuttavia, non sono altro che una semplificazione tranciante della reale complessità delle due composizioni: le due tracce, infatti, si sviluppano come operette contemplando molte diverse fasi al proprio interno, senza però mai solcare lidi propriamente progressivi. La prima, si sarà intuito, rappresenta il momento più ferale dell'album, ma certo non vi è da aspettarsi  niente sopra le righe, bensì un'interpretazione più cruenta di una visione artistica portata avanti con grande coerenza. La seconda, invece, stempera la furia dell'episodio precedente in un viaggio doloroso e visionario, senza però farsi ingannare dal titolo: non è ambient né musica cosmica la sostanza del brano più metafisico e spirituale del trio, perché a prevalere è sempre l'approccio concreto, pragmatico, costruttivo dell'autore. 

Ancora una volta è il riffing a prendere per mano l'ascoltatore e condurlo verso gli scenari più impensabili, mentre la voce sofferente di Hawker, rabbiosa e rarefatta al tempo stesso, è puntuale nell'interpretare i lunghissimi testi che, come si sarà capito, non sono cosa secondaria nella visione artistica del Nostro.  Musica e testi concorrono a descrivere gli stadi successivi del percorso esistenziale incarnato da "Trisagion", fino alla completa liberazione: 

“You are lost but I have found my own place 
In this maladjusted world we call our home 
I hid in the stars 
I conjured a world 
I made my escape Y
ou cannot hurt me here 
I longed for the same as you 
But I'm at peace now 
Whatever story they tell of me 
Through the lens of misjudgment 
Means nothing to me here 
With doors open wide 
Come find me” 

Questi sono i versi finali dell'opera, tinti di un tono di sfida contro quel dio che è stato avversato fin dalle prime note. Il fatto che in fondo al tunnel del disagio e del rifiuto del mondo (premessa tipica della visione del depressive) non vi sia una siringa piena di eroina, la lama di un rasoio o un cappio scorsoio, non significa che in qualche modo l’opera non possa essere ricondotta all'empireo del depressive, seppur in una accezione più ampia. 

Perché, come si diceva in principio, "Trisagion" finisce per rappresentare una sintesi esaltante di molte sfaccettature del black metal, incarnandone l'essenza, ma anche elevandosi e portandosi su un piano di maggiore complessità. Caso più unico che raro, il black metal di Hawker scaturisce dal cuore, emana da reali travagli interiori e per questo viene a brillare di una luce propria, inestinguibile. Il dolore, quello vero, passa da qui, ma per una volta anche la speranza, che non è un brutto modo per concludere una rassegna sul depressive black metal

Siamo arrivati per davvero alla fine, non mi resta che augurarvi un buon proseguimento di vita. Quanto a me, la mia missione è compiuta.

Adesso mi posso finalmente ammazzare... 

THE END