"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

1 giu 2025

VIAGGIO NEL METAL RURALE: SCAMPOLI FINALI TRA SACRO E PROFANO

 



La magia, noi cittadini, siamo ormai abituati a vederla come spettacolo di illusionisti e prestigiatori sotto le telecamere. Ma l'arte del far credere inizia molto prima e fa leva su coloro che sono più propensi a credere davvero che i destini possano essere influenzati in un dialogo materico, ma misterioso, con le forze della Natura. Materico, perché la magia rurale deve avere un elemento visibile e condivisibile: qualche liquido, il calderone, le polveri derivate dalle piante, gli elementi prelevati dal corpo come capelli, peli, secrezioni varie.

Proprio la materialità della magia la rende in qualche modo affidabile: essa è misteriosa, ma pur sempre un'opera che utilizza la terra, il fango, lo sputo, la pioggia, il fuoco; insomma, quello che le persone già conoscono.

La prima grande magia è la pioggia, quella che salva i raccolti e con essi la vita dei contadini. La seconda, forse, è la fertilità. La terza, la malattia e il risanamento.

Le altre magie, quelle cittadine, sono meno umili: pretendono di smuovere la capacità di far tornare in vita, di parlare con i morti, di vincere al lotto (che è molto più idiota che pregare perché piova dal cielo, poiché nel secondo caso vi è un mistero sostanziale, non risolvibile neanche con la meteorologia; nel primo caso invece nessun mistero, è un sistema statistico preordinato dall'uomo, che poi prova stoltamente a comandarlo).

Alberto Sordi, nel personaggio del Marchese del Grillo, in una celebre scena gioca a fare il generoso gettando monete dal balcone ai mendicanti...non prima di averle fatte arroventare al fuoco del camino dal fido servo Ricciotto. Più avanti, il Marchese fa una gita in campagna e si ferma in una cascina abbandonata. Accende il camino per riscaldarsi ed ecco che si presenta sotto la finestra una strega (una specie di donna quasi calva per la tigna che si mette a fare un rituale): così si usa in campagna, che le brutte e repellenti si atteggino a streghe e in questo modo ottengano qualche donazione sotto la minaccia di lanciare una maledizione alla casa. Lui fa il solito scherzo che fa ai mendicanti: prende delle monete, le scalda al fuoco e gliele butta, ma con gran sorpresa la strega le raccoglie e non si brucia.

In campagna la magia e la vita sono intimamente connesse, laddove in città la scienza è celebrata e la magia, almeno apparentemente, vituperata. In campagna la superstizione è cosa seria, e la magia è la sua lingua. Nel film “Non si sevizia un Paperino” (1972) di L. Fulci si racconta di un serial killer di bambini in un paesino del meridione. I sospetti ad un certo punto cadono sulla maga del paese, e gli abitanti si fanno giustizia da soli. In quella che può sembrare una rappresentazione dell’arretratezza culturale campagnola, si delinea invece il contrario: il linciaggio organizzato della maga è una prima espressione di pregiudizio borghese, di contadini che fino al giorno prima chiedevano fatture e amuleti, e poi puntano il dito contro il magico come fonte di ogni disgrazia. La superstizione verace è la campagna; i cittadini vivono invece di pregiudizi e discriminazioni.

Se la campagna regala all'uomo acqua e cibo, questo non avviene per una legge di bontà e opulenza. La campagna fa ammalare e si chiude in un mutismo ostinato: la carestia. Le forze della natura, composte in un incastro magico, possono ad un certo punto rivoltarsi. Il cielo non dà pioggia, allaga. I fiumi esondano, gli acquitrini inviano eserciti di insetti mortiferi.

Il tema del sacro legato alla campagna ha alcuni topoi:

1. l'intoccabilità di alcuni santuari della natura;

2. la possibilità di propiziare le forze della natura, i demoni, perché si volgano a nostro favore; o, al contrario, di allontanare il malocchio;

3. la presenza di entità demoniache che incarnano siti, forze naturali o personaggi “fissati” nella storia del luogo, che non trovano pace, o che simboleggiano il confronto tra l'uomo e le forze della natura stesse;

4. la presenza di streghe, stregoni, fattucchiere.

La campagna è sede di un equilibrio magico, di forze che non sono dalla nostra parte, ma possono essere contro di noi. Non siamo noi a comandare, né siamo al centro del senso delle cose. Per questo, è necessario cercare di cogliere i segnali, e di propiziarsi gli elementi naturali come fossero divinità che, con un battito d'ali, possono produrre la nostra rovina. Dobbiamo sapere come non offenderle, anche per sbaglio, perché a loro non importerà niente se non l'abbiamo fatto apposta. Onorarle per farle prosperare, per nostro puro interesse, ma con la certezza che così ce le faremo amiche. E, di nascosto, spiare quel che fanno e come si muovono, per capire se qualcuno ce le mette contro, o se i loro percorsi si intrecciano con i nostri, e muovere le nostre pedine.

La leggenda del leberou, descritta dai francesi Ascete nel loro "Calamites & les calamités" (2021), allude alla lotta per l'inseminazione. Persone qualunque che, in una notte fatale, usciranno a cercare la loro preda con cui congiungersi, in una dimensione magica in cui la mostruosità dell'istinto, il mistero della carne che genera carne, sono qualcosa che trascende il desiderio, l'amore e l'attrazione socialmente costruita, ed esprime una “ananche” che deve essere ancora più forte e ingovernabile. Il “più forte di noi” alla fine può venire in soccorso anche quando il resto farebbe da ostacolo, questo sembra suggerire la figura del leberou. E' insieme uno spauracchio che incombe e un elemento primordiale che la natura custodisce e rilascia ogni tanto per reclamarne la sacralità, sopra ogni sovrastruttura umana.

I Lidérc, dall'Ungheria, propongono un black classico con aperture folk. In copertina una scena di un contadino che si intrattiene in cantina con un demone, tra prosciutti appesi, agli e botti di vino.

Più suggestivi, al limite della pura suggestione però, gli Hexafoil, che entrano in un tema curioso, ovvero la oneiromanzia, ovvero la divinazione del futuro tramite l'interpretazione dei sogni. Tra atmosferico puro e lo-fi, questo progetto di Andorra sicuramente meriterebbe di proseguire.

E' solo ravanando a fondo che viene fuori quello che invece è un titolo-manifesto per il black rurale, ovvero “Bucolic in Black”, momenti atmosferici di apertura (e chiusura) di “Manifesting the Dark Rural Ethos” (2018) degli Instinct. One-man-band britannica, con diversi album all'attivo. Sospesi tra black lo fi e ambient, alla lunga danno l'impressione che da un momento all'altro entri la madre di uno nella stanza e dica “via, ora basta con quell'affare, vai a dormire che domani hai la verifica!”. Nel complesso, un progetto in cui si ricerca un disagio nascosto in luoghi boschivi, forse incombente dagli alberi, forse nascosto in tane o anfratti, un'insidia sospesa tra il secco e l'umido.

Chiuderei con i meritevoli Tomorr (era uno de “i Bulgari” di Aldo Giovanni e Giacomo?), albanesi di Empoli, che propongono un doom-core, così lo definirei. In copertina due pastori albanesi che si appicciano le pipe, musicalmente vicini ai Sabbath ma più crudi (o andati a male, ma sempre in senso positivo).

Ma il rurale è anche luogo di una materialità decrepita e sporca, che ha poco di magico. Quel rurale moderno, fatto di casotti di lamiere, mezzi meccanici in disuso, pale arrugginite, serbatoi di carburante e generatori di corrente sinistramente accesi, come in “Non aprite quella porta”. In questi ambienti fioriscono bettole e ritrovi ad alto tasso alcolico in mezzo a paeselli austeri e organizzati, quasi che il disagio covato sotto i veli della struttura sociale fosse poi affogato prima che esploda davvero.

L'equivalente dei Tankard nel black metal è probabilmente qualcosa di vicino agli Impaled Nazarene, che però sono troppo sofisticati. Se un tempo i finlandesi si accontentavano di immaginari ruspanti e caproni a vario titolo coinvolti in orge boschive, poi si sono spostati su un feticismo sadomaso e cyberpunk lontano da queste atmosfere.

Nella campagna brètone restano invece dei sani entusiasti della sbronza alcolica, che posano il forcone e tirano dentro anche Satana nelle loro bevute. I Devilspit propongono un ARBPM (Alcoholic-Rural Black Punk Metal) che somiglia al metal punk rozzo e proto-thrash di alcuni lavori dei Darkthrone. I nostri possono essere piacevoli da ascoltare, anche grazie alla suggestione di titoli quali “Ethilic Dark Crusade”. Un diavolo proletario che sputa fuoco mentre marcia battendo il tamburo è la mascotte che guida le loro gesta. Buone le parti strumentali stile galoppo, mentre il trotto “in battere” tipico del proto-thrash minimale risulta sempre un po' noioso. Lo stile dei Devilspit spazia da quello di una sorta di Misfits più crust , con tanto di coretti, ai Darkthrone del ritorno-rilettura delle radici del metal, al solito termine di paragone dei Venom. Diciamo però che di rurale non c'è nulla se non l'idea di un black metal o metal primordiale, o cacofonico “dalle scarpe grosse”.

I “coltivatori dissidenti” (Cultivateurs Contestataires) sparano dal Quebec un grindcore in sé valido, con la demo 7 anni di vacche magre (1994). I titoli sono una macedonia di ruralità: il ciliegio, l'albero del corvo, le formiche ma anche sull'orlo della demenza, castrazione porcina e soprattutto – peccato non sia disponibile il testo - la figlia dell'ortolano.

Inciampo anche nei Rural Pitchfork, una sorta di Pantera, vorrei dire “rurali”, ma in realtà non vi è una coloritura di tal genere. Il logo con i due forconi incrociati e il titolo “Simple Rural Solution” stimola fantasie che rimangono insoddisfatte.

Certo è che se si cambia latitudine, in Bretagna si respira aria leggera in confronto alla Svezia. Il problema non è l'orrore, perché ogni luogo ha la sua dimensione dell'orrore, dal Messico alla Norvegia. Ma quando si arriva in Scandinavia, la ruralità diventa senza speranza, a parità di oscurità. I Blood Red Fog piazzano un “Rural Abyss”, live del 2018, con in copertina una foto di gruppo con bara aperta, in occasione di un funerale di campagna di fronte a quella che potrebbe essere la chiesetta o l'osteria. In qualche modo ricorda quella ruralità malsana e autentica de “La capitale dell'odio” degli Hate & Merda. La sensazione è proprio quella di essere in una nebbia spessa che schiaccia il petto, mentre con passi faticosi si coprono percorsi spogli e inospitali. Il dubbio che vi sia vita, che è fortunatamente risolto dalla ruralità, con la sostanza della sua terra, dei suoi frutti e dei suoni animali. Ma nei momenti di calo della tensione sembra che la miglior prova della vita sia l'incontro inevitabile e squallido della morte, possibile ad ogni angolo di strada.

A cura del Dottore

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