Prima di scrivere questo live-report sono andato a rileggermi quello che avevo scritto quando vidi i Ministry nel 2018, e mi sono sorpreso di come molte delle mie osservazioni dell’epoca ancora si potessero applicare nel descrivere l’ultima calata londinese della band del grande Al Jourgensen. Questo vale per la musica, per il pubblico, per l'atmosfera nel complesso. Quanto a quest'ultima, come per la scorsa volta, si è registrato un alto tasso di disagio. Un disagio gioioso, però, mitigato da quello stesso clima di revival che puoi trovare oggi ad un concerto di vecchie glorie come Napalm Death o The Sisters of Mercy, dove di colpo ti senti stranamente giovane e sano di mente, circondato da personaggi che indubbiamente hanno visto tempi migliori, ma che eroicamente non rinunciano, almeno per una serata, e persino esagerando, all'occasione di divertirsi ancora una volta, esattamente come si faceva ai bei tempi andati.
Lo dimostra la significativa presenza di anziani sdentati, sudati, ubriachi, a petto nudo e con una micidiale voglia di attaccar bottone con chiunque (e che tu giustamente tendi ad evitare come se fossero la personificazione della peste...). Non che i giovani siano tanto meglio eh, ma non voglio dilungarmi sul tema: trovate tutto nel report del 2018. Onde non ripetermi, a questo giro mi focalizzerò principalmente sulle differenze fra i due concerti e sulle novità, se così le vogliamo chiamare. Una di esse è senz'altro il ritorno all'ovile - avvenuto lo scorso anno - del bassista e membro storico Paul Barker, a cui usiamo associare la fase artisticamente più virtuosa dei Ministry: senz'altro un elemento di buon auspicio! V'è inoltre da segnalare il fatto che la band ha rilasciato quest'anno l’album di rifacimenti “The Squirrely Years Revisited”, ove si è andati a rispolverare il primissimo repertorio della band, quando ancora suonava musica elettronica. A questa release è poi seguito un tour ad hoc negli States dedicato a codesta parte della carriera. Niente paura: l’approdo ai festival estivi europei sembra aver suggerito ai Nostri di dover calzare nuovamente le vesti di maestri assoluti dell’industrial-metal più riottoso, ma chissà se questa operazione avrà lasciato delle tracce nella scaletta che in teoria dovrebbe essere un best of, considerato anche che non vi è nuovo materiale da promuovere...
Lo dimostra la significativa presenza di anziani sdentati, sudati, ubriachi, a petto nudo e con una micidiale voglia di attaccar bottone con chiunque (e che tu giustamente tendi ad evitare come se fossero la personificazione della peste...). Non che i giovani siano tanto meglio eh, ma non voglio dilungarmi sul tema: trovate tutto nel report del 2018. Onde non ripetermi, a questo giro mi focalizzerò principalmente sulle differenze fra i due concerti e sulle novità, se così le vogliamo chiamare. Una di esse è senz'altro il ritorno all'ovile - avvenuto lo scorso anno - del bassista e membro storico Paul Barker, a cui usiamo associare la fase artisticamente più virtuosa dei Ministry: senz'altro un elemento di buon auspicio! V'è inoltre da segnalare il fatto che la band ha rilasciato quest'anno l’album di rifacimenti “The Squirrely Years Revisited”, ove si è andati a rispolverare il primissimo repertorio della band, quando ancora suonava musica elettronica. A questa release è poi seguito un tour ad hoc negli States dedicato a codesta parte della carriera. Niente paura: l’approdo ai festival estivi europei sembra aver suggerito ai Nostri di dover calzare nuovamente le vesti di maestri assoluti dell’industrial-metal più riottoso, ma chissà se questa operazione avrà lasciato delle tracce nella scaletta che in teoria dovrebbe essere un best of, considerato anche che non vi è nuovo materiale da promuovere...
Nota biografica (e che a voi importerà il giusto): c’è mio cugino in trasferta a Londra ed ovviamente questo conferisce un taglio diverso alla serata. E’ per via di questa nostra reunion che siamo qui stasera, perché assistere ad un concerto dei Ministry è sembrata una idea carina per celebrare gli oramai 35 anni e passa di vita musicale trascorsi insieme (“ΕΦΑΛΗΞΘ” - anche detto "Psalm 69 ecccettera eccetera", anno 1992, è stato uno di quegli album che ha indubbiamente segnato la nostra formazione musicale).
C’è inoltre da dire che questo appuntamento va ad incanalarsi in uno strano trend occorso negli ultimi anni che vede il sottoscritto presenziare a concerti di metal non proprio convenzionale e per certi aspetti estremo (nel 2023 i Chat Pile, l’anno scorso i Liturgy, oggi i Ministry) appena dopo il ritorno dalle vacanze estive trascorse in Italia: insomma, un bel calcio in culo a tutta la melma social-popolare che si porta dietro un soggiorno al mare e che sicuramente giova all'evento, il quale finisce inevitabilmente per assumere una funzione di catarsi e di liberazione dal "disappointment" provincial/balneare. E in questo senso non poteva esserci benedizione migliore di quella dello scrittore William S. Burroughs,
ritratto con il fucile in mano in un celebre scatto in bianco e nero
proiettato sullo schermo che campeggia sopra il palco: una immagine
emblematica proposta a mo’ di “screensaver” sia durante i vari cambi-palco che durante l’esibizione degli stessi Ministry (ricordiamo che la voce dello scrittore fu utilizzata come sample in "Just One Fix").
Giova la location, il discreto e raccolto Electric Brixton (scelta probabilmente dettata dal fatto che la band aveva suonato qualche giorno prima al Bloodstock – importante festival metal inglese – e che dunque era lecito non aspettarsi una grande affluenza di pubblico – fatto certificato dal mancato sold out). Ma a me l’Electric Brixton non dispiace affatto: dotato di buona acustica anche per concerti estremi (qui vi ho visto di recente i Napalm Death), si giova di un soffitto altissimo, cosa che scongiura l’effetto claustrofobia che potrebbe essere indotto dalle dimensioni contenute del locale. Gli spazi ristretti, i due livelli (+ balconcino) e le svariate scalinate permettono inoltre una buona visuale ovunque ci si posizioni. Ed anche questa è una cosa decisamente positiva se si vuol vedere de visu un vecchio amico come il Jourgensen.
Ad aprire abbiamo ben due gruppi stasera, tali Siglos (trascurabile groove/industrial-metal band losangelina con il vezzo di cantare in spagnolo) e i Light of Eternity (super gruppo che include Paul Ferguson dei Killing Joke e Fred Schreck dei The Ancients). Dei primi non potrò dire nulla in quanto ce li siamo volutamente persi. Quanto ai secondi, sebbene interessanti sulla carta, devo dire che sono stati una mezza delusione. Certo, il drumming secco e marziale di Big Paul è iconico e solo per questo il concerto ha meritato la nostra attenzione, ma l’industrial-rock (guarda caso molto simile a quello dei Killing Joke) proposto dal trio inglese è apparso alquanto datato, poco originale ed eseguito senza nemmeno troppa convinzione. La chitarra di Paul Williams è sacrificata nel mixaggio (bruttina la resa sonora, con la batteria in primo piano), mentre la performance vocale senza nerbo di Schreck (anche al basso) non coinvolge, tanto che risulteranno molto graditi i salvifici interventi vocali da dietro le pelli da parte del mitico Ferguson, l’elemento più in palla della serata. Con all'attivo tre EP, i Nostri presentano otto pezzi di cui mi sento di citare solamente la conclusiva “Fascist X”, che mi è parso il momento migliore.
L’esibizione è comunque utile in quanto propedeutica al piatto forte della serata: si scaldano i motori, si ingurgita birra, si fanno discorsi sui grandi sistemi frescheggiando vicino all'ingresso del locale dove si può beneficiare del getto dell’aria condizionata, visto che l'Electric Brixton stasera è una sauna infernale.
Eccoci dunque ai Ministry. Come detto, voglio evitare di ripetermi, pertanto darò un taglio concettuale al report, suddividendo l’esibizione in tre distinte fasi.
Fase 1. I primi sette brani sembrano una cosa dovuta, come una sorta di riempitivo da somministrare prima dei classici. I pezzi si susseguono molesti e nervosi, sia che si tratti di testimonianze da lavori storici come "The Land of Rape and Honey" e "The Mind Is a Terrible Thing to Taste" che di episodi estrapolati dai più recenti "Moral Hygiene" e "Hopiumforthemasses". Non dico che ci si annoia innanzi a pezzi come “Thieves”, “The Missing”, “The Deity” o con le energiche effusioni di “Rio Grande Blood” (il classico del nuovo millennio che avrebbe rilanciato il buon nome della band dopo un periodo artisticamente non proprio esaltante), ma il tutto risulta molto provedibile e senza particolari scossoni. E' come se i Ministry facessero i Ministry: i brani tendono ad assomigliarsi, uniformarsi, normalizzarsi, rinforzati da un sound vitaminizzato a suon di dure iniezioni di thrash slayerano, con qua e là qualche apertura anthemica che sembra voler strizzare l'occhio ad un pubblico più giovane. Il tutto condito dalla classica retorica anti-trumpiana, che certo non ci dispiace, ma che appare un po’ telefonata (l’esibizione, senza intro, si apre con una schermata riportante una scritta del tipo “nessun membro di questa band ha votato....”, ed indovinate di chi è il faccione che compare subito dopo?).
Non si recrimina nulla ai musicisti, precisi nella esecuzione. E niente abbiamo da ridire sul Jourgensen, forte di una presenza carismatica e responsabile di una performance vocale di tutto rispetto. Ma al di là che il Nostro oramai ha vita facile sul palco (dispensato dall'impiego della chitarra, supportato da altri cinque musicisti iper-affiatati e aiutato al microfono da effetti di ogni tipo), la mia impressione è che sia irrimediabilmente invecchiato, NON nella tenuta del palco, NON nel dispendio di energie (il Nostro non si risparmia per un istante tanto che diviene difficile pensare che sia un classe 1958!), ma nell'attitudine complessiva: si muove sul palco con la rilassatezza di un vecchio freakettone buontempone mezzo stonato che, al mercatino di Natale, gigioneggia con i passanti per attirarli al suo banchetto di manufatti. E quella rabbia che ancora gli riconoscevo nel 2018, oggi sembra essere sostituita dal valido mestiere di un navigato entertainer. Quanto a Paul Barker, direi che il suo apporto è più di scena che di sostanza: certo, il suo basso muscolare è invadente, ma ad imporsi soprattutto è il dinamismo espresso sulle assi abbinato alla sua camicia stirata in perfetto stile post-punk/industrial old school che va a cozzare con il look tamarro degli altri componenti della band (con un Jourgensen in prima fila ad indossare un vistoso colbacco - scelta suicida, considerate le temperature tropicali).
Fase 2. Si inizia a respirare. “Stigmata” porta finalmente quel cambio di passo che avevamo atteso invano nella mezzora precedente. Il brano, datato 1988, colpisce per il suo groove bombastico e per la sua lungimiranza nell'anticipare molto industrial-rock degli anni novanta (vedi Nine Inch Nails, White Zombie e Marilyn Manson). Ma è con il terzetto di brani estratto da “ΕΦΑΛΗΞΘ” che iniziano le vere gioie. Nel momento in cui Al imbraccia la chitarra si inizia a fare sul serio: a questo punto saranno ben tre le asce sul palco e tutto scorre che è una bellezza! Attacca “N.W.O” i cui toni militanti sono accompagnati dalla bandiera israeliana proiettata sullo schermo, seguita poi da altre bandiere di super potenze. Le ritmiche incalzano, il basso pompa, sirene anti-sommossa e campionamenti strepitano, orde di energumeni saltano gioiosamente con il pugno roteante in aria, l'atmosfera è incendiaria e finalmente si ha la sensazione di essere in presenza di una grandissima band. Basterebbe questo per tornare a casa contenti, ma ecco che senza tanti fronzoli irrompe il riffone di “Just One Fix”, un brano che - come amo sempre dire - inventa su due piedi i Rammstein. Altro giro altra gioia, il set si conclude con una scoppiettante “Jesus Built my Hotrod” che svela l’animo più punk-rock e scanzonato della band: degna conclusione di una ventina di minuti di pura adrenalina.
Fase 3. Se era lecito aspettarsi come bis una “So What” (riproposta come gran finale nelle date precedenti), i Nostri ci prendono in contropiede con tre brani del loro repertorio pre-metal di cui si diceva all'inizio. Onestamente parlando non conoscevo questa parte della carriera dei Ministry, ma posso dire che “We Believe” (da “Twitch”, anno 1986) ed “Effigy (I’m not an)” e “Revenge” (dal full-lenght di debutto “With Sympathy” del 1983) sono stati il regalo più bello che i Nostri potessero fare a quel punto della serata. Anzitutto perché il regalo era in effetti inaspettato, almeno dal sottoscritto - ed è bello ancora oggi potersi sorprendere ad un concerto, peraltro al cospetto di una band con più di quarant'anni alle spalle. Ma poi, dopo così tanto rimbombare ed inveire, è stupendo ritrovarsi spensierati a ballare come dei cretini ubriachi fra sonorità anni ottanta e gingle quasi depechemodiani, con un Jourgensen beffardo a sfoggiare un insospettabile pulito, nonostante la voce sia ancora filtrata. L’esaltazione è tale che a questo punto non solo non sarebbe dispiaciuta una scaletta incentrata sul repertorio synth-pop degli anni ottanta, ma sarebbe stata persino più gradita del set metallico effettivamente proposto (ad eccezione ovviamente della suddetta fase 2).
E quindi... niente da ridire: concerto in crescendo, per certi aspetti sorprendente e che mette ancora in chiaro che, nonostante l’età, la classe non è acqua. Grandi Ministry, grande Al Jourgensen, grandi noi che abbiamo trascorso insieme un’altra memorabile serata di buona musica!
E quindi... niente da ridire: concerto in crescendo, per certi aspetti sorprendente e che mette ancora in chiaro che, nonostante l’età, la classe non è acqua. Grandi Ministry, grande Al Jourgensen, grandi noi che abbiamo trascorso insieme un’altra memorabile serata di buona musica!