Draghi nella Città degli Angeli: Casket of Dreams, "Dragons of Autumn Twilight" (1998)
Si ritaglia un posticino di tutto rispetto negli annali del dungeon synth questo gioiellino a firma Casket of Dreams. Parliamo oggi del seminale "Dragons of Autumn Twilight", il quale rappresenta un episodio peculiare nella prima fase del dungeon synth, soprattutto se raffrontato agli standard delle uscite degli anni novanta. Proprio in virtù del suo carattere "speciale", questo lavoro possiede anche un potenziale anticipatore che andrà, in tempi non sospetti, a concretizzare gli elementi di tendenze espressive che emergeranno e si imporranno molto tempo dopo il suo anno di uscita, ossia il 1998.
Anzitutto "Dragons of Autumn Twilight" non giunge dalle fredde e nebbiose lande del nord Europa, ma dalla soleggiata California. Saldamente aderenti ai cliché del dungeon synth – dall'impianto strumentale e stilistico alle tematiche fantasy – i Casket of Dreams offrirono la loro personale visione del nascente movimento, confezionando un capolavoro amatissimo dagli addetti i lavori.
Partiamo dalle biografie dei due musicisti coinvolti nel progetto: Mike Pardi e Robert Nusslein. Entrambi hanno fatto parte dei Ritual, una delle prime band black metal emerse dal suolo americano, e già questo dettaglio ci fa pensare. Attivi dal 1993, i Ritual esordirono discograficamente nel 1995 con il full-lenght "The Summoning". In quell'album Pardi suonava la chitarra e Nusslein il basso. I due sarebbero poi rimasti nell'organico della band per tutta la prima parte della carriera della stessa, per poi confluire nelle esperienze più disparate.
Oltre a fondare i Casket of Dreams nel 1998, i Nostri avrebbero militato in molte altre band, più o meno note. Dettaglio ancora più interessante, entrambi avrebbero fatto parte degli Xasthur sebbene per brevissimi periodi e in momenti diversi: Pardi, proprio con lo pseudonimo di Ritual, avrebbe suonato la batteria negli Xasthur nel primissimo periodo del progetto, dal 1996 al 1999, partecipando alla realizzazione dello split con gli Orosius nel 1999; Nusslein, invece, si sarebbe unito al progetto in una fase avanzata della sua carriera, prestando la voce in "Subject to Change" (2016) e in "A Misleading Reality" (2018). Insieme hanno anche militato nel progetto industrial-goth Psionic, a dimostrazione della loro versatilità.
Per il resto, Pardi avrebbe fatto parte della black/death metal band Draconis dal 1995 al 2016 ed addirittura avrebbe militato negli storici Possessed dal 2013 al 2016 (in anni tuttavia in cui la band non produsse nulla), senza contare act meno noti come Ardent Nova ed Empty Throne. Nusslein, dal canto suo, avrebbe proseguito con gli Arcane Asylum (fra black metal e goth rock) occupandosi di voce e sintetizzatori. Insomma, questa ricostruzione ci fa capire da un lato che abbiamo a che fare con personaggi di una certa caratura e con ampie vedute, e dall’altro come il dungeon synth, pur all’ombra delle palme di Los Angeles, mantenesse una stretta connessione con il black metal.
Torniamo dunque al 1998, quando i due decisero di dare alle stampe i 29 mitici minuti di “Dragons of Autumn Light”. Dell’approccio lo-fi tipico delle produzioni black metal non troviamo traccia, altro aspetto che distingue il tomo in questione da molti esperimenti simili compiuti dall’altra parte dell’oceano Atlantico. Lo sguardo nostalgico del duo nei confronti degli anni ottanta viene svelato da tutta una serie di riferimenti più o meno espliciti: il titolo dell’album fa riferimento a “Le Cronache di Dragonlance”, popolare saga letteraria degli anni ottanta; la copertina prende spunto dal film “Deagonslayer” (in italiano “Il Drago del lago di fuoco”) del 1981; nella traccia conclusiva “The Eye of Evil” si cita direttamente la colonna sonora del videogioco della Nintendo “The Legend of Zelda”, creato nel 1986. Un impianto concettuale, questo, che viene coerentemente reso con una strumentazione vintage che richiama le sonorità delle vecchie tastiere Casio.
Tutto questo insieme di cose rende l’opera più “nerdy” che “blacky”, nel senso che esprime una passione per determinate tematiche che presumiamo siano state legate all'infanzia dei suoi autori: un approccio che si rivelerà anticipatore di molto dungeon synth successivo. Gli amanti del primo dungeon synth, quello più spartano e connesso spiritualmente al black metal, storceranno il naso, ma gioiranno tutti gli altri, soprattutto coloro che avranno bisogno di un sottofondo musicale per serate dedicate ad appassionanti giochi di ruolo.
L’approccio di Pardi e Nusslein è razionale e ponderato, le otto tracce presentano un sound corposo e sottendono una discreta attenzione al dettaglio, con esiti che potremmo collocare a metà strada fra la colonna sonora di un film fantasy e le atmosfere tese di un disco di symphonic black metal. Ne è un esempio perfetto la seconda traccia “The Basilisk’s Eye”: maestosa ed al tempo stesso tetra, costruita sul valente intreccio di ampi accordi di tastiera, giri di singole note ed inserti elettronici, con versi animaleschi e scricchiolii assortiti a fare da condimento. Insomma, un felice incontro fra atmosfere horror à la Tim Burton e la magniloquenza dei primi Arcturus, un suono “violetto/purpureo” che rispecchia in pieno la pittoresca copertina.
I brani si muovono lungo le medesime coordinate, componendo un insieme omogeneo e coerente dove le uniche - lievi - variazioni si inseriscono in modo armonioso (penso alle percussioni sintetiche ed agli effetti dal flavour futuristico di “Astral Extinction”, o ai giri di pianoforte in stile new-wave ottantiana di “Beyond the Mirrorgate”). Altro pezzo da novanta in scaletta è la già menzionata “The Eye of Evil” che indugia su un perfido mood orrorifico avvalendosi di partiture di organo ed orripilanti linee melodiche che sembrano uscire dalla mente del maestro dell’horror John Carpenter.
Tutto questo insieme di cose fa pensare che i Nostri siano pervenuti ai medesimi risultati di molti loro colleghi europei, ma passando da un’altra strada. Probabilmente anche loro son partiti dagli imprescindibili Mortiis e Burzum, ma senza farsi ispirare più di tanto dai contenuti dei loro album, bensì facendosi solamente imbeccare con l'idea che non è un reato realizzare un album strumentale di sole tastiere.
Come capitato in molti altri casi, il duo sarebbe passato alla storia per un solo album, ma come accaduto in altrettanti, il progetto sarebbe poi resuscitato (credo sotto la guida del solo Nusslein) in tempi recenti, probabilmente sospinto dalla popolarità vissuta dal dungeon synth nel corso degli anni dieci. E' del 2020 “Solas”, inaspettato ritorno discografico dopo più di un ventennio di silenzio, al quale seguiranno nel 2021 “The Hallucination Tunnels”, uscito a quattro mani con gli Xasthur, e "Primal - Ancient - Legendary" del 2022. Suddetti lavori non sposteranno di molto le coordinate stilistiche del progetto, ma se devo esprimere un giudizio personale, ho trovato nella collaborazione con gli Xasthur un quid in più che, a questo punto, credo debba essere riconociuto a Malefic. Il tomo in questione, beninteso, non ha niente a che fare con il depressive black metal, essendo un album di sole tastiere e volendo ricadente sotto l'etichetta del dungeon synth. A rendere il tutto più magico parrebbe essere proprio la mano morbosa e geniale del mastermind degli Xasthur, riconoscibile dalle trame melodiche dissonanti e sbilenche che ritroviamo sistematicamente nei suoi album elettrici.
Una impressione, quest’ultima, che va ad avvalorare la tesi che i Casket of Dreams siano sicuramente in grado di confezionare prodotti ben scritti, suonati ed arrangiati, ma privi di quella genuinità, di quel verace spirito autarchico ed artigianale di molte produzioni dungeon synth della prima ora (famiglia di cui, almeno cronologicamente parlando, fanno indubbiamente parte). Resta il fatto che “Dragons of Autumn Twilight” è da vedere come uno dei lavori più "avanti" e per certi aspetti profetici del dungeon synth novantiano, andando ad anticipare di molti anni lo spirito, gli umori e le caratteristiche concettuali e stilistiche di molto dungeon synth successivo.