Comprai il primo disco
degli Annihilator (Alice in Hell) spinto dal commento
di un fan nella rubrica “lettere alla redazione”, che inneggiava
a questo nuovo fenomenale gruppo lamentandosi che il giornale
dedicava invece sempre spazio ai solito vecchi nomi. Un disco eccellente,
inclusa la copertina. Non era un disco in cui tutto era al massimo
livello, era semplicemente un disco che faceva centro. Strutture
varie, tecnicismi, corposità sonora e varie spezie metal che rientravano nei normali condimenti.
Era sostanzialmente un disco di thrash tecnico, per cui però non apriva nuovi orizzonti...
Al centro degli
Annihilator, dal logo
in stile Rambo, c'era Jeff Waters.
Il secondo disco "Never, Neverland" aveva un
cantante diverso, certamente più muscoloso e quanto alla qualità
dei brani non c'era niente da dire. Spunta però una vena
fastidiosissima, una degenerazione di quella che era stata in effetti
una cosa portante della lirica metal per tutto il decennio, ovvero la
critica sociale, l'ammonimento per l'egoismo, lo sfruttamento
dell'ambiente, la tendenza delle nuove generazioni a perdersi in
rischi inutili, etc.
Nel thrash le situazioni
però erano in genere descritte in maniera verista, cioè lasciando
parlare i fatti, le immagini, con una critica implicita o espressa in
maniera allusiva, col rischio di essere degli antagonisti
qualunquisti (quando si prendeva posizione) o dei compiaciuti
(quando si descriveva senza prendere posizione). Alcuni invece
puntavano il dito, lanciavano appelli o invocavano la giustizia
divina contro i mali del mondo, atteggiamenti questi che invece erano
onestamente indigesti. In questo filone si collocarono gli Annihilator del
secondo disco, per poi finire clamorosamente gli argomenti sul lato
B.
Il disco inizia ottimamente con “The Fun Palace”, in cui il burattinaio cosmico punisce l'autore di misfatti (parrebbe un pedofilo) rinchiudendolo in una sorta di luna park punitivo, in cui tutte le gioie negate alle sue vittime si tramutano in sofferenza. L'dea non è male, fin quando non si capisce che questo “Palazzo del divertimento”, la prigione spirituale del malfattore, è la sua stessa coscienza che lo inchioderà alle sue responsabilità e lo farà vivere nel rimorso.
Ma quando mai? Molto più efficace allora la trattazione del problema nel concept “Time does not heal” dei Dark Angel, dove si constata come alcuni traumi non guariscano mai.
Il disco inizia ottimamente con “The Fun Palace”, in cui il burattinaio cosmico punisce l'autore di misfatti (parrebbe un pedofilo) rinchiudendolo in una sorta di luna park punitivo, in cui tutte le gioie negate alle sue vittime si tramutano in sofferenza. L'dea non è male, fin quando non si capisce che questo “Palazzo del divertimento”, la prigione spirituale del malfattore, è la sua stessa coscienza che lo inchioderà alle sue responsabilità e lo farà vivere nel rimorso.
Ma quando mai? Molto più efficace allora la trattazione del problema nel concept “Time does not heal” dei Dark Angel, dove si constata come alcuni traumi non guariscano mai.
Secondo brano: “Road
to ruin”, ammonimento a non bere troppo per chi guida.
Saggio testo, un po' ingenuotto: non si guarda in basso mentre si
guida a cercare le chiavi sul sedile (i cellulari non esistevano
ancora), ci si tiene sotto i 90 orari etc.
Molto meglio lo slogan “Guida poco che devi bere” e più sincera l'ostilità di Dave Mustaine contro l'articolo 502 - Guida in stato di ebbrezza del Codice Stradale americano, nell'omonima canzone che peraltro inizia col rumore del botto di un incidente.
Molto meglio lo slogan “Guida poco che devi bere” e più sincera l'ostilità di Dave Mustaine contro l'articolo 502 - Guida in stato di ebbrezza del Codice Stradale americano, nell'omonima canzone che peraltro inizia col rumore del botto di un incidente.
"Sixes and Sevens" ci introduce nel dramma di chi si fa un bicchiere contro lo stress della vita quotidiana. Meglio Ernesto Calindri che sorseggiava Cynar contro il logorio della vita moderna, oppure Rino Gaetano che diceva “chi mangia patate, chi beve un bicchiere, chi solo ogni tanto, chi tutte le sere....” ne “Il cielo è sempre più blu”.
"Stonewall" punta il
dito contro l'inquinamento, mostrando un po' di stanchezza
compositiva e anche di incoerenza lirica: se i miliardari se ne
fregano delle leggi e delle multe, chi è che dovrebbe “sentire le
grida” della natura ferita?”. Una canzone “a-la-Celentano”,
che non prende quota, perché o ci si incazza o si lancia un appello,
la via di mezzo non sarà mai efficace.
Finalmente si torna a temi intriganti come la malattia mentale con “Neverland”, ispirata al fatto di cronaca: una madre segregò per anni la figlia in casa, delirando di doverla proteggere dal mondo fuori. Un pezzo in stile King Diamond, che poteva essere l'inizio di un filone horror-thrash, mai percorso.
Finalmente si torna a temi intriganti come la malattia mentale con “Neverland”, ispirata al fatto di cronaca: una madre segregò per anni la figlia in casa, delirando di doverla proteggere dal mondo fuori. Un pezzo in stile King Diamond, che poteva essere l'inizio di un filone horror-thrash, mai percorso.
Il lato B scivola nel
marasma tematico.
In "Imperiled eyes" ci si scaglia contro l'incuria, la guerra e chissà cos'altro che rendono la terra “marcia” con il commento “... e pensare che l'uomo si credeva saggio”. Peggio, l'uomo si crede ancora saggio, prova ne sono pezzi come questo che fanno appello ad un'autocritica che non può produrre alcunché, se non compiacimento per chi la fa (su tutti e su nessuno in particolare).
Questo paternalismo che appella a valori mai esistiti, tipo l'amore per il prossimo, è il vero cancro dell'umanità.
Accenni alla figura di un dittatore guerrafondaio e agli effetti di un bombardamento ("I am in Command" e "Reduced to Ash"). Un altro respiro con il tema della malattia mentale con "Phantasmagoria" anche sul lato B, ma è poca cosa, anche perché questo lato ospita uno dei pezzi più demenziali mai scritti, ovvero un inno alle cene a base di pastasciutta al formaggio ("Kraft Dinner"), con tanto di coro. Cosa ci sia poi di così particolare o sfizioso in questa cena che millantano come “tipica del metallaro”, non è chiaro. Roba da tedeschi comunque (che però in genere celebrano la birra) o paragonabile al limite con la “Pappa col pomodoro” di Rita Pavone.
La morale del disco pare essere chiara: tolti alcuni matti totali che vivono in un mondo a parte, il mondo sta andando in merda. La cosa è facilmente spiegabile tenendo conto che i pochi che denunciano questi gravi fatti e invitano a scendere in piazza, poi passano le sere a ingozzarsi di pasta iper-condita.
Una buona allegoria del disimpegno politico dei tardi anni Ottanta comunque. Gonfi le palle agli altri con i problemi del globo, poi inneggi ai maccheroni cacio e pepe, per giunta quelli del fast-food e con dentro coloranti artificiali (Giallo 5 e Giallo 6), giusto per ritornare alla natura.
Come si fa a ingozzarsi di porcate guardando il Tg della sera pieno di immagini della fame nel mondo e delle peggiori disgrazie, dicevano le mie professoresse delle medie?
Semplice: basta essere uomini, non che uno se ne debba vergognare però.
In "Imperiled eyes" ci si scaglia contro l'incuria, la guerra e chissà cos'altro che rendono la terra “marcia” con il commento “... e pensare che l'uomo si credeva saggio”. Peggio, l'uomo si crede ancora saggio, prova ne sono pezzi come questo che fanno appello ad un'autocritica che non può produrre alcunché, se non compiacimento per chi la fa (su tutti e su nessuno in particolare).
Questo paternalismo che appella a valori mai esistiti, tipo l'amore per il prossimo, è il vero cancro dell'umanità.
Accenni alla figura di un dittatore guerrafondaio e agli effetti di un bombardamento ("I am in Command" e "Reduced to Ash"). Un altro respiro con il tema della malattia mentale con "Phantasmagoria" anche sul lato B, ma è poca cosa, anche perché questo lato ospita uno dei pezzi più demenziali mai scritti, ovvero un inno alle cene a base di pastasciutta al formaggio ("Kraft Dinner"), con tanto di coro. Cosa ci sia poi di così particolare o sfizioso in questa cena che millantano come “tipica del metallaro”, non è chiaro. Roba da tedeschi comunque (che però in genere celebrano la birra) o paragonabile al limite con la “Pappa col pomodoro” di Rita Pavone.
La morale del disco pare essere chiara: tolti alcuni matti totali che vivono in un mondo a parte, il mondo sta andando in merda. La cosa è facilmente spiegabile tenendo conto che i pochi che denunciano questi gravi fatti e invitano a scendere in piazza, poi passano le sere a ingozzarsi di pasta iper-condita.
Una buona allegoria del disimpegno politico dei tardi anni Ottanta comunque. Gonfi le palle agli altri con i problemi del globo, poi inneggi ai maccheroni cacio e pepe, per giunta quelli del fast-food e con dentro coloranti artificiali (Giallo 5 e Giallo 6), giusto per ritornare alla natura.
Come si fa a ingozzarsi di porcate guardando il Tg della sera pieno di immagini della fame nel mondo e delle peggiori disgrazie, dicevano le mie professoresse delle medie?
Semplice: basta essere uomini, non che uno se ne debba vergognare però.
Il problema degli Annihilator in questo disco fu proprio questo: facevano le
professoresse indignate, che aspettano la fine del telegiornale prima
di ingozzarsi. Naturalmente non è che
uno sia obbligato a capire di cosa cianciano i testi mentre i nostri
suonano egregiamente, per cui se amate questo disco fatevi bastare la
musica.
Dopo gli Annihilator,
complice anche una instabilità di formazione e un orientamento forse
non stabile sullo stile da seguire, non furono più tra i gruppi di
punta della scena. Ci furono le fasi dell'evoluzione fuori dai cliché
del Metal, le nuove sonorità, il ritorno al vecchio thrash (col
tristissimo titolo di "Refresh the Demon" – si rinfrescarono
la memoria e raffreddarono anche la pietanza).
A me piace pensare che se
la siano meritata per questo paternalismo fuori luogo, soprattutto
come eterno supplizio per aver scritto “Kraft Dinner”.
A cura del Dottore