Emperor: "In the Nightside Eclipse", anno 1994.
Si è già visto
come i norvegesi Emperor, grazie a questo loro clamoroso debutto, si siano
ritagliati un posto d'onore all'interno della storia del black metal.
Oggi ci limitiamo a parlare di uno dei brani del suddetto platter:
"I am the Black Wizards", il cui titolo tradotto alla lettera
("Io sono i maghi neri") mi ha sempre incuriosito per quell’effetto
stridente che dà il contrasto fra il singolare del soggetto e il plurale del predicato
nominale.
In tutti questi anni,
tuttavia, l'unica mia premura è stata di andare a verificare se si fosse
trattato di un errore di battitura nell'editing del package (cosa
possibile nell'ambito delle produzioni underground) o di una cosa
voluta. Ogni dubbio venne fugato andando a scorrere gli ultimi versi del brano,
il quale si completa magistralmente con la voce strascicata di Ihsahn
che ripete "I am them" ("Io sono loro"), andandoci a
confermare che, sì, (io) sono per davvero (loro) i Maghi Neri! Andiamo a
vedere esattamente di cosa stiamo parlando.
Il testo è accreditato a Mortiis,
primo bassista della band, il quale non ebbe modo di partecipare direttamente
alle registrazioni di "In the Nightside Eclipse" in quanto appena
prima decise di lasciare la band ed emigrare nella vicina Svezia, inquietato
dalla piega che stavano prendendo gli eventi attorno al famigerato Inner
Circle. Ma prima di andarsene, egli lasciò in eredità i versi di "Cosmic
Keys to my Creations and Times" e "I am the Black Wizards",
brani che erano già stati editati nell'Ep "Emperor" del 1992.
Quando Mortiis (classe 1975) scrisse il testo del brano aveva dunque si e no
diciassette anni ed era probabilmente un liceale che l'inglese l'aveva imparato a
scuola. Uno che (è sempre bene ricordarlo) come pseudonimo adottò la
storpiatura di un termine latino, perché la parola "mortiis" non
esiste, ed anche quando se ne accorse, a suo stesso dire, decise comunque di
tenerlo. Per questo non bisogna essere troppo puntigliosi nel valutare i suoi
versi.
Mi permetto di tradurre il
testo come meglio viene, lasciando perdere gli strafalcio...ehm, le licenze
poetiche che l'autore si è concesso (come, per esempio, l'incipit
"Mightiest Am I", che non penso proprio si possa dire in inglese, a
meno che segua un punto interrogativo e dunque si tratti di una domanda...
probabilmente il nostro piccolo Shakespeare, invertendo le parole, ha
voluto conferire alla frase un senso arcaico e maestoso). Ecco il testo
integrale:
"Io sono il più potente
di tutti, ma non sono da solo in questo mio cosmo, poiché i neri colli di
questo mio mondo si compongono di anime nere, anime che hanno già sofferto
migliaia di morti. Dietro le mura di pietra dei secoli, esse (queste anime, ndt) nutrono
la loro arte malefica, preparando i loro incantesimi in calderoni di oro nero.
Lontano, sulle montagne, dove la pioggia non cessa mai e i raggi del sole non
arrivano, i maghi, miei servi, invocano le anime del macrocosmo. Nessuna epoca
riuscirà a sottrarsi alla mia ira. Io viaggio attraverso il tempo e ritorno al
futuro. Raccolgo la saggezza oramai perduta, visito caverne antiche quanto
l'eternità, prima che un onnipotente Imperatore possa sopraggiungere.
Osservando i mortali che scoprono le mie cronache, vigilate da antichi demoni,
sconosciuti persino a me medesimo. Una volta distrutte, le loro anime vengono
convocate nella mia sempiterna prigione pregna di odio. È splendido potersi
riempire gli occhi con quelle anime imploranti, annientate nel mio futuro.
Quanti sono i maghi che mi servono con malvagità non lo so neppure io. I miei
imperi non hanno confini, dalle nere montagne che non finiscono mai, fino ai
laghi senza fondo, io sono il dominatore e questo da tempo immemore. Io sono
loro. I miei maghi sono innumerevoli, ma la loro essenza è mia. Da sempre essi
risiedono sui colli nelle loro dimore di pietra fatte di mestizia e dolore.
Perché io sono lo spirito delle loro esistenze, io sono loro, io sono
loro."
Come è evidente, non ci
troviamo innanzi al novello Petrarca del black metal: il testo, redatto
in modo scolastico, presenta dei contenuti puerili che si radicano in un
immaginario fantasy assai canonico. L'unica peculiarità, se vogliamo,
risiede in un concetto di onnipotenza che viene reiterato con
ostinazione, quasi a far emergere la fragilità del giovane Mortiis che, forse
insoddisfatto della sua vita di adolescente, aveva bisogno di crearsi mondi
immaginari in cui poter spaziare ed all'occorrenza essere il dominatore (che la
forte ed onnipotente figura dell'Imperatore non sia altro che l'alter
ego di adolescenti frustrati?).
Una "fuga dal mondo"
peraltro ribadita in sede di intervista e chiaramente percepibile nei progetti
solisti di Mortiis, quelli di stampo ambient, ovviamente, dove il focus
principe è l'evocazione. E in un certo senso, il testo di "I am the Black
Wizards" è "ambient", nel senso che non vi è azione cruenta e
sanguinaria (come potremmo aspettarci da una band dedita al metal estremo), ma
mera descrizione di uno stato di cose: il medesimo concetto ribadito
tramite una serie di suggestive immagini.
Schiere di stregoni intenti a girare
instancabilmente enormi mestoli in fumanti poltiglie in altrettanto grandi
pentoloni, le tetre dimore in pietra sperse in lande oscure e solitarie,
sono in effetti visioni affascinanti. Il fascino di queste parole si accresce
ulteriormente se si pensa alla musica epica e maestosa degli Emperor, peccato
solo che sia impossibile capire i testi, considerato che lo screaming
agonizzante di Ihsahn, inintelligibile già di suo, si perde nel marasma
infernale di suoni confusi ed accavallati.
Che senso ha dunque, date
queste condizioni, scrivere testi elaborati nel black metal? Dal rock'n'roll ai giorni
nostri, "sing a song" significa che una canzone è fatta
di musica e testo. E il black metal norvegese evidentemente non fa eccezione,
sebbene oramai, in un processo di alterazione/trasfigurazione/estremizzazione
le vocalità divengono astrazione, suono funzionale all'atmosfera complessiva,
svuotate di un messaggio lirico esplicito (la lettura del testo rimane
appannaggio di noialtri rincoglioniti).
Certo, di fronte alla
supponenza di chi presume che il metal sia un "genere inferiore", un
testo di questo tipo si presta bene ad avvalorare una tesi di tal fattispecie,
laddove chi spregia il metal può contare dalla propria parte i bei versi di
parolieri come Bob Dylan o Leonard Cohen, tanto per fare due nomi
celebri. Roba nemmeno da comparare: saremo anche artisti, avremo chitarristi
formidabili, batteristi eccezionali, cantanti virtuosi, compositori e
ricercatori intelligenti, ma per i testi, in molti casi (meno male non in
tutti) dobbiamo stendere un velo pietoso.
Come si diceva prima, è bene
fermarsi alla superficie, non scavare, perché al di là dell'assenza di messaggi
particolarmente sofisticati, ci si imbatterà in diverse incongruenze: una su
tutte, il fatto che, dopo averla menata in continuazione sul tema
dell'onnipotenza, ma anche dell'onniscienza (visto che il Nostro viaggia
attraverso il tempo e detiene "conoscenze che noi umani..." dobbiamo
di volta in volta andare a scoprire), il "Tipo" (quello che sa tutto)
non sa nemmeno quanti maghi ha al suo servizio ("ne ho tanti, non lo so
nemmeno io quanti...").
Questa idea del
"capo" che non sa nemmeno quanti dipendenti lavorano per lui (sebbene
il rapporto fra l'Io narrante e i maghi sia più profondo, come se essi fossero
parte di lui e che la sua forza si basasse su di essi, tanto che i due poli
finiscono per identificarsi - "Io sono loro...Io sono loro..."),
questa idea, si diceva, rischia di richiamare una logora accezione del
capitalismo di un tempo in cui l'imprenditore si faceva padre e padrone
della sua impresa, e i suoi dipendenti erano "suoi" in tutti i sensi:
sua proprietà, materia umana da fare e disfare (verrà poi chiamata: Risorse
Umane). L'idea della figura onnipotente che va e viene prima dal futuro al
passato, e poi dal passato al futuro (magari, nei momenti che si assenta, fa
delle puntate a Montecarlo, o trascorre soggiorni da sogno ad Ibiza, chi lo
sa), mentre i suoi servi schiattano in spelonche di pietra in posti freddi,
oscuri, dove piove sempre e non c'è il sole, tutto questo insieme di cose suona
un po' taylorista e, volendo, può richiamare i crismi di una perversa
globalizzazione (non vengono forse in mente i capannoni fatiscenti in
cui sono sfruttati i lavoratori del terzo mondo?).
Ma senza andare troppo
lontano, e tornando un attimo in provincia, la logica è anche quella del
fetido gestore di un ristorante che fa lo “splendido” con la clientela
migliore, dispensando sorrisi e servendo all'occorrenza calici di vino
pregiato, mentre i camerieri corrono senza sosta, o peggio ancora, gli
addetti-cucina, gli sguatteri e i lavapiatti si affannano nel torbido di
cunicoli caldi e maleodoranti.
Lo so, i Maghi Neri
operano al servizio del Male (un male per il male che ha come unico fine il
male e che si tinge di autolesionismo, visto che spesso le esistenze di
questi "cattivoni" non brillano per una eccelsa qualità della vita).
E il Male è cosa ben più nobile rispetto al cucinare e servire della vile carbonara
o delle deprecabili melanzane alla parmigiana... Per questo chiudiamo un occhio
su certe ingenuità e torniamo ad ascoltare in serenità quel gran capolavoro che
è "In the Nightside Eclipse"...