"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

6 lug 2016

DOVE STANNO I "MAGHI NERI"...




Emperor: "In the Nightside Eclipse", anno 1994. Si è già visto come i norvegesi Emperor, grazie a questo loro clamoroso debutto, si siano ritagliati un posto d'onore all'interno della storia del black metal. Oggi ci limitiamo a parlare di uno dei brani del suddetto platter: "I am the Black Wizards", il cui titolo tradotto alla lettera ("Io sono i maghi neri") mi ha sempre incuriosito per quell’effetto stridente che dà il contrasto fra il singolare del soggetto e il plurale del predicato nominale.

In tutti questi anni, tuttavia, l'unica mia premura è stata di andare a verificare se si fosse trattato di un errore di battitura nell'editing del package (cosa possibile nell'ambito delle produzioni underground) o di una cosa voluta. Ogni dubbio venne fugato andando a scorrere gli ultimi versi del brano, il quale si completa magistralmente con la voce strascicata di Ihsahn che ripete "I am them" ("Io sono loro"), andandoci a confermare che, sì, (io) sono per davvero (loro) i Maghi Neri! Andiamo a vedere esattamente di cosa stiamo parlando.


Il testo è accreditato a Mortiis, primo bassista della band, il quale non ebbe modo di partecipare direttamente alle registrazioni di "In the Nightside Eclipse" in quanto appena prima decise di lasciare la band ed emigrare nella vicina Svezia, inquietato dalla piega che stavano prendendo gli eventi attorno al famigerato Inner Circle. Ma prima di andarsene, egli lasciò in eredità i versi di "Cosmic Keys to my Creations and Times" e "I am the Black Wizards", brani che erano già stati editati nell'Ep "Emperor" del 1992. Quando Mortiis (classe 1975) scrisse il testo del brano aveva dunque si e no diciassette anni ed era probabilmente un liceale che l'inglese l'aveva imparato a scuola. Uno che (è sempre bene ricordarlo) come pseudonimo adottò la storpiatura di un termine latino, perché la parola "mortiis" non esiste, ed anche quando se ne accorse, a suo stesso dire, decise comunque di tenerlo. Per questo non bisogna essere troppo puntigliosi nel valutare i suoi versi.

Mi permetto di tradurre il testo come meglio viene, lasciando perdere gli strafalcio...ehm, le licenze poetiche che l'autore si è concesso (come, per esempio, l'incipit "Mightiest Am I", che non penso proprio si possa dire in inglese, a meno che segua un punto interrogativo e dunque si tratti di una domanda... probabilmente il nostro piccolo Shakespeare, invertendo le parole, ha voluto conferire alla frase un senso arcaico e maestoso). Ecco il testo integrale:

"Io sono il più potente di tutti, ma non sono da solo in questo mio cosmo, poiché i neri colli di questo mio mondo si compongono di anime nere, anime che hanno già sofferto migliaia di morti. Dietro le mura di pietra dei secoli, esse (queste anime, ndt) nutrono la loro arte malefica, preparando i loro incantesimi in calderoni di oro nero. Lontano, sulle montagne, dove la pioggia non cessa mai e i raggi del sole non arrivano, i maghi, miei servi, invocano le anime del macrocosmo. Nessuna epoca riuscirà a sottrarsi alla mia ira. Io viaggio attraverso il tempo e ritorno al futuro. Raccolgo la saggezza oramai perduta, visito caverne antiche quanto l'eternità, prima che un onnipotente Imperatore possa sopraggiungere. Osservando i mortali che scoprono le mie cronache, vigilate da antichi demoni, sconosciuti persino a me medesimo. Una volta distrutte, le loro anime vengono convocate nella mia sempiterna prigione pregna di odio. È splendido potersi riempire gli occhi con quelle anime imploranti, annientate nel mio futuro. Quanti sono i maghi che mi servono con malvagità non lo so neppure io. I miei imperi non hanno confini, dalle nere montagne che non finiscono mai, fino ai laghi senza fondo, io sono il dominatore e questo da tempo immemore. Io sono loro. I miei maghi sono innumerevoli, ma la loro essenza è mia. Da sempre essi risiedono sui colli nelle loro dimore di pietra fatte di mestizia e dolore. Perché io sono lo spirito delle loro esistenze, io sono loro, io sono loro."

Come è evidente, non ci troviamo innanzi al novello Petrarca del black metal: il testo, redatto in modo scolastico, presenta dei contenuti puerili che si radicano in un immaginario fantasy assai canonico. L'unica peculiarità, se vogliamo, risiede in un concetto di onnipotenza che viene reiterato con ostinazione, quasi a far emergere la fragilità del giovane Mortiis che, forse insoddisfatto della sua vita di adolescente, aveva bisogno di crearsi mondi immaginari in cui poter spaziare ed all'occorrenza essere il dominatore (che la forte ed onnipotente figura dell'Imperatore non sia altro che l'alter ego di adolescenti frustrati?).

Una "fuga dal mondo" peraltro ribadita in sede di intervista e chiaramente percepibile nei progetti solisti di Mortiis, quelli di stampo ambient, ovviamente, dove il focus principe è l'evocazione. E in un certo senso, il testo di "I am the Black Wizards" è "ambient", nel senso che non vi è azione cruenta e sanguinaria (come potremmo aspettarci da una band dedita al metal estremo), ma mera descrizione di uno stato di cose: il medesimo concetto ribadito tramite una serie di suggestive immagini.

Schiere di stregoni intenti a girare instancabilmente enormi mestoli in fumanti poltiglie in altrettanto grandi pentoloni, le tetre dimore in pietra sperse in lande oscure e solitarie, sono in effetti visioni affascinanti. Il fascino di queste parole si accresce ulteriormente se si pensa alla musica epica e maestosa degli Emperor, peccato solo che sia impossibile capire i testi, considerato che lo screaming agonizzante di Ihsahn, inintelligibile già di suo, si perde nel marasma infernale di suoni confusi ed accavallati.

Che senso ha dunque, date queste condizioni, scrivere testi elaborati nel black metal? Dal rock'n'roll ai giorni nostri, "sing a song" significa che una canzone è fatta di musica e testo. E il black metal norvegese evidentemente non fa eccezione, sebbene oramai, in un processo di alterazione/trasfigurazione/estremizzazione le vocalità divengono astrazione, suono funzionale all'atmosfera complessiva, svuotate di un messaggio lirico esplicito (la lettura del testo rimane appannaggio di noialtri rincoglioniti).

Certo, di fronte alla supponenza di chi presume che il metal sia un "genere inferiore", un testo di questo tipo si presta bene ad avvalorare una tesi di tal fattispecie, laddove chi spregia il metal può contare dalla propria parte i bei versi di parolieri come Bob Dylan o Leonard Cohen, tanto per fare due nomi celebri. Roba nemmeno da comparare: saremo anche artisti, avremo chitarristi formidabili, batteristi eccezionali, cantanti virtuosi, compositori e ricercatori intelligenti, ma per i testi, in molti casi (meno male non in tutti) dobbiamo stendere un velo pietoso.

Come si diceva prima, è bene fermarsi alla superficie, non scavare, perché al di là dell'assenza di messaggi particolarmente sofisticati, ci si imbatterà in diverse incongruenze: una su tutte, il fatto che, dopo averla menata in continuazione sul tema dell'onnipotenza, ma anche dell'onniscienza (visto che il Nostro viaggia attraverso il tempo e detiene "conoscenze che noi umani..." dobbiamo di volta in volta andare a scoprire), il "Tipo" (quello che sa tutto) non sa nemmeno quanti maghi ha al suo servizio ("ne ho tanti, non lo so nemmeno io quanti...").

Questa idea del "capo" che non sa nemmeno quanti dipendenti lavorano per lui (sebbene il rapporto fra l'Io narrante e i maghi sia più profondo, come se essi fossero parte di lui e che la sua forza si basasse su di essi, tanto che i due poli finiscono per identificarsi - "Io sono loro...Io sono loro..."), questa idea, si diceva, rischia di richiamare una logora accezione del capitalismo di un tempo in cui l'imprenditore si faceva padre e padrone della sua impresa, e i suoi dipendenti erano "suoi" in tutti i sensi: sua proprietà, materia umana da fare e disfare (verrà poi chiamata: Risorse Umane). L'idea della figura onnipotente che va e viene prima dal futuro al passato, e poi dal passato al futuro (magari, nei momenti che si assenta, fa delle puntate a Montecarlo, o trascorre soggiorni da sogno ad Ibiza, chi lo sa), mentre i suoi servi schiattano in spelonche di pietra in posti freddi, oscuri, dove piove sempre e non c'è il sole, tutto questo insieme di cose suona un po' taylorista e, volendo, può richiamare i crismi di una perversa globalizzazione (non vengono forse in mente i capannoni fatiscenti in cui sono sfruttati i lavoratori del terzo mondo?).

Ma senza andare troppo lontano, e tornando un attimo in provincia, la logica è anche quella del fetido gestore di un ristorante che fa lo “splendido” con la clientela migliore, dispensando sorrisi e servendo all'occorrenza calici di vino pregiato, mentre i camerieri corrono senza sosta, o peggio ancora, gli addetti-cucina, gli sguatteri e i lavapiatti si affannano nel torbido di cunicoli caldi e maleodoranti.

Lo so, i Maghi Neri operano al servizio del Male (un male per il male che ha come unico fine il male e che si tinge di autolesionismo, visto che spesso le esistenze di questi "cattivoni" non brillano per una eccelsa qualità della vita). E il Male è cosa ben più nobile rispetto al cucinare e servire della vile carbonara o delle deprecabili melanzane alla parmigiana... Per questo chiudiamo un occhio su certe ingenuità e torniamo ad ascoltare in serenità quel gran capolavoro che è "In the Nightside Eclipse"...