Passi di un uomo su un terreno
ghiacciato. Respiro affannoso, dolorante, provato. In sottofondo rumore di un
vento, che immaginiamo gelido. Il calpestio aumenta il ritmo per poi fermarsi. Ancora
una breve corsa, il respiro si fa più veloce, più sofferto.
Poi un tonfo:
l’uomo si è inginocchiato, probabilmente davanti a una distesa d’acqua (si
sente un lieve sciacquio, come di onde marine).
Un attimo di pausa e poi un urlo.
Un urlo agghiacciante, da brividi lungo la schiena. Un suono che ha poco di
umano e che sembra provenire dal fondo di un’anima devastata che pare trovarsi
di fronte all’irreparabile.
E’ l’uomo senza speranza, solo.
Di fronte alla
morte. Di fronte al Nulla.
A cura di Morningrise
Ho provato a descrivere i 95” di "Kuolleille", sesta traccia del sesto studio album dei finlandesi Moonsorrow, “Varjoina Kuljemme Kulloeiden Maassa”.
Scioglilingua impronunciabile che sta a significare "Come ombre camminiamo
nella terra dei morti".
“Kuolleille” è un intermezzo, non
una canzone. Gli intermezzi sono spesso usati dalla band di Helsinki e in VKKM ve
ne sono tre, alternati ai quattro brani veri e propri (pezzi uno più bello
dell’altro, che vanno dagli 11 ai 16 minuti di durata).
Non a caso “Kuolleille” che vuol
dire “Ai morti”, è posizionato dopo “Huuto”, l’Urlo, appunto.
Non è scopo di questo post
discutere della musica della band dei cugini Sorvali, tema enorme per il quale non
basterebbero dieci post dedicati. Forse un giorno lo faremo, ma non oggi.
Oggi ci soffermiamo su quell’Urlo,
quel grido straziato che mi ha colpito dritto nello stomaco. In maniera forte, potente.
E mi ha portato ad una considerazione generale sulla poetica di questa grande
band. In particolare sul rapporto tra Uomo e Natura.
Da sempre il black/pagan metal è
fortemente relazionato alla celebrazione della Natura, della sua bellezza e
della sua purezza. Del resto la Scandinavia, dove il genere è nato e si è sviluppato, ben si presta a questo tipo di
riflessioni.
Ora: in realtà i Moonsorrow,
nonostante quello che si scrive in rete, non suonano né black né pagan/viking
metal. Ma qualcosa di molto di più e difficilmente definibile (cosa che
peraltro poco ci interessa fare). Ma è indubbio che, come tanti altri gruppi di
sottogenere e provenienza affine, anche i Moonsorrow nelle loro opere abbiano
espresso interessanti ragionamenti sulla Natura; una Natura sì bella e
maestosa, come tante volte l’abbiamo sentita descrivere dai gruppi black
scandinavi, ma, a differenza di molti di questi, essa non è Madre amorevole
verso la quale ricercare un’armonia e una convivenza oramai perduta e alla quale si anela. Nella visione dei
Moonsorrow, almeno come codificata in capolavori come “Verisäkeet” e il citato
VKKM, non c’è spazio per la contemplazione e celebrazione della Natura e dei
paesaggi del “Grande Nord”, cui essi stessi appartengono.
E’ a questo punto che gli studi
liceali mi tornano in mente e in particolare il tema del Pessimismo Cosmico del
nostro Giacomo Leopardi, locuzione con cui si intende, sintetizzando al massimo, come l'infelicità sia indissolubilmente connaturata all'esistenza stessa dell'uomo, il cui destino, fondamentalmente, si rivela essere pura sofferenza. Al centro di questa visione, Leopardi pone al centro la Natura, vista come “matrigna”, al contempo crudele e indifferente.
Crudele perché ha creato l’uomo con un insopprimibile desiderio di felicità
inappagabile; e indifferente in quanto totalmente incurante del dolore umano;
uomo che è totalmente impotente nei confronti delle leggi inesorabili e
meccaniche che fanno andare avanti il Mondo.
Ne “La ginestra”, opera della
maturità del 1836, Leopardi certifica in maniera definitiva questo pensiero definendo la Natura in modo drammaticamente sprezzante Madre è di parto e di voler
matrigna. Una conclusione i cui prodromi il poeta aveva in realtà già espresso
in “A Silvia”, la celeberrima lirica del 1828 in cui si rivolgeva implorante
ad essa con queste parole: O natura, o natura / Perchè non rendi poi / quel che
prometti allor? / Perché di tanto / inganni i figli tuoi?
Ovviamente i Sorvali non sono
Leopardi, e quindi nella loro visione non si raggiungono i livelli di
profondità e di riflessione del pensatore marchigiano. Ma il senso di epicità,
di dolore e cattiveria che raggiungono le loro composizioni quando trattano il
tema è parimenti potente.
L’essere matrigna della Natura è
un qualcosa, rispetto al Pessimismo Cosmico leopardiano, di più basico, fisico,
materialistico. In essa non c’è spazio per l’Uomo; ed è qui la grande
differenza con tante altre band scandinave che trattano la Natura. Nella visione dei Moonsorrow l’armonia
tra Uomo e Natura infatti sparisce. Le foreste, i fiumi, le montagne diventano luoghi
inospitali, dove è pericoloso addentrarsi e dove l’uomo non è ben accetto. E’ così, ad esempio, che
tra gli alberi di una foresta l’incauto viaggiatore verrà ghermito dagli
artigli di un orso e lasciato per terra a marcire. Gli animali sono gli unici ammessi, capaci di sopravvivere all'interno di questi ambienti che non offrono riparo ad altri esseri viventi e chi prova a inoltrarvisi farà una brutta fine e il sangue della sua carogna ne macchierà il manto innevato.
E dove non ci sono le foreste,
troviamo a dominare imponenti paesaggi di roccia e
ghiaccio. Un ghiaccio anch'esso "nemico" che acceca la vista e che lavora all’unisono con un
vento infuriato, che sferza le montagne e spacca la pelle gelata. A nulla varrà
pregare: le invocazioni di salvezza dell’Uomo saranno inascoltate e i cieli
verso cui salgono sono senza stelle, bui, senza pietà.
Vi sono molteplici brani in cui i
Moonsorrow ci parlano di queste cose (peraltro rigorosamente in finlandese…). Ma probabilmente il pezzo
emblematico è la splendida “Pimeä”, il Buio, top-song di "Verisäkeet", in cui i
finlandesi esprimono il tutto con queste parole (usiamo per l'occasione ovviamente la traduzione
in inglese): Under the branches of dead trees / You sit and listen to dead
birds / Your body shivers from the cold / And you won’t find your way back /
when your eyes get used to the dark.
In VKKM, essendo questo un
concept-album ambientato in uno scenario post-apocalittico (con testi e
ambientazioni che rimandano molto al quasi-coevo film del 2009 “The Road”)
questi temi sono ancor più estremizzati. Il mondo è privo di vita, i fiumi
inquinati, le foreste spoglie. E la conclusione dei Moonsorrow è davvero
pessimista in modo cosmico, estrinsecandosi in modo plastico con “Kuolleille”: il sospiro di un
uomo che si trascina esausto e che cade in ginocchio davanti alla
desolazione della fine della Terra.
Quell’urlo, quell’urlo… Ma esso, come detto, non riceverà pietà o soccorso, rimanendo inascoltato.