"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

4 mar 2017

A NIGHT WITH...ESBEN AND THE WITCH




Le "streghe" sono atterrate in città: Esben and the Witch, sabato 18 Febbraio, Electrowerkz, Londra.

Dietro il nome Esben and the Witch si nasconde una interessante realtà capace di mettere d'accordo amanti del post-rock, del gothic e persino del metal. E non è un caso che di essi, ultimamente, se ne parli anche dalle nostre parti. Amanti di Anathema, The Gathering e The 3rd and the Mortal fatevi avanti!

Modestamente parlando mi posso ritenere un fan di "vecchia" data del terzetto di Brighton, in quanto seguo le mosse della band praticamente dagli inizi, più precisamente da "Wash the Sins not only the Face", ottima seconda prova discografica che nel 2013 diede ai tre una bella visibilità.

Ad oggi, a mio parere, esso rimane il loro prodotto di miglior fattura, delicatamente sospeso fra rock atmosferico, ambient rarefatto e sottocutanee suggestioni esoteriche. Un mix di influenze che vedeva, e vede tutt'ora, la sua forza in una squadra compatta e dai solidi intenti. La voce lamentevole di Rachel Davies (mai sopra le righe e dal grande impatto emotivo), gli ammalianti sviluppi chitarristici di Thomas Fisher (elegante arpeggiatore, amante dei suoni soffusi e ricercati), i carezzevoli soundscape di Daniel Copeman (pure alle percussioni) divengono un tutt'uno in cui la personalità della giovane band emerge prepotentemente, sebbene nel 2013 una proposta del genere non sia certamente rivoluzionaria.

Con il successivo "A New Nature", del 2014, i tre tireranno fuori per davvero una "nuova natura" fatta di suoni ruvidi e chitarre distorte. Una svolta inaspettata, che tuttavia ci mostra artisti  coraggiosi che sanno amplificare certi loro aspetti (la verve sperimentale, le pulsioni esoteriche) e abbandonarne altri (l'eleganza, la sonorità raffinate degli esordi). Fra kraut, noise-rock, post-punk e metal, nella nuova incarnazione degli Esben and the Witch serpeggia un'irrequietudine, esplode un disagio che sono l'evoluzione inaspettata della malinconia e dell'introspezione degli esordi.

Nell'ultimo "Older Terrors", uscito nello scorcio finale dello scorso anno, questa "nuova natura" trova conferma in una forma più complessa e dilatata. In essa la band decide di abbandonare definitivamente il formato canzone (già nel precedente album, in verità, vi erano stati due brani che si spingevano oltre i dieci minuti) per addentrarsi nell'Arcano, attraversi jam dell'Oltretomba, fra intima quiete, sognanti ed ipnotici arpeggi, e momenti tumultuosi di derivazione (finalmente!) post metal. Un imponente rituale scandito in quattro sezioni e condotto dall'ugola "stregata" della Davies, non una cantante dotatissima ma sicuramente dal forte potere immaginifico. Forse è proprio la monotonia di quella voce a rendere un po' prolisse queste lunghe composizioni, tutte e quattro protratte oltre i dieci minuti di durata; ma è indubbio che i Nostri puntino più che mai sull'atmosfera e che questa non sia musica da ascoltare con la mente, bensì con il cuore.

Apice assoluto di questo nuovo corso è l'opener "Sylvan", aperta dal mesto battito di un tamburo rituale e chiusa, dopo indicibili emozioni, con quelle chitarre zanzarose che solo lo shoegaze sa ammaestrare, a dimostrazione di come il black metal sia divenuto oggi patrimonio universale nella musica rock a tutto tondo. "Marking the Heart of a Serpent" sarà invece animata, nella sua seconda parte, dall'incalzare della batteria che trascinerà i Nostri in un baccanale esoterico vergato ancora una volta dai gemiti da strega della Davies: il tutto ricorda non poco certe ambientazioni care ai Comus, il cui dark/folk/prog ha più di un punto di contatto con la musica dei trio. Stesso schema per "The Wolf's Sun" che, sempre nella sua seconda metà, si tramuta in una coinvolgente cavalcata kraut che richiama alla mente il trottare travolgente dei Neu!. Umori black metal tornano nella traccia conclusiva, "The Reverist", dove l'approccio ambientale delle chitarre richiama soluzioni adottate dagli Wolves in the Throne Room.

Quello che infatti gli Esben and the Witch condividono con il metal, ed in particolare con certo black metal, è quell'attrazione verso la Natura quale luogo misterioso e stupefacente, nido di segreti e presenze, specchio dell'interiorità e dell'inconscio umano. Cosa che si traduce in atmosfere gelide e tendenti al soprannaturale, sebbene, è importante ricordalo, gli Esben and the Witch non scadano mai nelle baracconate.

Riusciranno dunque i Nostri eroi a riportare tutto questo sulle assi di un palcoscenico? La risposta è sì, anzi, sì e meglio! Tutti gli inciampi o le sbavature che possiamo ancora incontrare in un loro album registrato in studio, dal vivo scompaiono per lasciare spazio al libero dispiego di un suono potente, avvolgente, carismatico e dalla forte caratura emotiva. In altre parole: lacrime ad ogni pie' sospinto.

La Davies si presenta con fare dimesso sul palco, indossando una semplice felpa, senza trucco (forse un filo di matita) e con i capelli, oserei dire, quasi unti. Fisher sfoggia invece un buon abbinamento di calvizie, occhialetti da medico ottocentesco e barba voluminosa che lo avvicina, assieme alla natura posata dei suoi gesti, ad uno di quei monaci eremiti che vivono in completo isolamento sulle montagne. Copeman, che si alternerà fra batteria ed effetti elettronici (prediligendo oramai la prima) ha il phisique du role di uno che avrebbe potuto suonare con i Pink Floyd a Pompei. Nel complesso fanno un bel quadretto, e la semi oscurità dell'Electrowerksz, mischiata ai fendenti di luce rossa sparati sul palco, giova decisamente all'atmosfera generale.

Parte "Sylvan" ed è impossibile non piangere per tutto il suo svolgersi. A parte la stecca iniziale, dovuta forse ad insicurezza, la minuta Davies è sublime, e nonostante le varie imperfezioni, il suo lamento arriva al cuore come un pugno nel costato. E' goffa, si sforza per governare le note ed ha una mimica facciale che mi ricorda Eddie Vedder quando alza la voce; impugna il basso in modo buffo, ma è dannatamente efficace anche con quello: finalmente una cantante che non tiene il basso in mano solo per motivi scenografici! Il lavoro alla chitarra di Fisher è egregio e nei momenti esplosivi il Nostro sa far male, pur non perdendo un briciolo del suo aplomb.

Dal vivo, come si diceva, la musica degli Esben and the Witch decolla e non sarebbe un reato definirla post-metal, data la violenza sfoggiata in certi frangenti. Il nuovo album occupa con le sue lunghe tracce, ulteriormente espanse, gran parte del set, che si completa con tre estratti da "A New Nature", che giustamente rivendica il proprio spazio in quanto iniziatore di questa nuova fase artistica. Al resto della produzione discografica dei Nostri vengono lasciate le briciole: il tipico approccio di chi non vive ancorato al passato e crede nel percorso intrapreso.

Non si potrà infatti dire che i Nostri difettino in sincerità, spontaneità ed integrità: un approccio, il loro, che li ricongiunge a quel filone di artisti a cui si perdonano bonariamente certi limiti (e concettuali ed esecutivi) a fronte del fatto che la loro missione pare essere esclusivamente quella di veicolare e trasmettere, con forza, efficacia ed in modalità "straight to the point" (come si direbbe qui a Londra!) emozioni.

Amanti di Anathema, The Gathering e The 3rd and the Mortal fatevi dunque sotto!