"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 mar 2017

12 MESI DI METAL - "THE IDES OF MARCH" (IRON MAIDEN)


Tu quoque, Brute, fili mi! (“Anche tu, Bruto, figlio mio!”)

La celebre frase latina attribuita a Giulio Cesare, pugnalato a morte alle Idi di Marzo (15 marzo 44 a.C.), potrebbe calzare a pennello per un’altra dipartita, per fortuna meno tragica e cruenta: quella di Paul Di’Anno dagli Iron Maiden, avvenuta nel 1981.

Il lascito con gli Iron del singer londinese, “Killers”, è di quelli che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del nostro genere preferito.

Piccola premessa: ho come l’impressione che la seconda fatica della Vergine di Ferro sia spesso quella meno “ricordata”, per non dire apprezzata, da molta parte dei fan. Sarà che Di’Anno non è entrato a fondo nell’immaginario collettivo del popolo maideniano; o sarà che il connubio Maiden-Dickinson l’ha oscurato perché considerato un qualcosa di assodato, scontato, e pensato esistente sin dagli albori della vita della band britannica.
Sia come sia, sembra quasi che, come la futura parentesi di Blaze Bailey ha ulteriormente dimostrato, i Maiden abbiano potuto avere, da sempre dietro al microfono, non altri che la “Air Raid Siren”, al secolo Paul Bruce Dickinson.

Forse questa è un’impressione che avverto perché, stupidamente, anche a me è capitato più volte di pensarlo. Ma è stato più che altro, almeno per quanto mi riguarda, un retropensiero inconscio perché razionalmente non ho mai creduto nè che Di'Anno non facesse a pieno titolo parte della Storia maideniana, nè tantomeno che “Killers” sia un album minore nella discografia degli Iron. E questo semplicemente perché “Killers” è un album enorme, splendido. Che ha avuto solo la sfiga di stare in mezzo ad altri due dischi leggendari come l’omonimo debut e “The number of the beast”.

Ma in realtà, anche solo con la prima dozzina di minuti, “Killers” mette in riga il 90% degli album heavy metal dell’intera N.W.O.B.H.M. “Wratchild”, “Murders in the Rue Morgue” e “Another Life” rivelano infatti una band al top dell’ispirazione, capace di sfornare un songwriting  fresco, potente, senza cedimenti; e anche molto vario, come dimostrano la sensazionale title track e le altre top-songs “Prodigal son” (che mi mette i brividi ogni volta che la ascolto) e “Purgatory”. E se a tutto questo ci aggiungiamo, da un punto di vista esecutivo, un Adrian Smith in più nel motore rispetto all’esordio, e un Di’Anno che fornisce una prestazione di grande sostanza, cuore e potenza, potremo capire come attribuire al disco in oggetto una minore importanza voglia dire pura follia uditiva.

Scusate: come mi capita spesso con gli Iron, sto divagando. Siamo qui a trattare, per la nostra rassegna “12 mesi di Metal”, un singolo brano: l’opener strumentale di "Killers", “The Ides of March” che nei suoi 108 secondi di durata riesce però a dire tanto, tantissimo. E questo per la capacità di evocare un’aura di potenza epica fino ad allora difficilmente ascoltabile. 
La song parte con un unisono marziale di batteria, chitarre e basso (Harris segue le stesse note delle chitarre); ma al secondo 40 ecco che Dave Murray devia per la tangente, e sull’accompagnamento degli altri strumenti (meraviglioso il rullar di tamburi) il biondocrinito si lascia andare in arabeschi e assoli di grande gusto; creando una tensione pazzesca in un crescendo che nel finale (riportato al ritmo della prima metà di canzone) lascerà spazio, in fading, al mitico intro di basso di “Wratchild”: un uno-due tra i meglio riusciti della Storia del Metal e sicuramente uno dei più celebri; una soluzione con un gusto musicale indescrivibile e che imprime un la perfetto ai restanti 40 minuti del disco.

Certo, l’innesto di Bruce con TNOTB, e di Nicko McBrain con quell’altro album enorme che risponde al nome di “Piece of Mind”, faranno partire i “veri” Iron, quelli con la line-up storica, guadagnando in pulizia e “strutturazione” del suono ma perdendo quel fascino grezzo e “underground” dei primi due dischi con Di'Anno.

E’ stato un bene? Probabilmente sì. All’epoca avevo 4 anni e non posso dire come avrei reagito, da fan “contemporaneo” del gruppo, alla silurazione del buon Paul.

Ma come si sarà sentito lui, soprattutto dopo la strepitosa prestazione offerta su “Killers”?

Immagino le sue ultime parole uscendo dagli uffici della EMI: Tu quoque, Steve, amicus meus! 

A cura di Mornigrise