Signori, ci siamo quasi. L’attesa
sta per finire: il 28 aprile uscirà il nuovo album degli Ayreon, “The Source”. E,
dopo l’ottima prova di quattro anni fa con “The Theory of Everything”, siamo molto
curiosi di ascoltare cosa la mente del buon Lucassen avrà partorito.
Come avrete inoltre capito dal titolo del post oggi è il compleanno del folletto di Hilversum: 57 anni portati benissimo!
Come avrete inoltre capito dal titolo del post oggi è il compleanno del folletto di Hilversum: 57 anni portati benissimo!
Per fargli gli auguri in stile Metal Mirror, e per ingannare
l’attesa per l'uscita del nuovo platter ayreoniano, andiamo a ripescare forse il disco più
rappresentativo di quella band senza la quale, molto probabilmente, non
sarebbero esistiti neppure gli Ayreon: il doppio live “Space Ritual” degli
Hawkwind di Dave Brock, di cui Arjen è fan indefesso.
In questo 2017 peraltro
SR compie un duplice anniversario:
sono 45 anni dalla sua registrazione, avvenuta nel 1972 sui palchi di Liverpool e Londra (l'album uscì però nel '73); e 10 anni tondi dalla versione
rimasterizzata del 2007 che possiedo (visto che per banali ragione anagrafiche
ho quest’ultima e non quella originale).
All'interno della sterminata discografia della band britannica (35 album tra studio e live), prendiamo in analisi SR per almeno tre diversi motivi. Il primo: è un perfetto
compendio della fase unanimemente riconosciuta come la migliore della band,
cioè quella della prima metà degli anni ‘70. In secondo luogo perché il live
presenta la line-up più famosa e meglio assortita del gruppo (dall’anno
successivo se ne sarebbero andati sia il cantante Robert Calvert che l’ottimo
tastierista Dik Mik). Ricordiamo inoltre che in questi concerti saliva sul palco un
certo Ian “Lemmy” Kilmister, devastante al basso (la versione in CD rende giustizia alle note che scaturiscono dagli strumenti). Una prova, la sua,
incredibilmente tecnica e versatile, molto lontana dall’uso, molto più lineare
e canonico, del suo strumento che siamo abituati a sentire con i Motörhead.
E, terza ragione, perché il sound che la band presenterà dal 1974 in poi con il pregevole “Hall of the Mountain Grill”, pur non snaturandosi troppo rispetto agli esordi, virerà, complice i nuovi innesti in line-up, su un prog più soffuso e melodico.
E, terza ragione, perché il sound che la band presenterà dal 1974 in poi con il pregevole “Hall of the Mountain Grill”, pur non snaturandosi troppo rispetto agli esordi, virerà, complice i nuovi innesti in line-up, su un prog più soffuso e melodico.
Quello che allora vogliamo
celebrare con questo anniversario sul nostro Blog è un approccio sonico
assolutamente unico e inimitabile. Gli Hawkwind sono senza dubbio un gruppo
rock, va bene, ma inteso in senso "generico" e tutto sommato sfuggente rispetto
all’autentica proposta di Brock&co. Quello che troviamo su SR infatti non è
solo semplice hard-rock. Ma è vera e propria avanguardia protometallica. Se è
vero come è vero che nel 1975, con “Symptom of the universe” i Black Sabbath si
portavano avanti creando una thrash song bella e finita, assicuriamo che gli
Hawkwind già nel 1971 con “In Search of Space” prima, e con “Doremi Fasol
Latido” poi nel 1972 anticipavano ancor di più i tempi sfornando brani di una
potenza e cattiveria devastante (vedasi
“Born to go”, 10 minuti di thrash sparato a mille all’ora con un Simon
King al drum-kit sugli scudi; e il classico “Master of the universe”,
praticamente un pezzo slayeriano ante-litteram). E che proprio nel tour di supporto a
"Doremi Fasol Latido", da cui appunto è poi nato SR, si rivestivano di un’ulteriore
verve, grazie ad arrangiamenti potenti ed eleganti al contempo.
Insomma, gli Hawkwind del
primo triennio facevano proto-metal (e in certi frangenti pure proto-punk)
bello e buono, pur esprimendo al contempo la loro vena più propriamente psychedelic/prog,
ben rappresentata da altre bellissime mini-suite come”Space is deep”, “Down
through the night”, “7 by 7” e la top-song “Orgone accumulator”. Ottantasei minuti di pura goduria, concepiti in un unicum narrativo grazie ai
raccordi “parlati” tra un brano e l’altro, su un sottofondo di rumori
psichedelico-spaziali. Ed è qui che
troviamo un’altra unicità meravigliosa degli Hawkwind: il loro approccio
tematico. Creatori del c.d. space rock,
ispirati dal celebre scrittore di sci-fi Michael Moorcock che collaborerà
proficuamente con la band, gli Hawkwind ammantano le loro composizioni di
un’aura siderale, astrale, dando la netta sensazione di aver creato una colonna
sonora perfetta a tutto il nostro immaginario fantascientifico: se ne possediamo
uno gli Hawkwind sono la nostra colonna
sonora perfetta per un viaggio a dir poco devastante. E inquietante, come
dimostrano le parole di "Black Corridor", terribile intermezzo scritto da
Moorcock:
Space is infinite, it is dark
Space is neutral, it is cold
Stars occupy minute areas of space
They are clustered a few billion
here and a few billion there
As if seeking consolation in numbers
Space does not care, space does not
threaten, space does not comfort
It does not speak, it does not wake,
it does not dream…
Se c’è sempre
stata una frase che ho detestato quando leggo una recensione, perché scontata e un po' arrogante, è la tipica chiosa album obbligatorio in qualsiasi discografia che
si rispetti.
Ecco: "Space Ritual" è un album obbligatorio in qualsiasi discografia di un metallaro che si rispetti...
A cura di Morningrise
A cura di Morningrise