"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 feb 2019

I BRANI PIU' INDISPONENTI DEL METAL - N. 6 "PLEASURE SLAVE" (MANOWAR)



Nel bel mezzo dei problemi adolescenziali (uno: quello sessuale), la cosa che proprio non serve sono degli alibi, tipo “Sai quante donne potremmo avere schioccando le dita, se solo…appunto, se solo schioccando le dita potessimo avere tante donne”. Per cui, mentre uno cerca di capire quale sia il metodo per rimorchiare, che poi è un problema sostanzialmente di ottimizzazione statistica, un brano come "Pleasure Slave" ti cade tra capo e collo come una mazzata. Intendiamoci, non uno sfottò, del tipo noi re del metal siamo qui in mezzo alle donne, e tu lì da solo. Somiglia di più all’amico sfigato che ti racconta come avrebbe trovato il modo di farsela dare, o come fosse quasi sul punto…o come ci fossero due o tre, a quella festa, che gli giravano intorno e gli facevano allusioni, salvo il fatto che poi, stranamente, non ha battuto un chiodo.

Ora, io nutro un grandissimo rispetto per i Manowar come artisti. Come personaggi li ho sempre trovati quello che sono: sopra le righe, strafottenti e semplicistici, ma tutto sommato simpatici nella loro crociata immaginaria contro il falso metal, con i fans rappresentati dall’Esercito degli Immortali (immortali perché candidati al Valhalla), il piglio elitario rappresentato dalla contrapposizione ad un nemico amorfo e dilagante, “gli eserciti del mondo”, e il Metal inteso come lealtà romantica alla propria bandiera, ai propri istinti e al destino che questi determinano: la lotta, la morte, la conquista o la sconfitta.

Da tutto questo è assente l’erotismo. L’erotismo non è epico; nella poetica dei Manowar fa parte degli istinti, ma non c’è un ideale amoroso, e la soddisfazione sessuale è in parte simboleggiata da quella bellica; e in parte espressa nelle sue formi più truci, cioè l’appropriazione delle donne del nemico sconfitto.

Certo, se i Manowar dovessero prender moglie, allora “Pleasure Slave” sarebbe la cronaca del loro matrimonio. Ma è una forzatura. La poetica manowariana non richiede che si tratti questo tema, e i sogni erotici del metallaro medio sono molto più normali di un gioco di ruolo tra donna-schiava e maschio-dominatore. Tra l’altro, nella tradizione epica è vero che il guerriero spesso trova il suo “riposo” giacendo con le schiave negli intervalli tra una battaglia e l’altra, ma sono momenti di distensione, talora di tenerezza relativa, in cui il nostro eroe si scioglie, magari si fa scappare anche qualche parola d’amore di circostanza. Achille e Agamennone, nell’Iliade, si litigano la schiava più bona, ma l’argomento è vissuto con un certo imbarazzo, quasi a suggerire che forse uno dei due ne è un po’ innamorato. La guerra di Troia scoppia perché un principe troiano e una principessa achea sono scappati insieme, il che dà l’impressione che la topa non sia assolutamente sotto il controllo di questi guerrieri, magari semidei.

Per non parlare della mitologia norrena, dove le donne, pur femminili in maniera debordante, non danno certo l’idea di femminucce da tenere al guinzaglio.

Molto più semplicemente, nel mondo dei Manowar non ci sono donne, e questo riflette la tragica condizione del metallaro medio nel momento in cui inizia ad ascoltare metal.

I Manowar che ti raccontano di come loro possiedano le donne come e quando vogliono, senza dover neanche fare un fischio, fa lo stesso effetto del racconto dell’amico sfigato. La donna dei Manowar “non aspetta che di baciare la mano del suo uomo, ma comunque aspetta che lui le dia il permesso”, ella “ha tolto la maschera, e ha capito che arrendersi al suo uomo è l’unica sua gioia, come una schiava, non come una moglie”; e naturalmente prova pietà per quelle donne che ancora parlano di dignità, di parità e poi devono constatare di come il loro uomo non sia soddisfatto. E’ veramente un bel mondo quello che ci canta Eric Adams, ma a qualcuno è mai sembrato che funzioni così? Soprattutto tra metallari, poi?

Non funzionava così neanche nell’antica Grecia. Ci sono voluti i film sui Barbari, tipo "Conan", per simulare questa realtà in cui la donna freme per congiungersi carnalmente con il guerriero, che naturalmente però deciderà come, quando e quante volte. Oppure il porno, ma appunto non siamo sul piano del realismo da prendere sul serio. Nel metal poi, l’elemento “attizzamento” non gioca a nostro favore. E’ una musica romantica, non d’intrattenimento semplice, pesante e quindi non aggregante. E’ piombo: sul piano erotico non galleggia ma affonda.

Musicalmente parlando, "Pleasure Slave" è un brano inutile. La sua particolarità infatti risiederebbe proprio nel testo. Vorrebbe essere provocatorio ed estremo, ma in realtà tutti si aspettano dai Manowar una tamarrata sessuale del genere. Vorrebbe essere serio, ma fa lo stesso effetto delle tecniche per vincere al lotto: ottima idea, ma non funzionano. Vorrebbe essere fieramente maschilista, ma fa lo stesso effetto delle fantasie dell’amico sfigato su donne che lo avrebbero spolpato, se solo fossero esistite.

In termini discografici, "Pleasure Slave" non ha una collocazione chiara. Cade su una ristampa di “Kings of metal” nello stesso modo in cui una tegola cade sul marciapiede, piazzata in mezzo ad un flusso di brani che non c’entrano nulla, come tema e stile: tra "Kingdom Come" e "Hail and Kill". Fa tornare indietro di anni la maturità compositiva dei Manowar, ai tempi in cui intercalavano brani epici ad altri rockeggianti spesso senza una logica d’insieme. Le domande su "Pleasure Slave" quindi non si limitano al “perché” del brano, del testo, dell’aggiunta a "Kings of Metal", ma anche al perché di quella collocazione in scaletta.

"Pleasure Slave", potrebbe funzionare se ne facessero una cover i Motley Crue, o meglio se l’avessero fatta a suo tempo. Per il resto, rimane l’emblema di problemi adolescenziali superati grazie a tutti, meno che ai Manowar.

A cura del Dottore

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