"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 feb 2019

BEHEMOTH, AT THE GATES, WOLVES IN THE THRONE ROOM: LIVE AT O2 FORUM KENTISH TOWN, LONDON (08/02/2019)


 A Nergal non si può rimproverare nulla, ma davvero nulla. Si dice nei salotti bene del metal estremo che è un pagliaccio, che si è sputtanato con un blackened death metal da alta classifica. Eppure non si può certo affermare che sia l’ultimo arrivato o che si sia aggrappato a questo o quel carrozzone per opportunismo. All’inizio degli anni novanta lui c’era, e se negli stessi anni in Scandinavia si suonava black metal potendosi avvalere di una fiorente scena, compagni di merende e, in certi casi, di sussidi statali, il Nostro si è fatto da solo ed è riuscito ad imporsi nel contesto non facile della Polonia cattolica post-comunista, con ancora incombente l'ombra di un regime che non deve essere stato il massimo quanto ad incoraggiamento alla libera espressione artistica. 

C’era Nergal, e non si è accontentato di un posticino come band di culto nell'underground polacco, ma ha saputo conquistare il mondo, raggiungendo traguardi stilistici per qualcuno opinabili, ma senza dubbio baciati da professionalità e coerenza. Come dunque mancare alla tappa londinese dell’Ecclesia Diabolica Evropa E.V. Tour 2019, con supporter di primario livello quali At The Gates e Wolves in the Throne Room? Insomma, a tutti gli effetti un mini-festival dell’estremo! 

E’ un freddo bastardo fuori dall'O2 Forum Kentish Town e l’essermi presentato mezz’ora prima dell’apertura del locale non si è rivelata un’idea molto intelligente. Epperò la fila è già assai lunga: il sold-out registrato da molto tempo parla chiaro in merito alla popolarità della band polacca, tanto che, quando a novembre scorso ho prenotato il biglietto, non erano già più disponibili i posti in piedi, che generalmente prediligo. Stasera tuttavia mi sento a mio agio nell’atmosfera irreale ed accogliente del balconcino, sorta di terrazza con ottima visuale sul palco, con comode panche su cui sedersi ed un bel soffitto da teatro barocco. Mi accovaccio con le spalle al muro vicino all’uscita per poter sgattaiolare agilmente al bar ed al cesso. Non si sta male per una volta, lontani dal pogo e dalle ascelle puzzolenti, ma anzi ci si coccola fra gloriosi esponenti della terza età, intellettualoidi con occhiali e gente sostanzialmente tranquilla. Insomma, sembra di stare in quei cinema d’essai di provincia la domenica pomeriggio, con la sola differenza che suonano i Behemoth

Si parte con i Lupi di Olympia, che peraltro avevo già visto di recente proprio qui a Londra in uno show tutto loro: per questo motivo mi permetto di seguirli con distrazione, riservando le energie per i gruppi successivi. I Nostri dovranno accontentarsi di un set di mezzora, decisamente poco per un repertorio come il loro. Vengono riproposti solo tre brani dell’ultimo “Thrice Woven”, tre brani-fiume che esprimono in tutte le sue sfaccettature quel black metal poetico e feroce al tempo stesso che è prerogativa da sempre dei fratelli Weaver. Nonostante il poco tempo a disposizione i Wolves in the Throne Room riescono a confezionare uno spettacolo intenso, dove la musica è decisamente protagonista. Bravi, ma decisamente sprecati come gruppo-spalla. 

Si avvicina il momento degli At the Gates, anche loro già visti, ma ad un Gods of Metal di qualche anno fa, occasione in cui i Nostri non trovarono il mio apprezzamento. Volevo dare la colpa ai suoni di merda dei festival italiani, al fatto che all’epoca la band si era rimessa insieme da poco, ma anche questa volta gli svedesi non mi hanno convinto per nulla. E dire che avevo anche gradito la partenza con la title-track dell’ultimo “To Drink from the Night Itself”, ma presto il set si appiattisce su una sequela anonima di brani di tre minuti che poco si discostano l'uno dall'altro. La riproposizione di classiconi come “Slaughter of the Soul”, “Cold” e “Blinded by Fear” (quest’ultima con Seth dei Behemoth alla terza chitarra) riusciranno solo in parte a rialzare l'asticella dell'entusiasmo. 

Sul palco non succede niente di particolare, l’attitudine è molto in-your-face, rasentando la furia hardcore vera e propria, tanto che gli inserti melodici risulteranno quasi fuori contesto. E’ come se stasera non riuscissi ad inquadrare gli At the Gates, fautori di una musica che ambirebbe ad essere estrema, veloce da un lato, ma al tempo stesso raffinata, melodica dall'altro. Forse essa semplicemente non è adatta alla dimensione del palco.

Mentre questi pensieri attraversano la mia mente, mi rendo conto che la fila al bar è lunga, quando ancora gli At the Gates stanno suonando: evidentemente la popolarità degli svedesi non è arrivata intonsa ai giorni nostri, nonostante lo status di opere seminali che hanno i loro lavori di inizio anni novanta. E si, tutti aspettano Nergal!

Le manovre di cambio palco sono accompagnate da inquietanti cori di bambini, quelli campionati di “Solve”, intro dell’ultima prova discografica “I Loved You at Your Darkest”. Il climax è buono, ma ecco che un enorme telo nero viene calato sul palco, lasciando solo trasparire le sagome di strumenti e persone. Fanno il loro ingresso i quattro cavalieri dell'Apocalisse che, ancora dietro il telo, si cimentano in una arcigna introduzione strumentale. Cala (anzi precipita) il sipario, attacca fra fumo e fuochi d'artificio una sparatissima "Wolves ov Siberia", direttamente dall'ultimo album. 

Vado dritto al sodo: i Behemoth sono i Kiss del blackened death metal. Ne ho visti tanti di concerti nella mia vita, ma pochi come quello dei Behemoth. Il palco è allestito su due piani, con la batteria sopraelevata e due rampe di scale che permettono agli altri musicisti di salire o scendere a seconda dell'occorrenza. L’idea generale è quella di un tempio, ed il pannello triangolare su cui vengono proiettate immagini mistiche posto sullo sfondo conferma l’impressione. L’atmosfera a tratti si farà surreale, con i musicisti che si muovono plasticamente, indossando talvolta maschere od assurdi copricapi degni di una tragedia greca. Per il resto ci sono luci, zaffate di fumo, fuochi artificiali ad accompagnare la performance impeccabile dei polacchi. 

Nergal in particolare, seppur con la faccia pitturata e la gonnella, non perde in credibilità e si muove con gran disinvoltura, ora aspergendo incenso, ora montando su una pedana sciorinando pose da vero guitar-hero. Non perde inoltre l’occasione per ringraziare il pubblico londinese: un piccolo monologo, il suo, sull’importanza della libertà individuale e della apertura mentale (con evidenti sottointesi polemici nei confronti della sua terra natia). 

Il repertorio riproposto stasera è quello degli ultimi venti anni, dove gli episodi pescati dal superbo “I Loved at your Darkest” (ben cinque + intro & outro) non hanno sfigurato accanto a quelli più datati (i due estratti da "Satanica", anno 1999, costituiranno le due escursioni più lontane nel tempo). Fra staffilate senza compromessi, immaginifici mid-tempo e suggestive parentesi atmosferiche, il set scorre ben bilanciato e senza mai annoiare, dove la precisione dei musicisti e la pulizia dei suoni esaltano ogni singolo dettaglio strumentale, compresi gli svariati assoli di chitarra (cosa insolita in un concerto di musica estrema). 

Personalmente parlando ho prediletto i momenti più epici e cadenzati, dove titoli come “Bartzabel” (da brividi l’introduzione arpeggiata), “Blow your Trumpets Gabriel” (con un crescendo al cardiopalma nel finale) e l’imponente “Lucifer” (con il suo andamento squisitamente doomish ed il suo interludio sinfonico) hanno rappresentato l’apice del coinvolgimento. Altre top song sono state la nuova “Ecclesia Diabolica Catholica” (che ha dato il nome all’intero tour) e la poderosa “Ora Pro Nobis Lucifer” (altro mirabile estratto dal capolavoro “The Satanist”), ma nel complesso non si registreranno momenti di reale cedimento laddove tutte le scelte si riveleranno azzeccate: dalla scaletta agli aspetti scenografici, il tutto suggellato da un tempismo perfetto e da una estrema precisione in termini esecutivi, cosa che ha permesso alla musica, anche nei momenti più tirati, di non deragliare verso derive confusionarie. 

La spettacolarizzazione è stata parte integrante dell’esibizione e seppur ingombrante non ha spodestato l’ottima musica dal ruolo di protagonista. E se l’unico neo poteva essere l’assenza di un brano fondamentale come “O Father O Satan O Sun” (con cui dovrebbe concludersi ogni concerto dei Behemoth degno di tal nome), per questa volta ci possiamo accontentare della strumentale “Coagvla”, in cui tutti e quattro i musicisti, armati di bacchette, si sono cimentati nelle percussioni. 

Eh sì, porteremo per molto tempo queste immagini nel nostro cuore. 

Black metal is love