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29 giu 2019

I MIGLIORI EP DEL METAL - "THE $5.98 E.P.: GARAGE DAYS RE-REVISITED" (METALLICA)


Un album di cover non è mai una cosa casuale, in quanto esso è il frutto di una selezione operata consapevolmente dall’artista all'interno del suo mondo di influenze: brani per lui significativi che lo hanno segnato come semplice appassionato di musica o formato come artista di successo. Nel caso dei Metallica un album di cover è una cosa ancora meno casuale perché i Metallica hanno fin dagli inizi mostrato una grande consapevolezza delle proprie capacità in relazione agli intenti di volta in volta prefissati.

The $5.98 E.P.: Garage Days Re-Revisited” usciva nel 1987 con una triplice funzione: dare il tempo a James Hetfield di riprendersi da un infortunio al braccio, fare chiarezza dopo la tragica scomparsa di Cliff Burton e rodare la nuova formazione con Jason Newsted al basso in vista della lavorazione del degno successore di “Master of Puppets”. Eppure anche quella che potremmo considerare una prova secondaria rispetto alla discografia ufficiale della band ci può fornire utili indicazioni in merito a come il celeberrimo Metallica sound si è originato. 

I Metallica, infatti, possono fregiarsi del merito di aver creato un suono completamente nuovo (esisteva qualcosa di simile quando uscì “Ride the Lightning”?). Ma come ci insegna la fisica: niente si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma. Da dove nasce quindi il sound innovativo dei Metallica? 

Alla domanda “qual è la band che più di tutte vi ha influenzato?”, Hetfield avrebbe un giorno indicato in modo assai vago gli AC/DC. E certamente i Nostri, come tutte le band che hanno debuttato nella prima metà degli anni ottanta, sono cresciuti ascoltando i "soliti noti" come Black Sabbath, Motorhead ed ovviamente tanta tanta tanta New Wave of British Heavy Metal.

Non così banale è stata la scelta dei nomi da celebrare in questo “The $5.98 E.P.: Garage Days Re-Revisited”. Salvo i Diamond Head, gli altri artisti coverizzati sono o band sconosciute ai più o appartenenti ad altri ambiti rispetto all'universo hard rock e metal, come il punk e l'industrial. E forse il segreto della straordinaria creatività mostrata dai primi Metallica sta proprio nell’aver saputo cogliere e sviluppare intuizioni laddove altri non si sono addentrati. Andiamo dunque a riascoltare i brani originali per capire quali furono gli spunti stilistici che, più di altri, fecero breccia nei cuori dei Four Horsemen.

Partiamo proprio dai Diamond Head, che potremmo individuare come il fattore che più di ogni altro ha giocato un ruolo determinante nel definire la cifra stilistica degli emergenti Metallica. Tanto gli inglesi sono penetrati a fondo nelle energie creative dei Nostri, che in un pezzo come "Am I Evil?" (altra cover celebre, se non la più celebre) ritroviamo già tutto quello che rappresenteranno i Metallica: riff potenti (di matrice sabbathiana, of course), cambi di tempo collocati al posto giusto, gusto melodico sopraffino, ritornello immediatamente memorizzabile, struttura del brano articolata oltre il classico formato canzone. 

Un po' meno rappresentativa, ma egualmente coinvolgente, è la "Helpless" chiamata ad aprire il qui descritto EP. Come "Am I Evil?", essa campeggia nella scaletta dell’album di esordio dei Diamond Head “Lightning to the Nations”, anno 1980. Se il brano originale già di per sé suona irresistibile, la versione dei Metallica ci risulta addirittura migliore. Il dinamismo, l’energia, l'adrenalina che attraversano tutto il pezzo (quasi sette minuti di estasi hard-rock in salsa NWOBHM), la cocciutaggine del riff portante, il ritornello epico che accelera con svisate di chitarra e batteria battente: tutto questo fa sì che la “Helpless” dei Metallica sembri per davvero un brano dei primi Metallica.

Impressiona l'ascolto di “The Small Hours” dei misconosciuti Holocaust, band scozzese attiva dalla fine degli anni settanta. Ci sarebbe molto da dire su questo brano, pubblicato per la prima volta nel live albumHot Curry and Wine” del 1983: dall’ipnotico arpeggio iniziale alla voce rauca, passando per il riffing ossessivo e l'andamento maestoso, senza disdegnare la devastante accelerazione a metà dal brano (del resto se la band decise di chiamarsi Holocaust un motivo ci sarà stato...). C’è molto dei Metallica in questi (quasi) sette minuti, ma il dato più importante è che viene rappresentata, seppur in stato embrionale, quella concezione complessa (ma non progressiva!) di metal che diverrà terreno privilegiato per la band nella sua fase di maturità. 

Difficile invece emulare la forza prorompente di “The Wait”, perla immortale dell’epopea post-punk estratta dal canzoniere dei seminali Killing Joke (e più precisamente dall’omonimo debutto del 1980). Il brano, con il suo riff tagliente e il groove incalzante della batteria (da qui, probabilmente, la tribalità del tocco di Urlich), rappresentava già di per sé un esempio di thrash metal ante litteram: difficile dunque migliorarla entro un’ottica prettamente thrash. Infelice, inoltre, la scelta di filtrare la voce per mantenere un collegamento con gli umori industrial dell’originale, quando in realtà era forse più opportuno per i Metallica manifestare in modo più sincero e diretto la propria personalità. La debolezza del ritornello, in definitiva, non aiuta un Hetfield in palese difficoltà nel ricalcare il fare declamatorio di Jaz Coleman. Nonostante tutto questo, la versione che ci restituiscono i Metallica rimane un cazzuto esempio di thrash metal senza fronzoli, dove i rimandi all’originale configurano la genialità compositiva dei Killing Joke, i quali gettarono semi indispensabili per la genesi del thrash metal, recidendo in primis quel cordone ombelicale che legava ancora il metal all’hard-rock settantiano. E i Metallica probabilmente furono fra i primi ad accorgersene e cogliere queste intuizioni per rendere il loro suono infinitamente più moderno rispetto a quello di molti loro contemporanei. 

E’ poi la volta dei Budgiealzi la mano chi li conosce! Direttamente da Cardiff, Galles, la band ha una storia che risale al 1967. La loro “Crash Course in Brain Surgery”, contenuta nel loro quarto full-lenghtIn for the Kill”, è del 1974 e costituisce l’episodio più datato dell'EP. Ad un incipit molto à la Deep Purple seguono nemmeno tre minuti schietti caratterizzati da un riff semplice e un cantato simil-Plant. Aggiunge poco la versione dei Metallica, se non un introduzione di basso, suoni più potenti e l’ugola al vetriolo di Hetflied. E’ utile tuttavia sottolineare che anche la scelta di questa traccia (tutto sommato nella media) tradisce il gusto della band per brani di impatto con riff quadrati a condurre le danze. Cos'altro è del resto il thrash metal? 

Si chiude in bellezza con una doppietta gentilmente suggerita dai Misfits di Glenn Danzig. La fusione di due brani (“Last Caress”, risalente all’EP di debutto “Beware”, e “Green Hell”, estratta da “Earth A.D.” - rispettivamente del 1980 e del 1983) è il vero capolavoro dell’EP, tanto che il primo dei due (“Last Caress”) verrà riproposto dal vivo negli anni a venire, divenendo quasi un classico. Le due tracce vengono sputate una di seguito all'altra senza dare all'ascoltatore un attimo per riprendere fiato, finendo per brillare di un dinamismo che non apparteneva alle originali, sicuramente più rozze ed artigianali. L’importanza del punk nella configurazione del thrash metal è del resto ormai cosa risaputa e rimarcarlo è francamente stucchevole. E’ semmai interessante osservare il fatto che, potendo scegliere fra le estrinsecazioni più violente del movimento punk/hardcore, i Nostri optarono per l'approccio goliardico e "gigioso" dei Misfits: fra questi solchi rinveniamo il carattere orecchiabile di molte strofe ed altrettanti ritornelli  dei Metallica, marcia in più che, rispetto ad altri primi mover del thrash, ha permesso ai Nostri di raggiungere un successo planetario.

Da segnalare, infine, l’accenno sgangherato dell’intro di “Run to the Hills”, che sfuma dopo pochi secondi ribadendo la natura scanzonata dell’operazione (fisiologico sforzo di sdrammatizzazione evidentemente richiesto dal periodo di lutto da cui la band proveniva). 

In tutto questo i Metallica fanno qualche passo indietro, retrocedendo al furore ed alla immediatezza di “Kill ‘Em All”, recuperandone, attraverso queste rivisitazioni, l’approccio naive. Nulla della maestosità dei due lavori precedenti permane, salvo qualche accortezza in sede di assolo: impossibile dunque pensare ai Metallica di Garage Days come ai musicisti che, appena un anno prima, avevano sfornato “Master of Puppets”, né tanto meno a coloro che avrebbero scritto, appena un anno dopo, le lunghe e tortuose composizioni di “...And Justice for All”. Altrettanto impossibile, al tempo stesso, non riconoscere quel tocco da Re Mida che permetteva ai Metallica degli anni ottanta di trasformare in oro qualsiasi cosa passasse loro per le mani, anche con il minimo dell'impegno mentale.

Uscito in tiratura limitata, l’EP verrà rieditato nel 1998 nell’operazione “Garage Inc.”, diluito doppio album di cover per il quale valse invece la regola contraria, ossia quella di Re Merda, confermando il pessimo stato di salute dei ‘Tallica nella seconda metà degli anni novanta. Del resto, un conto pubblicare un album fra “Master of Puppets” e “...And Justice for All”, un conto fra “Reload” e “Saint Anger”...


(Vedi le altre puntate della rassegna)