Seconda e ultima parte della nostra Retrospettiva sui Crisis.
Autori di appena 4 album, dopo averne analizzato i primi due, concludiamo con la descrizione dell'altra metà della loro, ahinoi, esigua discografia.
“The Hollowing” (1997)
Introdotto da un’altra copertina
da far accapponare la pelle, tanta è l’angoscia che trasmette, "The Hollowing" si apre con
la camaleontica “Mechanical man”, un gran pezzo che mischia sludge e post-hard
core in modo mirabile. Da subito notiamo che la voce al vetriolo di Karyn non si è ammorbidita di un grammo e sputa
in faccia all’ascoltatore, assieme a metaforiche lamette da barba affilate come
rasoi, la solita abbondante dose di rabbia. Ma se qualcuno si aspettava che i
Crisis si ripetessero, a distanza di appena un anno da "Deathshead Extermination", si sbagliava di
grosso: i 4 pazzoidi, pur mantenendo la loro impronta nevrotica, epidermica, e
a momenti schizoide, mutano pelle e questo lo si può denotare già dal secondo
brano in scaletta, l’ottima “In the shadow of the sun”: quasi 7’ di malsano
sludge metal dalle venature industrial. Sarà proprio questo il trademark
dell’album tra brani decisamente ispirati (“Surviving the siren”) e altri meno,
leggermente “stanchi” (“Vision and the verity”, “Take the low road”).
La chitarra di Nasiruddeen guida
le danze con la solita inventiva, un rifferrama, su tonalità bassissime, che fa
proprie le lezioni impartite da Kirk Windstein & compagnia “fangosa”
(ascoltare “Fires of sorrow” o “Kingdom’s end” per averne un’idea…). Wang e
Waring, da par loro, non si risparmiano, accompagnando in modo mirabile, e
molto vario, le evoluzioni alle sei corde. Insomma, al netto di qualche momento
di stanca, il lavoro regge benone, innalzandosi mirabilmente negli ultimi 10
minuti del full lenght con l’accoppiata finale “Discipline of degradation” (con
una Karyn sugli scudi) & “Come to light”, una splendida strumentale dove le
radici asiatiche di Afzaal escono fuori prepotentemente assieme a partiture
tribali che farebbero invidia ai Sepultura.
Coerenza ed evoluzione in un
tutt’uno convincente. Nel segno della cupezza e dell’oscurità.
Voto: 7
“Like Sheep Led To Slaughter” (2004)
I Crisis sembrano essersene
andati definitivamente in letargo ma dopo 7 anni, con una formazione a cinque, visto
il recupero del chitarrista afro-americano Jywanza
Hobson (che aveva già collaborato con la band nel debut), tornano sul
mercato con un prodotto che riprende coerentemente le fila del discorso
lasciato con "The Hollowing": uno sludge/hardcore
sempre piuttosto, vario, doloroso, obliquo e disturbante.
Una produzione eccelsa,
l’ennesima copertina capace di inquietare e creare curiosità, una maggior
fruibilità rispetto all’ostico predecessore…nonostante tutto questo: sarà che siamo pronti ad attenderci
l’impatto sonoro sprigionato dalla band; sarà che la voce di Karyn, per quanto
sempre potente e varia, non ha più quell’effetto sorpresa che ci aveva così
devastati in "Deathshead Extermination"; sarà che il mestiere fa capolino più di una volta (“Waking the
dead”, “Blood burden”, “Study in
cancer”), sarà che in quel 2004 un certo tipo di metal era stato ampiamente
metabolizzato dai padiglioni auricolari di noi utenti…insomma, sarà come sarà,
ma il disco, pur superando abbondantemente la sufficienza, non ci fa strappare
i capelli, quantomeno per tutta la durata dei 46’ del platter.
Attenzione, non vorrei essere
frainteso: le ottime canzoni sono sempre ben presenti (la straordinaria
“Nomad”, “Corpus Apocalypse”; e poi la ninnananna da far accapponare la pelle di
“Rats in a maze”, che fa da preludio all’orientaleggiante “Secrets of the
prison house”, uno dei pezzi migliori della carriera dei Nostri). Brani che
dimostrano, a scanso di equivoci che, quando ispirati, i Crisis si collocavano
sempre ben al di sopra della media dei colleghi in circolazione. E quando ci viene
dato il commiato da “The fate”, strumentale guidata ancora dagli
orientalismi di Azfaal, la tentazione di rischiacciare “play” sul lettore CD è
molto alta.
E scusate se, dopo sette anni di
silenzio discografico, questo è poco…
Voto: 7
Ad ogni modo, LSLTS sarà il canto
del cigno dei Crisis; canto del cigno dovuto soprattutto alle vicende personali
della “piccola” Karyn, invaghitasi di un bel maschione italiano, Davide Tiso, suo futuro marito, leader
dei veneti Ephel Duat e col quale avvierà una collaborazione prima come singer
proprio degli ED, e successivamente nel progetto musicale Karyn Crisis’ Gospel of the Witches (band alt-metal dalle venature
goth-doom).
Insomma, al di là di qualche
fisiologica sbavatura, al Metal rimane la storia di una band originale,
coerente e soprattutto coraggiosa; rimasta sì di nicchia ma capace di donare un
contributo importante sul versante del crossover anni novanta. Ma soprattutto ci rimane l’eredità
artistica di una fronwoman pazzesca, unica, dal talento enorme.
Crisis: una tappa da conoscere
nel percorso ormai cinquantennale del nostro genere preferito…
A cura di Morningrise