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25 mag 2020

IL DEATH METAL DI MICHEL PICCOLI - L'EVACUAZIONE DELLA VITA


"E'morto Michel Piccoli", mi dice un mio conoscente. "Noooo!" E immediatamente fa riferimento ad una sua ultima celebre interpretazione, in "Habemus Papam". Io annuisco ma dentro di me contrattacco: “Ma nooo! Michel Piccoli non è quello che faceva il Papa in crisi di identità, Michel Piccoli è quello che muore scorreggiando ne “La grande abbuffata” di Ferreri.

Una figura che non può che evocarmi un parallelismo automatico e naturale con il death metal più amante delle metafore alimentari-fecali della vita, i Cattle Decapitation.

I Cattle, gruppo death dall'ideologia "antispecista" che ben si fonde con un tema misantropico di fondo, hanno già al loro attivo un disco dalla copertina e dal titolo programmatici: "Humanure" (2004), cioè concime umano. L'idea è che forse l'uso migliore dell'uomo sia quello di essere distribuito sui prati come concime dagli animali che si cibano di lui, in maniera “reciproca” rispetto invece al consueto “humanure”, cioè concime di derivazione umana, una sorta di autarchia della famiglia contadina, purché numerosa.

(Da "Uno contro l'Altro - Praticamente amici", con Tomas Milian e Renato Pozzetto - 1981)

“Io adoro i fiori, li coltivo". "Eh, ma qui è tenuto male, tutto secco, ma va che roba”. “Eh, ma sai qui i ragazzini ce giocano, ce pisciano, ce cagano”. “Eh ma il concime umano fa bene. Sai quanto lo pago quello di cavallo al quintale? Trentamila lire” “Allora ce vengo io a cagà a casa tua, con tutta la famija”.

In origine quindi il concime umano è anche considerato pregiato rispetto a quello animale, ma dall'uomo trattato con altezzoso distacco proprio per la prospettiva specista, che fa ritenere all'uomo di avere una distanza spirituale dallo sterco maggiore di quella che può avere un bue o un topo. E invece, capovolgendo i rapporti, come sarebbe se fosse l'uomo intero, e non le sue scorie alimentari, ad essere concime, data la sua sostanziale inutilità o dannosità rispetto all'ecosistema?

Michel Piccoli non arriva a prospettive speciste, si limita a quelle esistenzialiste. In un rito di autodistruzione programmata, si chiude in una casa di campagna con tre amici gastronomi per una gara all'ultimo boccone, che potrà finire solo con la morte. Perché la rinuncia ad andare avanti, il ritorno ad un piacere minore, sarebbe una morte peggiore. E così i quattro iniziano una gara di cucina con cui si rimpinzano, e concentrano il maggior numero di orgasmi culinari nel minor tempo possibile, con inevitabile ingolfamento dell'apparato digerente. Qualcuno si blocca a livellodi stomaco, chi diventa diabetico, chi rimane congestionato perché si espone al freddo a pancia piena, chi ancora ha atroci dolori di pancia. Piccoli invece fa la parte di quello che mangia, mangia ma non riesce a scaricarsi, cosicché il suo ventre gonfia e si fanno sempre più minacciosi i cenni dell'evacuazione in arrivo. Gli amici ridacchiano. A un certo punto, in una scena grottesca, Piccoli si siede al pianoforte e pesta i tasti contrappuntando con scorregge sempre più anarchiche e pesanti, al che gli amici tentano di ignorarlo e commentano “ormai ci siamo abituati !”… ma Tognazzi poi non ce la fa e dice “Sì, però a me fa sempre ridere...”. Dopo di che, al culmine della scena Piccoli si alza e se la fa addosso in maniera massiva e istantanea, rimanendoci fulminato. In altre parole si svuota in maniera talmente violenta da avere un collasso, una fine decisamente ingloriosa.

La componente brutal death non finisce qui, perché gli amici non si disfano del cadavere ma lo conservano in fresco, nella consapevolezza che si uniranno anche loro a lui prima o poi, e con modalità analoghe. Il tema del film è una specie di consapevole celebrazione del limite dell'uomo, essere vorace il cui piacere è accompagnato da un flusso di feci, di scorie che infine valgono più di quanto non valga il piacere stesso. Lo sa bene chi appunto si abbuffa, come nel film, e cerca picchi di soddisfazione che non sono possibili, peggiorando in realtà il piacere del palato. Alla fine la vita del Piccoli mangiatore è talmente travasata nella pancia, che quando questa simbolicamente si vuota, si porta via anche la vita, indicando come un essere inizialmente cerebrale sia regredito in qualcosa di viscerale, quasi materico e informe.

E del resto non diverso è il senso di un'altra delle copertine dei Cattle, quella di "Monolith of inhumanity" (2012), in cui il mito della nascita dell'uomo è rovesciato. In origine, come rappresentato da Kubrick in "2001: Odissea nello spazio", le scimmie pensanti divengono uomini per un salto di intelligenza, o di chissà cosa, una specie di impulso magnetico di un grande monolite misterioso. Dopo averlo toccato imparano a combattere in maniera più intelligente, e sterminano le scimmie concorrenti, guadagnandosi la pozza d'acqua migliore. Questo, dicono i Cattle, è sì l'inizio, ma forse è l'inizio dello squilibrio tra uomo ed ecosistema, in cui nasce la prevaricazione antropocentrica distruttiva della razza umana. Per il suo sviluppo, sicuramente eccezionale, sarà sacrificato il pianeta e le altre creature. Gli uomini si accaparrano tutto, sprecano, distruggono per avere, senza interesse a mantenere il ciclo della natura ricco e abbondante; insomma depredano le risorse perché focalizzati su se stessi e credono di essere non una voce di consumo, ma la fonte della ricchezza. Così si riempiono e riversano sul mondo le loro scorie, per giunta sempre più frustrati e aggressivi.

In fondo il ruolo del Papa in crisi di Piccoli era una logica prosecuzione, aggiornamento buonistico, del ruolo dello scorreggiatore folle. L'umanità è un vicolo cieco, e Dio sfugge in quanto da esso dipendente. Accade che, proprio quando l'uomo è eletto Papa, quindi interlocutore diretto di Dio, egli perde non tanto la fede quanto l'autostima, e fugge via. Egli non nega l'esistenza di Dio, semplicemente vuole essere dimenticato, che il suo nome svanisca nel nulla, come se nella glorificazione massima dell' homo spiritualis fosse evidente l'inconsistenza dell'uomo stesso in questi termini. Una bolla che scoppia proprio con l'ultimo soffio nel cannello che la gonfia.

E anche qui, una morale curiosa. Non anticristiana, come in un'ottica black metal. Ma anti-antropocentrica. Se esiste un Dio, egli non è Dio dell'uomo, per cui l'uomo può immaginarlo quanto vuole ma appena si sporge a toccarlo sprofonda in un abisso di niente. Una morale molto death invece, il genere che canta la materia e il suo relativismo come metafora dell'inutile pretesa dell'uomo di travalicarla. Uno sarebbe la spiritualità, ma certo non fondata sull'uomo stesso, uno sgambetto automatico. Molto meglio i popoli arcaici che adorano, che so, un Dio Pollo, una posizione di umiltà incommensurabile con gli uomini che addirittura deificano quasi un loro membro, il Papa, e si sentono al centro di un progetto divino.
L'altra via è la celebrazione della caducità, il tornare alla polvere che i religiosi riferiscono alla materia, contrapponendola presuntuosamente alla parte nobile (l'anima) che invece resta e ascende. In verità, nella visione death dei personaggi di Piccoli, è l'anima che è espulsa, potremmo dire defecata materialmente o moralmente, dall'uomo che se ne è riempito, materialmente o moralmente. Anima e corpo sono un tutt'uno, e l'uomo ne fa indigestione per riempirsene, salvo poi essere niente dopo averle consumate.

Quanto a noi, vale quello che diceva Tognazzi. Siamo abituati a sentire gente che grugnisce sopra un tappeto di colpi menati da batteristi forsennati, tra muri di chitarre compresse. "Però fa sempre ridere". Quante volte l'ho pensato dopo aver iniziato a sentire l'ennesimo gruppo death metal di quelli più chiusi e ortodossi. Si ride della morte, ma si ride in realtà del parossismo con cui la si mette al microscopio, dal corpo sul tavolo mortuario fino alla molecola del virus. Anzi forse ciò che distingue il death metal "controriformista" e serioso che parla di Grandi Antichi e di Negatività, da quello iper-materiale, della decomposizione e della inconsistenza morale, è proprio il lato ridicolo. La morte non è un ponte verso il soprannaturale, una porta che lascia entrare l'infinito. La morte è la fine di tutto, la Grande Ridicolizzatrice. Specie se si credeva di essere gli eletti di una razza eletta.

Ma non è il caso dei Cattle, che cantano la nobiltà della carne animale, nel capovolgimento antispecista. E non fu il caso di Piccoli, che mise in scena un Homo Spiritualis che vede Dio ma non più se stesso, o un Homo Materialis che crepa evacuando tutto il cibo possibile.

A cura del Dottore