"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

13 mag 2020

IL METAL ITALIANO NON ESISTE (parte prima)


Mi sono sempre chiesto come, fuori dai patri confini, il metal italiano sia visto e giudicato. Ovviamente, da italiani, abbiamo una visione distorta, certamente più ampia ed approfondita, che tuttavia può complicare le cose. L’auto-giudicarsi è sempre stato il processo più difficile, tanto più che nel corso dei decenni la considerazione degli stessi italiani del “loro” metal è radicalmente cambiata: all’inizio ignorato o snobbato per una inflessibile vocazione esterofila (tanto che i musicisti cercavano di nascondere la propria origine dietro a pseudonimi inglesi ed abbracciando in toto sonorità anglosassoni), il metal tricolore è stato progressivamente scoperto, riconosciuto, apprezzato, rivalutato e in certi casi sopravvalutato, passando straordinariamente dalla vergogna all’orgoglio.

Quel che è certo è che, fra tutte le buone proposte offerte dal Bel Paese, con punti di eccellenza negli ambiti più disparati, non si può mai parlare di metal italico in senso stretto

Lo capiamo allargando il discorso all’Europa, dove molti sono i paesi che possono vantare un proprio “metal nazionale”. Tralasciamo il Regno Unito, che per motivi storici e per la grande tradizione rock, costituisce un caso a parte anche nel metal, che proprio in terra di Albione ha visto la sua genesi: Black Sabbath, Judas Priest, Motorhead ed Iron Maiden sono un poker di nomi eloquenti e non a caso si è parlato di New Wave of British Heavy Metal. Guardiamo oltre. 

Il metal teutonico esiste, tanto che la Germania è con il tempo divenuta la vera e propria Patria del Metallo in Europa, sia per la vasta schiera di appassionati che per le band leggendarie che in essa sono germogliate e fiorite (Scorpions, Accept, Running Wild, Grave Digger, Rage, Helloween, Gamma Ray, Blind GuardianSodom, Destruction, Kreator e la lista potrebbe andare molto avanti). Quanto al metal estremo, il Nord Europa ha dato il meglio di sé. Svezia, Finlandia e Norvegia possono infatti vantare scene fiorenti che si sono distinte a livello mondiale, dando persino i natali a qualche sotto-genere di indubbio successo, come il melodic death metal di Gothenburg o il black metal di marca norvegese. Attenzione però: nomi come Stratovarius, Nightwish e Hammerfall dimostrano che il Nord Europa non si è solamente distinto per death, black, doom e gothic.

In Danimarca non si registra la stessa prolificità, ma è bastato un nome come quello dei Mercyful Fate per dare lustro a quel fazzoletto frastagliato di terra affacciato sul Mar del Nord. Anche alla piccola Svizzera è bastata la grandezza di una sola band, i Celtic Frost, per poter parlare di metal elvetico: un’impronta che è stata poi rimarcata con decisione da brillanti discepoli quali Coroner, Samael, Schammasch, solo per fare qualche nome. Persino la Francia, sulla carta svantaggiata in quanto pressoché priva di cultura rock, è riuscita recentemente a farsi elogiare per grandi individualità in campo black e post black metal (Alcest, Deathspell Omega, Peste Noire ecc.). 

Potremmo dire che tutti quelli sopra menzionati sono paesi agiati, in cui vi sono state le condizioni favorevoli affinché un movimento borghese come il metal potesse emergere ed attecchire. Volgendo lo sguardo ad est e spingendoci fino ai confini della lontana Russia, ci stupiremo tuttavia di avvistare scene molto valide, soprattutto in ambito estremo. Come se, all’interno delle restrizioni vigenti nella ex Cortina di Ferro, fossero covate energie pronte ad esplodere appena il Muro ha iniziato a sgretolarsi (basti citare l’esempio dei Behemoth, che dalla cattolica Polonia si imponevano con il loro blasfemo antidoto, aprendo di fatto ad una vera e proprio scuola black polacca). Ma anche i “fanalini di coda” dell’Europa, Portogallo e Grecia, possono vantare i loro degni rappresentanti in campo metal: Moonspell e Rotting Christ sono individualità che da sole hanno saputo esprimere un metal “nazionale” grazie al forte radicamento della loro musica nelle tradizioni locali. 

In Italia, ahimè, non abbiamo avuto niente di tutto questo: né una band in particolare che ha saputo incorporare nel proprio sound degli elementi fortemente rappresentativi del territorio e della cultura da cui essa proviene, né un considerevole numero di artisti che, incarnando essi più o meno le stesse caratteristiche, abbiano saputo forgiare un metal dai tratti riconoscibili ed “inequivocabilmente italiani”. 

É stata forse colpa del fatto che la nostra è la terra del sole, del mare e della pizza: tutti aspetti che non siamo soliti associare al metal per come si è imposto nel mondo. Oppure la ragione è da ricercare nella eccessiva frammentazione culturale del nostro territorio, suddiviso in aree dalle caratteristiche molto diverse fra loro. Non ha aiutato una società la cui cultura ed istituzioni storicamente irretite nelle maglie di un solido cattolicesimo, che per missione, come ogni forma istituzionalizzata di religione, è da sempre in prima fila ad arginare nei giovani ogni spinta libertaria o ribellistica. 

Non solo. Nonostante una importante tradizione musicale (classica, lirica, operistica), dal dopo guerra in poi l'Italia è stata dominata dalla musica leggera e dalla canzonetta, d’autore o meno. L’industria discografica non ha voluto/saputo supportare le giovani band metal, spingendole costantemente ai margini. Sono mancati di conseguenza il know how, la sensibilità, le risorse economiche (quelle stesse risorse economiche che in altri paesi sono state assicurate persino da programmi governativi - si pensi alla Svezia delle sovvenzioni destinate alle attività culturali per i giovani). Ed è mancato anche un pubblico. Questo almeno agli inizi. 

La forte contrapposizione ideologica, il terrorismo, gli anni di piombo non hanno poi favorito il metal, da sempre estraneo o poco interessato a tematiche di ordine politico o sociale. Uno stato di cose, questo, che ha reso invece la decade ottantiana terreno fertile per una rigogliosa scena hardcore che ci è stata persino invidiata all’estero (Raw Power, Wretched, Negazione, Declino, Indigesti i nomi di spicco). Ai confini con il metal, ci imbattiamo nei  Cripple Bastards, storica e longeva formazione grindcore la cui peculiarità è l’adozione della lingua italiana. 

Ma non si può dare la colpa solo a "fattori esterni". L’Italia nel metal ha dimostrato scarsa originalità: abbiamo sempre guardato all’estero, abbiamo inseguito il trend del momento, quasi mai ponendoci come avamposto stilistico degno di essere imitato. 

Questa mancanza di originalità ha contraddistinto il metal italiano fin dalle sue origini, a partire dalla celebrata triade Vanexa, Vanadium e Strana Officina, compagini di musicisti che aderivano in modo pedissequo ai modelli anglosassoni di hard rock e heavy metal, senza inventare nulla o dire qualcosa di personale, sia a livello lirico che musicale. Si apprezzano senz’altro la determinazione e lo spirito di sacrificio, perché non dev’essere stato facile affermarsi nel contesto dell’epoca (parliamo degli anni ottanta), ma è innegabile che le produzioni del periodo si muovessero, nella maggior parte dei casi, fra emulazione, provincialismo, dilettantismo e produzioni artigianali. 

Per questo motivo ci piace prendere un’altra strada, ripartire dalla formidabile tradizione rock progressiva che era fiorita in Italia nella decade precedente. Da quel retroterra, con Jacula, Antonius Rex e il genio visionario di Antonio Bartoccetti a fare da importante anello di congiunzione, si sarebbe originato un metal oscuro che si avvicinava macabramente al mondo dell’occulto, probabilmente in reazione al predominio della religione cattolica nella società. Stilisticamente questo dark-metal si continuava a modellare intorno al paradigma sabbathiano ed agli altri stilemi tipici dell’hard rock e dell’heavy metal, declinandoli in una dimensione morbosa, progressiva, psichedelica, con continui rimandi liturgici e chiesastici (chi addirittura utilizzava il latino) ed una forte vocazione visionaria che caratterizzava il background barocco della tradizione musicale classica italiana. 

In questa fase possiamo individuare i frutti più originali che l’Italia metallica avrebbe generato nella sua storia. Artisti, questi, non certo baciati dal successo, ma che oggi possiedono meritatamente uno status di culto. E così i Death SS possono oggi vantare la paternità di un genere tutto loro, l’horror metal, caratterizzato da un’attitudine scenica e tematica che ha avuto forti ripercussioni sull’immaginario di certo metallo gotico successivo (chi ha detto Cradle of Filth?). Il geniale e poliedrico Paul Chain, da parte sua, verrà invece annoverato fra i padri dello psycho-doom, con illustri riconoscimenti provenienti dall’estero. Vorremmo aggiungere alla lista dei “prodi italiani” anche Mario Di Donato che con le sue band (UTUnreal Terror, Requiem, The Black) ha saputo illuminare il panorama italiano con il suo estro chitarristico prima, e con un peculiare doom cantato in latino dopo. 

Ad alimentare la Leggenda, ha concorso il fatto che questi lavori sono stati difficilmente reperibili per molto tempo. La distribuzione è stata infatti un altro tema dolente per il metal italiano, un nodo cruciale che ha penalizzato per lunghi periodi realtà molto valide, fra cui vorremmo anche includere i Dark Quarterer, autori di un epic metal di alto profilo, forse non originalissimo, ma ispirato, ben suonato e con interessanti riferimenti alla cultura etrusca. 

L’Italia, del resto, ha dato il meglio quando il successo è stato un lontano miraggio, come hanno dimostrato nella seconda metà degli anni ottanta Necrodeath, Schizo e Bulldozer: il loro thrash efferato e rozzamente suonato, in verità, non diceva granché di nuovo nel panorama del periodo (mentre Bathory e Celtic Frost configuravano quelle nuove modalità di aggressione che, come semi del male, avrebbero fruttato nel decennio successivo). Ma a modo loro hanno saputo ampliare il vocabolario dell’estremo (i Bulldozer in particolare, celebrati come maestri da parte dei gruppi scandinavi della decade successiva, saranno fra i primi ad utilizzare le tastiere in un contesto estremo). 

Certo, fa riflettere il fatto che mentre queste band stentavano ad esistere e si sarebbero disgregate di lì a poco, dalle medesime premesse i brasiliani Sepultura si elevavano ad uno status innegabilmente superiore, pronti a divenire una delle band più influenti degli anni novanta. I carioca, infatti, non potevano godere di migliori condizioni socio-economiche-culturali rispetto a qualsiasi altra band nostrana, ma come vedremo a breve, con gli anni novanta il vento cambierà: grazie infatti al successo commerciale di molte realtà metal a livello mondiale, anche il nostro metal avrebbe potuto godere di una rinnovata visibilità.