"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

9 ago 2020

GUIDE PRATICHE PER METALLARI: I QUEEN (1/2)




Se a qualche lettore sarà parsa strana la presenza dei Queen (con il capolavoro “Queen II” del 1974) nella nostra lista dei 500 album per il 50ennale del metal, beh, probabilmente non avrà letto, o l’avrà dimenticato, lo splendido post che il nostro Mementomori scrisse tre anni e rotti fa per il 25ennale della morte di Freddy Mercury. In quello scritto veniva esplicitata l’importanza e l’influenza della Regina sul nostro Genere Preferito con queste sacrosante parole: I Queen non sono stati dunque solo gli interpreti di hit di successo: nella loro ampia e variegata visione artistica, hanno saputo convogliare e volgere a loro favore le correnti stilistiche più disparate. Quindi pop (nella sua accezione più nobile), ma anche glam, hard-rock, progressive, musica classica, opera e persino metal. In quello scritto si sottolineava come, per molti metalheads, gli album dei Queen siano stati una prima porta di ingresso decisiva nel vasto Reame del Metallo.

In questo folto gruppo di metal fans, mi ci metto anch’io che per anni, nel periodo di fine ottanta/inizio novanta, durante le scuole medie/inizio superiori, ho trascorso centinaia di ore ad ascoltare Freddy&co. In particolare furono i due Greatest Hits a spalancarmi il mondo del gruppo inglese, seguiti dallo spettacolare “Live at Wembley ‘86”, consumato anche in VHS.

L’intento di questo post, tramite le nostre consuete “Guide pratiche per metallari”, è quello di far riscoprire le tante gemme heavy di cui è disseminata la carriera dei Nostri, al di fuori di quanto già ampiamente divulgato tramite le più famose compilations pubblicate dalla Emi/Parlophone, le due grandi major che hanno accompagnato tutta la carriera degli inglesi. 

Toccando tutti e 14 i full lenght dei Queen (il 15°, “Made in heaven”, pubblicato nel 1995 a 4 anni dalla morte di Freddy, non lo voglio proprio considerare), cercheremo perciò di fare una sorta di GREATEST HEAVY HITS dei Queen (d’ora in avanti GHH), tralasciando tutto quanto pubblicato inGreatest Hits I” (1981), “Greatest Hits II” (1991), “Greatest Hits III” (1999) e “Queen Rocks” (1997), quest’ultima contenente proprio i brani considerati più heavy nella discografia dei Queen.

Ma noi di Metal Mirror non ci accontentiamo di “Queen Rocks”: guidati come di consueto da manie di completezza & perfezionismo vi proponiamo un pacchetto di brani (20 in totale, divisi in due tranche da 10) meno conosciuti ma, a parere di chi scrive, assolutamente fondamentali per comprendere il sound dei Queen nella sua globalità. Una globalità nella quale la parte heavy, soprattutto nella produzione anni settanta (ma non solo), ha avuto un ruolo molto consistente…

Via, si comincia!

GREATEST HEAVY HITS I

1. “Great King Rat” (da “Queen”, 1973)

“Keep yourself alive”, “Doing all right”, “My fairy king”, “Jesus”…il debut dei Queen è già un (quasi) capolavoro. A riprova di questo estrapoliamo per la nostra compilation ben 3 ulteriori brani. “Great King Rat” è uno splendido esempio del primo, progressivo, immaginifico sound dei Queen, con songs medio-lunghe caratterizzate da molti cambi di tempo, un andamento spesso caracollante e pronunciate distorsioni chitarristiche. Da evidenziare, in questa, lo stacco a metà brano, quando tutto pare placarsi e Freddy declama frasi blasfeme impersonificando il Grande Re Topo; segue una parte acustica e, infine, una ripartenza hard and heavy esaltante che esplode nel chorus finale...voto 10!

2. “Liar” (da “Queen”, 1973)

Una dei primissimi e più heavy brani della Regina con un testo che tratta di peccato & pentimento, con risvolti religiosi (tematica molto utilizzata da Mercury in quegli anni). L’inventiva dei Queen, davvero esplosiva, si esprime con numerosi cambi di tempo e umore, comprensiva di una parte corale che anticipa la vena operistica che caratterizzerà sempre di più il loro sound in futuro. Tutto questo mélange mette in evidenza la vena progressiva di quelle prime, ispiratissime produzioni dei Nostri. “Liar” rimane ancor oggi sorprendente per freschezza, originalità e qualità dei passaggi. Che grandi i primi Queen!

3. “Son and Daughter” (da “Queen”, 1973)

E’ il brano più blacksabbathiano del debut. Un riffone pachidermico, dalle venature blues e fottutamente doomish, accompagna le strofe in mid-tempo con la voce di Freddy filtrata e parte del chorus cantato in falsetto. Un’altra top song che apparirà nel lato B del singolo “Keep yourself alive” (quest’ultimo altro heavy highlight, a malincuore non inserito in questa nostra Rassegna in quanto già presente nella compilation “Queen Rocks”)

4. “Ogre Battle” (da “Queen II”, 1974)

Del disco che, per chi scrive, è il vero capolavoro dei Nostri, si tende a ricordare esclusivamente la conclusiva “Seven Seas of Rhye” (il fantastico mondo immaginario creato da Mercury), ma in realtà i 4 inglesi inanellano un rosario di canzoni-capolavoro tra le quali è davvero arduo selezionare le migliori.

Se il metal epico a tinte fantasy è parto ottantiano, in “Queen II” abbiamo già degli archetipi, per testi e ambientazione, decisivi. La Battaglia degli Orchi è una fiaba favolosa dove corvi neri sono i messaggeri del Fato e gli orchi sono capaci di ingoiare un oceano, prendono mosche con lingue mostruose e ti scrutano con il loro unico occhio. Le distorsioni della chitarra di May sono notevoli e pesantissime e le parti strumentali sono definibili a pieno titolo proto-thrash. Non mancano i soliti cambi di tempo e ardite giravolte in un songwriting che è tutto, tranne che prevedibile. L’ultimo minuto, tra cacofonie di sovraincisioni, urla disumane e batteria marziale, è un trionfo metallico a dir poco esaltante. Una canzone che ha segnato il mio futuro da metalhead…

5. “The Fairy Feller’s Master-Stroke” (da “Queen II”, 1974)

Neanche 3 minuti per un altro esempio di heavy epico basato, con un testo zeppo di inventiva, sui personaggi di un quadro di un pittore inglese dell’epoca vittoriana (sic!). Un esperimento sonoro azzardato, un mixaggio capace di tenere assieme numerosi strumenti (dal clavicembalo alle nacchere!), guidato da un ritmo thrasheggiante da parte di Taylor. E se, ascoltandola, vi si pareranno davanti agli occhi, come per incanto, le immagini di magici taglialegna riuniti in un bosco al chiaro di luna in attesa del colpo da maestro…beh, non stupitevi…la canzone fa quest’effetto!

6. “The March of the Black Queen” (da “Queen II”, 1974)

Senza esagerare, una delle più importanti canzoni dei Queen. Vena progressiva (la seconda più lunga della loro discografia), mood oscuro, inserti operistici, polifonia spinta, invenzioni sonore ogni pochi secondi che gli donano sfaccettature pressocchè continue…probabilmente senza di essa “Bohemian Rhapsody” non sarebbe neppure stata concepita. Quando a metà running time il tutto si placa per lasciar spazio a pianoforte, voce e cori, l’epicità si taglia con l’accetta. 
In coda, tra assoli in sottofondo e linee vocali che si intrecciano, il brano assume i connotati di un mid-tempo metal che accelera man mano fino ad una coda quasi circense, fanciullesca…impossibile descriverla, ascoltatela e basta!

7. “Brighton Rock” (da “Sheer Heart Attack”, 1974)

Opener del terzo album della Regina (contenente pezzi storici come “Killer queen”, “Now I’m here” e la protometal “Stone cold crazy”, coverizzata anche dai Four Horsemen), e registrata durante le sessions di “Queen II”, dell’album precedente “Brighton Rock” ne riprende l’approccio heavy, contenente uno dei migliori assoli di May e un riff portante che è puro speed metal ante-litteram, oltre a una sezione ritmica dinamica e nervosa. Mercury si esalta in un falsetto che modula fino ad arrivare a un timbro forte e potente al termine delle strofe, raccontando le vicissitudini di Jimmy e Jenny (una giovane coppia che si reca a Brighton per una festività pubblica). Un pezzo di storia del Rock…

8. “In the Lap of the Gods…Revisited” (da “Sheer Heart Attack”, 1974)

Prima di “We are the Champions” c’era lei, ItLotG, brano da cantare a squarciagola live, una sorta di rock ballad con le strofe guidate dal solo pianoforte e un Mercury delicatissimo ma che, nel canto del chorus, lascia spazio a uno splendido riffone portante, ai limiti del doom. Il suo inserimento nel nostro GHH potrebbe apparire un po' forzato, ma il “wooo la, la la la!” corale raggiunge livelli da pelle d’oca non trascurabili…da conoscere!

9. “Death on two legs (Dedicated to…)” (da “A night at the opera”, 1975)

Ogni classifica, on line e non, sui Best Album dei Queen mettono ANatO al primo posto. Non sono d’accordo: i filler ci sono, i brani meno ispirati pure, ma è innegabile che la presenza di “Bohemian Rhapsody” lo fa apparire sotto una luce diversa…noi ci soffermiamo invece sull’opener che è davvero una canzone splendida capace di mischiare un heavy roccioso e ispirato ai lirismi corali mercuryiani. Un brano che butta fuori in modo plastico tutto l’odio di Freddy per il loro ex manager…un morto su due gambe!

10. “The Prophet’s Song” (da “A night at the opera”, 1975)

Per chi scrive, la migliore canzone in assoluto della Regina. Nonché la più lunga: una (mini) suite di 8’ e mezzo. Dall’oscuro intro arpeggiato all’ingresso del cadenzato riff portante delle strofe che porta al break in crescendo e al coro “Oooh, people of the earth!”. I saliscendi epici non si contano, in particolare nel bridge del terzo minuto, giusto prima della celebre parte vocale a cappella con 4 sovraincisioni asincroniche. 
La ripresa chitarristica che porta alla coda del brano, con annesso assolo di May, guida al tema iniziale fino al fade acustico che introduce la successiva, e celeberrima, “Love of my life”. “Oh, oh children of the land! Love is still the answer, take my hand!” Top…


A cura di Morningrise