"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

7 lug 2022

A SCUOLA DI EMOZIONI CON GLI AMENRA


Cosa sono le emozioni?
E senza nemmeno degnare di una risposta l'idiota quesito, passiamo a parlare degli Amenra, un nome che non buca lo schermo, che non ti rimane impresso nella mente, che non ti si appiccica addosso. Un nome che, almeno per quanto mi riguarda, era passato inosservato per ben due volte persino sulle stesse pagine del nostro blog

Una prima volta nella classifica dei top album del 2021, dove i belgi si piazzavano niente meno che al primo posto all'interno della categoria “Per chi si sente un ricercatore delle ombre musicali, per gli instancabili curiosi che hanno ricevuto tanti stimoli nonostante la pandemia e guardano al futuro della musica estrema con ottimismo”. Una seconda volta nello scritto del buon Morningrise, che ribadiva il concetto in sede di approfondimento, incensando l’ultima (ottima) release discografica “De Doorn”. 

Ma Amenra non è un nome che rimane impresso e per questo, come se fosse la prima volta che mi ci imbattessi, mi è parso di scoprirli poco tempo fa, sentendomi quasi un talent scout di giovani promesse, per poi subito apprendere che i Nostri sono a giro da più di venti anni ed hanno alle spalle una nutrita discografia fatta di svariati full-lenght, EP, split, colonne sonore, album tributo, concerti ufficiali ed altro ancora. 

Per attizzarmi la curiosità ci voleva una foto rinvenuta quasi per caso nel web, una piccola foto in bianco e nero che ritrae, in un contesto live, le sagome dimesse e sfocate dei musicisti sul palco, fra oscurità, fasci di luce accecanti e l’immagine di una chiesa sullo sfondo. Viene in soccorso YouTube, che ti toglie ogni dubbio, e in questo caso, vuoi per fato o per semplice fortuna, a materializzarsi innanzi ad occhi ed orecchie è il video della stupenda “A Solitary Reign”. Ed è folgorazione immediata. 

Sebbene si usi descrivere gli Amenra come una band post-metal o sludge, e sebbene essi siano stati per anni supportati dalla Neurot Recordings (oggi invece si sono accasati alla Relapse), cosa che in un certo senso dovrebbe inquadrarli, non è semplice in realtà circoscrivere l'ambito in cui operano. La loro musica è sospesa continuamente fra poesia e abrasività, fragilità e forza d'urto, introversione e massimalismo. Il loro cammino è coerente e solitario, una evoluzione che li ha condotti a lidi non preventivati con, sullo sfondo, la lingua inglese che si è fatta progressivamente da parte lasciando il posto al fiammingo, a dimostrazione del profondo legame con la loro terra natia. 

Poche recensioni sulla rete rendono l'idea, tanto meno queste mie parole. A tratti vengono in mente i Tool più introspettivi, lo shoegaze degli Alcest, l’ambient, i droni, la musica rituale e il silenzio; dall’altro lato il doom classico, il post-metal di Neurosis e Cult of Luna (soprattutto questi ultimi), l’hardcore deragliante dei Converge (si pensi allo screaming acuto e straziato). Gli Amenra fanno quello che molti altri fanno, ma lo fanno a modo loro, volendo in modo autoreferenziale, senza che questo sia necessariamente un male di per sé.  

Gli Amenra scrivono brani lunghi e album brevi. Non esiste il capolavoro degli Amenra, il loro è un sentiero accidentato che vale la pena percorrere nella sua interezza senza pretese di semplificazione. I pareri sull'ultimo "De Doorn" sembrano distaccarlo dal resto della discografia, vuoi anche per l'interruzione della saga "Mass". Qualcuno parla effettivamente di capolavoro, ma forse in esso si vanno solo a correggere certe sbavature del passato, si va ad individuare un equilibrio più soddisfacente fra pieni e vuoti. L'ascolto è indubbiamente appagante, ma basta prendere il precedente “Mass VI” e già vi trovo picchi di maggiore intensità. 

In esso è contenuta la sopra menzionata “A Solitary Reign”, il classico brano che ti viene una volta nella vita e vale una carriera intera. Pur avendo un andamento meditativo e parti che si ripetono, la traccia si dipana per nove minuti senza cali di tensione: è un monumento imponente in una città di ridotte dimensioni, dove tuttavia svettano altre meraviglie architettoniche, come la conclusiva "Diaken", altri undici minuti di grandiosità assortite. Queste due composizioni si ritagliamo giustamente il loro spazio spartendosi quasi la metà di un album tutto sommato breve (poco più di quaranta minuti di durata): un ascolto, anch'esso, indubbiamente coinvolgente, ma che quando finisce lascia una sensazione di incompletezza, come se il lavoro fosse stato lasciato a tre quarti dell'esecuzione del progetto originario. 

Forse il capolavoro degli Amenra non ci sarà mai: la loro sterminata discografia è una carrellata di istantanee che intendono catturare, non la perfezione formale, ma la sensazione, l’emozione del momento. E quando le cose escono bene e l’urgenza comunicativa trova la giusta modalità espressiva accadono miracoli. Probabilmente è proprio questa la chiave di lettura, il motivo per cui questi ragazzi delle Fiandre risultano essere cosi emozionanti: non si curano delle imperfezioni, ma proprio tra queste imperfezioni (un passaggio non particolarmente incisivo, una lungaggine di troppo, un brano che termina sul più bello) è in grado di dischiudersi la perfezione dell’attimo

Consiglio di visionare i loro live, che secondo me sono più significativi e penetranti degli album stessi. Perché se essi sono concepiti come messe, e i brani come preghiere, l'aspetto rituale non è secondario. Colpisce la figura sciamanica del front-man Colin H. Van Eeckhout, che usa cantare dando le spalle al pubblico, sia che si tratti di momenti introspettivi che di passaggi di grande impatto sonoro Timidezza? Scelta scenica? Non è il primo a fare lo schivo sul palco, si pensi al mentore Maynard James Keenan, ma il Nostro ha un che di magnetico che lo fa sembrare un autentico santone, anzi un profeta. In certi video, probabilmente estratti dalla prima parte del set, è ancora vestito, nero vestito, cranio rasato, barba di lunghezza variabile a seconda del periodo storico. In altri momenti lo troviamo a torso nudo, le spalle solcate da iconici e vistosi tatuaggi (una enorme croce capovolta). In altre ancora, probabilmente a fine set, lo vediamo in ginocchio, sempre di spalle, con la pelle martoriata e il sangue che cola. 

Non abbiamo bisogno di sangue alla nostra età, ma questo è sangue vero e mi auguro che la pratica che ho visto eseguire in uno di questi video non si ripeta ad ogni singola data. Due persone, una ragazza ed un tizio iper-tatuati e probabilmente esperti di pearcing, conficcano svariati ganci nella pelle del cantante e a questi ganci vengono applicati delle pietre. Siamo lontani dalle pratiche autolesioniste appannaggio di certo depressive black metal, non vi è niente di plateale in questo rito, che invece odora di pentimento, penitenza, sacrificio: un supplizio da sopportare in vista della redenzione, individuale e collettiva, attraverso un gesto messianico che non ha eguali nel contesto metal.

Il dolore silenziato dal martirio: Van Eeckhout non strega solo per la sua presenza sul palco, egli è un ottimo interprete, capace di muoversi con disinvoltura fra sentiti monologhi che sanno di preghiera, registri puliti di una fragilità che rasenta territori radiohediani, e grida lancinanti fin troppo tarate sui registri dell’agonia, tanto da apparire, alla lunga, monotone. Ma forse anche questo fa parte del gioco. 

La sostanza degli Amenra emerge facilmente ovunque si decida di passare per accedere al loro mondo. Pescare a caso su YouTube significa sorprendersi continuamente, imbattersi in live-set completamente acustici immersi in luoghi sacri, fra oggetti magici riposti con cura, dove l'esuberanza lascia spazio alla natura intima del loro sound. Oppure performance in cui si duetta niente meno che con Lingua Ignota. Insomma, se due indizi fanno una prova, tutto fa pensare che gli Amenra siano il grandissimo gruppo conosciuto ed apprezzato da pochi. 

Coerenza. Guardavo le belle e raffinate copertine dei loro dischi, tutte più o meno sul bianco, grigio e nero, tutte più o meno intente a catturare sensazioni fra il sacro e il decadente, fra l’iconico e l’introspettivo. Coerenza. Il video di “A Solitary Reign”, un viaggio nel viaggio, ove i lenti movimenti di camera ci conducono, fra monaci incappucciati e simbologie di vario tipo, entro i meandri di un luogo sacro fino al cuore della foresta, teatro di supplizio (o liberazione?) della sacerdotessa, lasciata a pendere, sospesa in una posa innaturale, fra gli alberi. 

E’ bello pensare che, mentre il mainstream si nutre del vuoto culturale e contenutistico di realtà create a tavolino solo per offrire un intrattenimento mordi-e-fuggi, vi siano gruppi come gli Amenra che sembrano poter vivere coltivando un'esistenza  senza compromessi, marciare con passo da maratoneta ed un suono che non chiede nessun tipo di favore al pubblico. 

Ed è bello sapere che vi siano ancora gruppi che operano a questi livelli nell’underground, che si evolvono in coerenza con i dettami della propria vocazione artistica, sviluppando una propria mitologia, lavorando seriamente a tutti gli aspetti della propria arte, inclusi quelli visivi, ed operando entro budget limitati ma con capacità realizzative superlative. 

E’ bello, infine, pensare che il metal non abbia perso il suo carattere più spirituale, un elemento che possiamo rinvenire fin dalle sue origini, dai primi rintocchi di campana dell'omonimo album dei Black Sabbath. Una componente che pareva essersi smarrita nell'edonismo degli anni ottanta, per poi riemergere prepotentemente negli anni novanta prima con il black metal scandinavo e poi con il filone del post-hardcore. Una componente, quella spirituale, che oggi è ancora più forte, con il doom mistico a tornare più forte che mai e commistioni che solcano felicemente il folk come l’ambient. 

Cosa sono dunque le emozioni? Emozioni sono il "suono vivo" degli Amenra, l’evocativo arpeggio iniziale di “A Solitary Reign” che diviene nenia elettrica, le chitarre che si intrecciano in melodie lacrimevoli. Emozioni sono la voce fragile di Van Eeckhout, linee vocali che, quelle sì, ti si stampano in testa al primo ascolto, le chitarre che esplodono, le urla strazianti che risuonano in lontananza. Emozioni sono il ritorno dell’incipit melodico, della splendida voce pulita di Van Eeckhout che in volteggi di una bellezza indicibile chiude il cerchio di un rituale che vede finalmente la liberazione dopo essere passati attraverso le fiamme del pentimento e della sofferenza. Emozioni. Queste sono emozioni.