"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

11 feb 2025

VIAGGIO NEL DEPRESSIVE BLACK METAL: PSYCHONAUT 4



Quarantaseiesima puntata: Psychonaut 4 - "Dipsomania" (2015) 
 
Dopo svariate puntate in cui abbiamo avuto modo di esplorare diverse e molteplici sfaccettature dell'universo del depressive black metal è tempo di considerare un nome grosso del genere, uno di quelli da top-ten: ecco dunque a voi gli Psychonaut 4
 
E chi cazzo sono gli Psychonaut?? si domanderanno tutti quelli che non sono proprio dentro dentro il DBM. Si tratta di un sestetto proveniente dalla Georgia che includiamo nella nostra rassegna non per motivi folcloristici (anche se la mera curiosità di ascoltare del prelibato metallo georgiano sarebbe pure lecita), ma perché suddetta band è riuscita a dare alla luce (od alle tenebre, fate voi!) uno degli esempi più brillanti di DBM di ultima generazione: “Dipsomania”. In una ipotetica classifica dei dieci migliori album di DBM di sempre, credo che il tomo in questione dovrebbe proprio presenziare. Vediamo insieme perché... 
 
Gli Psychonaut 4 si formavano nel 2010 e dopo una demo ed uno split coronavano le loro ambizioni discografiche incidendo l’ottimo debutto “Have a Nice Trip”, che già mostrava le idee chiare nell’edificare un metal depressivo tanto deviato quanto aperto ai più disparati colpi di scena. La vera “botta di successo” tuttavia, sarebbe arrivata con quello che viene tramandato come il loro classico per eccellenza: “Dipsomania”, edito nel 2015. 
 
Un periodo, quello, in cui il genere aveva già detto molto. C’è da specificare, infatti, che negli anni immediatamente precedenti si era notata come una sorta di saturazione artistica, considerato che la maggior parte delle band, salvo lodevoli eccezioni, continuava a lavorare sugli schemi sonori tirati su dalle band di prima generazione (Shining, Silencer, Xasthur etc.). Una di queste lodevoli eccezioni erano stati i Lifelover, fautori di una proposta innovativa che ambiva a traslare gli umori e gli scenari di assoluto degrado emotivo del depressive entro la dimensione del rock, del punk e del post-punk. Non sto dicendo che gli Psychonaut 4 assomigliano ai Lifolver, ma la follia, l’alone tossico, la libertà espressiva sono i medesimi. Del resto basta guardare la bizzarra copertina (ritraente un bambino denutrito e piangente che si punta una pistola alla tempia) per intuire che ci troviamo innanzi a qualcosa di deviante rispetto alla norma. 
 
Stilisticamente, questo sia chiaro, i Nostri hanno i piedi ben piantati in un solido terreno depressive che vede come punti di riferimento gli Shining, i Silencer (soprattutto per le parti vocali) e i Lifelover, appunto. Li possiamo annoverare serenamente fra gli alfieri più credibili del post-depressive black metal e, citando il titolo di uno split da essi rilasciato, questa loro musica potrebbe essere descritta con l’espressione “Urban Negativism”. 

Non so come si viva in Georgia, ma stando alle impressioni restituite da questo album direi che non è un bel posto. Il mondo che ci raccontano i Nostri è pervaso da degrado, depressione, droga, alcool (almeno due i brani dedicati a quest'ultimo in modo esplicito). Del resto se vi state chiedendo cosa sia la dipsomania, basta consultare Wikipedia, anzi l’ho fatto io per voi: “Dipsomania indica una condizione psicologica che comporta un desiderio e un'attrazione incontrollabile per gli alcolici”, cosa che ci legittima ad indicare l’album come un concept sull’alcool (definito ad un certo punto come una forma di suicidio legalizzato - vedi che tutto torna?). Ma al di là dei testi, redatti sia in inglese che in russo, quello che gli Psychonaut 4 sanno fare molto meglio di altri è scrivere musica, comporre brani coinvolgenti e soprattutto eseguirli inappuntabilmente. 
 
Tanto il messaggio è nichilista tanto la resa sonora è strutturata. Non aspettatevi chitarre sferraglianti e bassi svalvolati, il lavoro fatto da chi siede dietro il mixer è encomiabile, risultando in grado di fondere insieme tutte le sfumature che un sound così vario è in grado di elargire. Più di ogni altra cosa, i brani risultano ben concepiti, sufficientemente vari ed eseguiti con precisione e sicurezza, il tutto benedetto da suoni che valorizzano il minimo dettaglio o cambio di umore. Un’idea di quanto appena detto la si poteva avere anche solo guardando la scaletta: dodici brani di misurata lunghezza, fra i quattro e i sette minuti (escluso l’intro di soli due minuti). Niente esagerazioni se non l’esagerazione intrinseca espressa in ogni singolo istante di questo album. 
 
Non è il caso di procedere con un track by track perché tutto l’album viaggia ad elevate altitudini, ma almeno “Beware the Silence” fatemela raccontare. Dopo i due minuti di “Intro” a base di arpeggi e suoni ambientali tipo vento ecc., attacca un incalzante giro di basso, poi un batteria secca e scoppiettante in odore post-punk ed ipnotici ricami di chitarra, infine una voce di donna che parla in francese e il farneticare incomprensibile di un tizio in sottofondo. E questo è solo il primo minuto. Quando il brano esploderà sarà impossibile rimanere impassibili: il riff di chitarra non perdona, è irresistibile, e la voce poi, è tiratissima, stridula, uno screaming all’ultimo stadio di trasfigurazione, prima che diventi un lamento vero è proprio. 
 
L’ascolto dell’album procederà scorrevole, i Nostri saranno in grado di inanellare una soluzione vincente dopo l’altra. Ma a colpire più di ogni altra cosa è constatare come il tutto venga perfettamente amalgamato da musicisti ehm... lucidi (scusate l'ossimoro) e, se non dei virtuosi tecnicamente, sufficientemente dotati per allestire con efficacia una macchina che si muove con inappuntabile pragmatismo da un lato e le capacità espressive del gothic-rock dall'altro, il tutto interpretato con una verve da collettivo rock, con ben tre voci che si alternano: i soliloqui deliranti di Graf, che sarebbe il cantante principale, il growl del chitarrista Drifter e il canto pulito di S.D. Ramirez, chitarrista e pianista (quest'ultimo si farà notare in una versione alternativa della terza traccia, "Personal Forest", curiosamente riproposta al termine dell'album con voce pulita). Completa il quadro la solidissima base ritmica composta da Andrè al basso (presentissimo!) e Nepho alla batteria (impeccabile dietro alle pelli). Alex Menabde (che di lì a poco sarebbe entrato ufficialmente in formazione) compariva al basso solo in un paio di tracce. 
 
La band non si risparmia ed offre una prestazione corale in cui ogni musicista dà il proprio rilevante contributo. A dominare è il modulo del depressive rock fatto di riff taglienti e circolari e batteria incalzante, ma non mancheranno momenti più aspri, dove il blastbeat imperversa o anche momenti in cui torna ad aleggiare il fantasma del metal classico. Ma forse la componente più presente chiamata a bilanciare i momenti più brutali è quella psichedelica, ben evidente negli incipit di moti brani che partono con ritmi pacati, basso ed arpeggi drogati ed assurdi monologhi che si fanno strada fra le note fumose. Si pensi, a tal riguardo, a come iniziano “Don’t Leave the Room”, “Alcoholism” e “Suicide is Legal”. Ma probabilmente il momento più bizzarro è la spettrale “ballata pianistica” “Eyes od a Homeless Dog” con un Graf fuori di testa che trova lo spazio ideale per esprimere le sue doti interpretative (un lamento teatrale, il suo, che in più di un frangente mi ha richiamato alla mente i piagnistei inconsolabili della mitica Anna Varney negli album di Sopor Aeternus and the Ensamble of Shadows). 
 
La presenza di una indole visionaria e psichedelica non deve tuttavia stupire, considerato anche il significato del nome della band. Lo psiconauta è infatti il “navigatore della mente o dell’anima, chiunque utilizzi stati alterati di coscienza, intenzionalmente indotti per investigare la propria mente”. Per la cronaca, il 4 al termine del monicker si riferisce al numero di plateau nel farmaco destrometorfano. Interessante anche notare che il destrometorfano viene utilizzato per curare la tosse, ma che se consumato ad alte dosi presenta effetti psicoattivi e può comportare l'insorgenza di una sindrome serotoninergica, i cui sintomi - per chi non lo sapesse - sono agitazione o irrequietezza, insonnia, confusione, battito cardiaco accelerato e pressione alta, pupille dilatate, perdita di coordinazione muscolare o contrazioni muscolari: tutti effetti che possiamo anche associare ad un ascolto massivo della musica del folle sestetto!  
 
L’anno successivo la band avrebbe rilasciato l’altrettanto valido “Neurasthenia”, ma nonostante le ottime premesse gettate da un trittico di album veramente sopra la media, la band si sarebbe persa un po’ per la strada fra split e singoli, per poi ritrovare concretezza solo dopo qualche anno con “Beautyfall” del 2020 ed il recentissimo (e validissimo) "...of Mouning" del 2024. 
 
Personalmente parlando, gli adoro.