"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

11 nov 2025

AN EVENING WITH...ATTILA CSIHAR - VOID OV VOICES (THE OLD CHURCH, LONDON - 30/10/2025)



Attila Csihar è ovviamente il cantante dei Mayhem, non solamente quello attuale in una formazione da sempre mutevole, ma anche colui che ha cantato sul mitico “De Mysteriis dom. Sathanas”, quando appunto i Mayhem erano ancora i True MayheM. Ancora prima era stato il frontman dei Tormentor e, più in generale, è senza dubbi una figura di prim'ordine nell'empireo del black metal, prestando di traverso l’ugola a diverse altre valide realtà, fra cui i nostrani Aborym e i Keep of Kalessin, giusto per fare i nomi più noti. Ma il Nostro ha anche da sempre espresso, senza snaturarsi, un’anima più sperimentale, prima con il progetto elettronico Plasma Pool, poi collaborando con i maestri del drone-metal Sunn O))). Fra questi solchi non va trascurata l’esperienza solista Void ov Voices, una dimensione spesso rimasta sotto traccia in una carriera a dir poco stellare e densa di passaggi pregni di significato, e storico ed artistico. 

Nonostante abbia già avuto modo di saggiare dal vivo il buon Attila sia con i Mayhem che con i Sunn O))) (peccato, a questo punto, esserselo perso con i Tormentor l’anno scorso al Cosmic Void Festival), non ho resistito alla tentazione di poter essere testimone oculare di una delle sue rare apparizioni in veste di solista. 

Piccola premessa: tendo ad apprezzare gente come Attila Csihar o Nergal, gente che (il primo in Ungheria, il secondo in Polonia) si è fatta un gran culo per emergere con successo fra le restrizioni e le ostilità che certo caratterizzavano il mondo artistico (e non solo) al di là della Cortina di Ferro nel corso degli anni ottanta (laddove nei paesi Scandinavi – viva la socialdemocrazia! – le band dedite al metal estremo avrebbero persino ricevuto i sussidi dallo Stato). Sono sforzi che non vanno sottovalutati e a cui va tributato grande rispetto a prescindere. Ma non solo, sono questi contesti che hanno giocoforza plasmato la visione di questi artisti. Attila, in particolare, ha ricordato in una vecchia intervista come si fosse creata nel suo paese una comunità molto coesa fra tutti coloro che ascoltavano musica “invisa al sistema”, un coacervo di situazioni che andavano dal metal al punk, dalla darkwave all’industrial passando dal folk apocalittico. Per questo la visione artistica di Attila, che io preferisco vedere come un artista dell’Estremo piuttosto che come un metallaro in senso stretto, si va ad arricchire di diverse suggestioni mutuate dai mondi musicali ed artistici più disparati. 

Tutto questo è andato a confluire in una serata come quella che ho avuto la fortuna di vivere il 30 ottobre scorso: una serata resa ancora più speciale dalla location designata per l'evento, ossia la suggestiva cornice della Old Church di Stoke Newington, pregevole chiesetta nell'est di Londra. Costruita nella seconda metà del 1500, pare essere l’unica chiesa elisabettiana rimasta in piedi sul suolo della capitale inglese. Sebbene non sia stata sconsacrata, oggi funge più che altro da venue per eventi, mostre, concerti ecc. Ed è piuttosto curioso che in essa vi si possa esibire – in una chiesa cristiana intendo – uno che ha cantato su un disco intitolato “De Mysteriis dom. Sathanas”. 

Il colpo d’occhio è oltremodo suggestivo, con calde luci rosse e celesti che irradiano una atmosfera di irrealtà mentre sulla navata son proiettati simboli esoterici e in filodiffusione abbiamo musica dei Sunn O)) - tanto per rimanere in tema. La sensazione di straniamento è alimentata dal fatto che la chiesa si trova in una zona abbastanza isolata. Camminando lungo la strada scarsamente illuminata e costeggiando le tenebre emanate da un grande parco, mi son chiesto a più riprese in che cazzo di buco di culo del mondo mi fossi andato a cacciare per colpa di Attila. Non sono stato l’unico a temere per la propria incolumità, per esempio c’era una ragazza davanti a me che, appena ha sentito il rintocco incalzante dei miei passi, ha istintivamente protetto la sua borsetta e rallentato l’andatura per farsi sorpassare. Io l'ho capita l’inquietudine di 'sta tizia, da sola per la strada nel buio, non sono scemo, per questo l'ho subito sorpassata, un po’ per tranquillizzarla, un po’ perché sinceramente m’importava una sega di lei, desiderando piuttosto arrivare il prima possibile da Attila. 

La destinazione si trova in una stradina defilata e per non farsi mancare nulla c’è anche qualche lapide sparsa qua e là, ma non mi stupisco visto che, come spesso capita in Inghilterra, piccoli cimiteri sono parti integranti dei cortili esterni delle chiese. Chiarisco anche che eravamo nella settimana di Halloween: quali migliori premesse, dunque, per una serata ad alto tasso di suggestione? 

L’evento è sold-out, (e io vi sono rientrato all'ultimo soffio perché mi ero prontamente infilato in una lista d'attesa), ma saremo stati almeno 100 stronzi? Probabilmente sì, l’edificio ha in teoria una capacità di 120 posti inclusi quelli in piedi, ed in effetti, fra le due piccole file di panche ai lati, c’è spazio anche per sostare in piedi nel corridoio che conduce all'altare. Di lato in verità, c’è un ulteriore piccola sala oscura appena rischiarata da qualche fioca lampada a muro: pensavo fosse un’area preclusa al pubblico, ma mi rendo conto che ci sono ulteriori panche e qualche mesto figuro seduto in silenzio al di là delle arcate in mattoncini rossi. Vi dirò, sebbene vi fossero delle colonne ad impedire una chiara visuale, quella posizione mi ha fatto gola e, a seconda di come avrebbe buttato la serata, sarebbe potuto essere stato un luogo ideale dove assopirsi brandendo un buon calice di vino rosso. Sì, perché in Inghilterra nelle chiese che ospitano eventi mondani di solito c’è un baretto arrangiato alla meno peggio e si beve. E a me nelle chiese piace bere, preferendo andare di vino che di birra, chissà, stimolato dal contesto di intima sacralità. Non sono religioso, ma trovo positivi questi concerti in chiesa, me ne son fatti diversi in 'ste chiesette a Londra, e devo dire sempre con ottime sensazioni. 

Quanto a questi famosi 100 (o 120) stronzi che siamo, vi starete certo chiedendo chi è il pubblico di Attila Csihar. Ci si poteva aspettare una quota sostanziosa di appassionati di black metal, ma non è così, almeno in apparenza. Il fan medio di Attila Csihar, si direbbe, è il signore di mezza età che non sembra portare addosso i segni di trascorsi di vita burrascosi. Non dico una platea di professori universitari, ma quasi: tutta gente fra il distinto e l’alternativo, ma senza grandi stranezze. Donne poche e non accompagnate (cosa rara ai concerti metal), fra cui mi sembra di scorgere la flautista dei Sol Invictus, che mi è capitato in passato di avvistare in eventi di questo tipo, ma pur non essendone sicuro al 100% mi piace pensare che vi sia stata anche lei fra noaltri disgraziati. 

Sfuma la musica in sottofondo, tace il chiacchiericcio educato degli astanti mentre si avvicina all'altare un malinconico tizio dall'apparenza alquanto ordinaria. L’altare - questo non l’avevo detto - è ricolmo di cavi ed aggeggi assortiti probabilmente consacrati al rumor bianco. Il tempo di premere due pulsanti e girare qualche manopola ed ecco che si avventa su di noi il moto oscillatorio di suoni processati e ripetuti in loop. Due parole su Helm, insegna dietro cui si cela il sound-designer londinese Luke Younger. Il progetto, ridendo e scherzando, esiste da una ventina di anni e professa il linguaggio di un industrial-noise di derivazione classica e dalla sensibilità squisitamente analogica, quella di nomi quali Cabaret Voltaire e Coil, ma io ci ho sentito anche qualcosa di più oltranzista in stile NONNurse With Wound. Il Nostro si presenta in maniera dimessa e ricurvo sui suoi marchingegni e si ingegna al fine di mettere in piedi pregevoli bordate di rumore accompagnato dal pulsare di luci e proiezioni. Roba già sentita e risentita, ci mancherebbe, ma è anche vero che ho un debole per queste sonorità, quindi pollice verso l'alto per il buon Younger. 

Inutile dire, tuttavia, che l’attesa è tutta per Attila. Cosa aspettarsi? Stando alle parole del diretto interessato, il progetto Void ov Voices nasce come esperienza di improvvisazione che si adatta alla conformazione fisica ed alle sensazioni/vibrazioni dello specifico spazio in cui la performance ha luogo, quindi ogni esibizione fa storia a sé. Il progetto conterebbe anche un album ufficiale, tale “Baalbek”, registrato nel 2012 in Libano (in prossimità del sito archeologico che porta lo stesso nome) e poi pubblicato nel 2023, ma non chiedetemi se esso o parte di esso sia stato riproposto stasera: è possibile che qualche idea sia stata riciclata, ma se su disco sta roba è prolissa oltre misura, dal vivo Attila è un vero figo! 

E lo dico a quei maligni - me compreso - che hanno magari pensato che Attila si sia inventato questa serata per pagarsi un weekend a Londra, limitandosi a rispolverare il saio dal guardaroba dei Mayhem. Ma fortunatamente non è andata così. Quello che infatti non avrei mai potuto prevedere, con tutta la mia fantasia e tutto l'affetto per il buon Attila, erano i contorni di una delle esperienze più allucinanti che abbia avuto modo di vivere a livello concertistico - se in questi termini possiamo parlare. Ma procediamo con calma. 

Considerato il luogo di ridotte dimensioni, decido di fare la furbata passando davanti all'altare e mettendomi in prima fila. Per non rompere i coglioni a quelli appena dietro di me, ho il buon cuore di sedermi per terra sul soffice tappeto rosso, mossa che in verità verrà imitata da diversi altri astanti, conferendo alla situazione una connotazione ancora più intima. Ma ecco che dalla mia posizione dal basso vedo improvvisamente spuntare da dietro l’altare tutt'altra figura da quella che mi sarei aspettato: nero vestito, Attila squarcia il velo delle luci rosse alle sue spalle con una mise ben più curata di quanto avevo in malafede temuto. L’impatto è molto “magiaro” con smalto nero sulle unghie della mano, maglia e guanti retati, collane, cappuccio ed un make up cadaverico con tanto di simbolo esoterico stampato in fronte. Con una lanterna in mano il Nostro va oltre l’altare e si inerpica goffamente per le scalette del bellissimo pulpito in legno che sta a destra della scena. 

Ecco che l’Inenarrabile ha inizio: la prima parte della esibizione rasenta la performance teatrale. Il tutto parte con profondi gorgoglii che fanno pensare ad una sessione di meditazione, ma è questione di pochi secondi che il classico canto baritonale di Attila si erge con tutta la sua forza. Il cantante gesticola enfaticamente dall'alto del pulpito cimentandosi, senza microfono, nelle prodezze vocali più assortite. La potenza vocale è indubbia, ma anche il range è vasto, dalle basse frequenze di rantoli che, ribollenti nel catarro, sconfinano nel canto gregoriano, ad acuti lancinanti e raschianti grida, passando per bisbigli e risate fragorose da teatro degli orrori. E’ veramente un monologo assurdo, quello di Attila, peccato solo che ai primi vocalizzi black qualche idiota del pubblico si è sentito di rispondere con ulteriori schiamazzi, tanto che secondo me Attila avrà pensato “ma che cazzo di coglioni”. Sia quel che sia, è stata davvero un'esperienza potente quella di vedere questa figura inquietante, tutta nera su sfondo rosso e celeste, agitare le braccia dall'alto del pulpito ed emettere suoni gutturali nel silenzio ovattato di una chiesa. E' anche la dimostrazione della capacità dell'artista di appropriarsi degli spazi ed in base ad essi plasmare la sua performance

Senza smettere di berciare il Nostro riprende la lanterna in mano e claudicante scende dalle scalette a chiocciola riposizionandosi dietro all'altare completamente ricoperto da un stendardo riproducente simbologia esoterica. Poggiata la lanterna ad un lato dell’altare a fare coppia con un'altra lanterna collocata al lato opposto, prende solennemente il microfono in mano, si aggiusta un auricolare sotto il cappuccio e dà inizio al concerto vero e proprio. 

Come era lecito aspettarsi, quello dell’“Attila avanguardista” è un modus operandi che procede per accumulo: registra tracce vocali in presa diretta, le processa, le spara in loop e sovrapponendole fra loro finisce per ergere una sontuosa sinfonia di voci ed effetti creata seduta stante. Va riconosciuto che egli si muove con grande sicurezza, disinvoltura e professionalità. Musicalmente, siamo dalle parti dei primi Current 93, quelli di album epocali come “Nature Unveiled” e “Dogs Blood Rising”: un industrial di matrice occultista che si è andato a giovare dell’estro e del mestiere di uno che la storia della Musica Estrema l’ha fatta per davvero. Vocalmente Attila non scherza, prodigandosi in contorsioni vocali degne di una Diamanda Galàs d’antan o di un David Tibet di decenni fa, con sconfinamenti nel black metal più rituale e sperimentale che fan venire in mente i vecchi Abruptum
 
L’esibizione si è giovata anche di un notevole impatto visivo, non solo dovuto al carisma, al magnetismo ed alla figura morbosa del performer, ma anche ad una messa in scena di luci ed immagini, con raffigurazioni pittoriche di diavoli e demoni proiettate sulla parete alle spalle dell’altare: un insieme di cose che ci ha veramente fatto sprofondare nei miasmi di un rituale pagano di grande suggestione. L’ora di durata dell'intera esibizione, in definitiva, è sembrata durare un’eternità, avendo il Nostro totalmente annientato ogni tipo di riferimento spazio temporale. Conclusa l’esibizione, Attila tradisce un lampo di umanità lanciando al pubblico uno sguardo di riconoscenza e ringraziamento. 

Che dire, si torna a casa con la sensazione di aver vissuto qualcosa di unico, a maggior ragione se si pensa che oggi giorno la dimensione live è sempre più percepita come un “lavoraccio” per chi sta sul palco, con esibizioni che si ripetono identicamente sera dopo sera e vissute senza un filo di passione. Attila, invece, non solo ha confermato la stoffa del Grande Artista (anche oltre ogni lecita aspettativa, coniugando in modo credibile avanguardia, esperienza misterica e performance visiva, riuscendo nell'ardua impresa di fuggire al ridicolo anche nei momenti più improbabili), ma ha anche dimostrato di credere in quel che fa: di credere fermamente nella sua missione artistica, interdisciplinare, concettualmente raffinata, votata inesorabilmente all’Estremo. Questa, ragazzi, è musica dal vivo!