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1 nov 2025

VIAGGIO NEL DUNGEON SYNTH: HEDGE WIZARD

 

Più vero di un incantesimo, Hedge Wizard, “More True Than Time Thought”(2014) 
 
Oggi parliamo di un autentico instant classic del dungeon synth della seconda ondata, un lavoro che fin da subito (correva l'anno 2014) ha saputo conquistare i cuori degli appassionati di queste sonorità tanto da figurare con sistematicità ai piani alti di pressoché tutte le principali classifiche dei migliori album di sempre del dungeon synth. 
 
Parliamo di “More True Than Time Thought” del progetto Hedge Wizard. E’ bastata una mezz'oretta a questo misterioso signore dell’Ohio per entrare nella storia del genere e rimanerci (del resto, si è visto, il dungeon synth si muove attraverso dinamiche proprie che sono al di fuori delle logiche tipiche dell’industria musicale). 
 
Lunga barba rossastra, orecchie a punta e passamontagna con le corna: è anch’egli, a modo suo, una figura iconica del dungeon synth, assieme al maestro Mortiis ed al coevo Erang. Nonostante un’immagine poco credibile (ma decisamente simpatica), il Nostro ha molto da offrire sul fronte della musica realizzata. Non molta, a dire il vero, visto che la sua discografia conta ad oggi solamente il debutto appena menzionato, i dieci minuti scarsi dell'EP "Local Portal" del 2017, il secondo full-lenghtNeighborhoods”, pubblicato nel gennaio del 2024 (quasi un decennio dopo il debutto!), ed il brano "Miss Warlock", rilasciato nel medesimo anno a confermare una certa ripresa delle attività da parte del maghetto... 

Dopo cotanta introduzione non dovete adesso aspettarvi l’opera epocale che ha sancito lo spostamento dell’inclinazione dell’asse terrestre. “More True Than Time Thought” innova, ma senza farsi notare, celandosi dietro l’arida coltre di suoni che sembrano prodotti da strumenti-giocattolo. La rivoluzione di Hedge Wizard è sotterranea e si mimetizza dietro un'attitudine devotamente old school. “More True Than Time Thought” non introduce dunque nuovi stilemi, né offre passaggi virtuosi o accostamenti arditi: tutto suona come nel 1997, ma è il modo con cui quel linguaggio viene utilizzato a fare la differenza, ossia attraverso intrecci melodici per niente banali che suggeriscono che il Nostro sia un musicista più preparato di quanto voglia far credere. Hedge Wizard ci conquista, in definitiva, per la sua umiltà e “More True Than Time Thought” per la semplicità: espressione vivida della freschezza di un movimento che stava riemergendo dall’oblio. E non è poco. 
 
Si è già detto che nei primi anni dieci del nuovo millennio qualcosa ha iniziato a muoversi per quanto riguarda il recupero di certe sonorità. Con il tempo questi contributi, inizialmente sparuti, sarebbero divenuti numericamente importanti, e già nella seconda metà del medesimo decennio progetti connessi alle sonorità dungeon synth si sarebbero moltiplicati in modo esponenziale. Hedge Wizard è stato indubbiamente fra i primi mover di questa seconda ondata, esponente di spicco di quel manipolo di primi coraggiosi che hanno saputo rinforzare le fila di un esercito che di lì a poco avrebbe marciato con gran sicurezza. 
 
Hedge Wizard e “More True Than Time Thought”, dunque, hanno tutte le carte in regola per imporsi come dei classici del genere. Il monicker anzitutto, che trae ispirazione dal mondo immaginario della saga letteraria “Cronache del ghiaccio e del fuoco” (“A Song of Ice and Fire”) di George R. R. Martin (poi divenuto un universo espanso tramite il contributo aggiunto di fumetti e videogiochi): Hedge Wizard - lo dico a beneficio di chi non fosse dentro questo universo - è il mago-erborista del continente occidentale (Westeros) che utilizza, oltre ai mezzi di guarigione tradizionali, incantesimi ed amuleti al fine di curare i malati ed aiutare i bisognosi. 
 
Poi la copertina del disco, deliziosamente artigianale e naive, a metà strada fra le illustrazioni di un libro di incantesimi, la cover di un vinile di space-rock degli anni settanta e il disegno di un bambino: un senso di autenticità che molte altre copertine, più digitalizzate, si sognano. 
 
Quanto alla musica, stupisce come in spazi decisamente ridotti (si hanno otto strumentali di breve durata, oscillanti fra i tre e i quattro minuti) si sia in grado di scavare in profondità, immergendo l’ascoltatore in atmosfere arcaiche, dimensioni al di fuori dello spazio e del tempo fra anelli di pianeti sconosciuti e miasmi di pozioni magiche. 

Le composizioni, dotate di un grande magnetismo, si muovono con lucida coerenza ed omogeneità lungo coordinate stilistiche che potremmo definire burzumiane. A venire in mente, infatti, sono album come “Dauði Baldrs” e “Hliðskjálf” (ne sono una vivida rappresentazione la spudoratissima “Odd Times” - che non voglio vedere come un plagio ma come una affettuosa citazione - e la roboante “Cemetary Violence”). 
 
L’approccio è dunque minimale e il modus operandi è il medesimo del maestro norvegese: i brani si vanno a costruire sull’intreccio di due linee melodiche, ossia un accordo lungo ed un arpeggio a dare forma alla melodia portante. Della poetica burzumiana si recupera principalmente la dimensione cosmica delle strumentali piuttosto che la componente medievaleggiante, accentuandone il carattere ipnotico ed ossessivo. Poi però il discorso si sviluppa in modo autonomo in luoghi lontani dalla ripetitività e dalla noia, approdando, da un punto di vista tematico, ad un immaginario fantasy, in primis stregonesco, che sicuramente guarda anche alle atmosfere da “Apprendista Stregone” messe in piedi da Mortiis nel classico “Crypt of the Wizard”. 
 
L’armamentario sonoro è stringato, come del resto deve necessariamente essere: grevi suoni di oboe e bassi a corda, harmonium tremolanti, rintocchi di arpa e pianoforte, avvolgenti passaggi di mellotron, archi stiracchiati e percussioni a mano compongono l’orchestrina sintetica del Nostro che ovviamente compone le sue alchimie sonore ricorrendo all’impiego di una strumentazione vintage per restituirci i classici suoni da tastiere anni ottanta/novanta, con quei fruscii (il lavoro usciva originariamente in cassetta) di cui non possiamo più fare a meno. 
 
Come si diceva sopra, la forza sta nel mettere in campo una sequela di idee melodiche tanto semplici quanto suggestive, e sebbene vi siano tutte le caratteristiche per conferire al prodotto un fastidioso alone di "già sentito", questo miracolosamente non accade, a dimostrazione che il lavoro brilla di una luce intrinseca. E il fatto che non sappiamo spiegare dove stia il trucco rende l'ascolto ancora più affascinante.  
 
Insomma, “More True Than Time Thought” è un vero must per ogni cultore del dungeon synth che si rispetti. E siccome la classe non è acqua, nemmeno il successivo “Neighborhoods” deluderà le aspettative. Si è visto che molti ritorni in sella da parte di vecchie glorie del dungeon synth non ha corrisposto a lavori di qualità eccelsa (vedi Solanum), insinuando il sospetto che in molti casi si sia trattato più che altro di una mossa opportunista indotta dall'accresciuto interesse, in tempi recenti, di tali sonorità. Ma non è questo il caso di Hedge Wizard che torna sulle scene con un lavoro estremamente valido. In esso non si snatura lo stile nè l’impostazione, ma si capisce che l’album può giovarsi di qualche accorgimento tecnologico in più rispetto al predecessore. Personalmente parlando ci sento l’influenza delle colonne sonore - quelle più industrial oriented - dell’immenso Hans Zimmer, ma forse (anzi, sicuramente) è solo una mia impressione.
 
Non possiamo dire con certezza se Hedge Wizard, attivo anche sul fronte live, sia definitamente tornato fra noi, ma anche solo per la splendida mezzoretta di “More True Than Time Thought” egli è senza dubbio da vedere come uno dei campioni più credibili del movimento revivalistico che ha resuscitato il dungeon synth nell'affollato nuovo millennio...