"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

10 set 2015

MORTIIS: DAI “MAGHI NERI” ALLA PIOGGIA FETENTE




I MIGLIORI DIECI ALBUM NON-METAL FATTI DA BAND/ARTISTI METAL

8° CLASSIFICATO: “THE SMELL OF RAIN”

Dall’appassionato cantautorato di Steve Von Till, anima dei Neurosis, allo shoegaze sognante dei francesi Alcest, passando dal fluido rock psichedelico messo in campo dagli Opeth: fino a questo momento la nostra rassegna dei dieci migliori albumnon-metal fatti da band/artisti metal ci ha fatto conoscere ballate acustiche, sonorità soft e melodie cangianti. Ma non-metal non significa solo atmosfere crepuscolari e malinconiche, una voce pulita ed una chitarra più o meno acustica. Ce lo spiega Havard Elefsen, in arte Mortiis: con l’ex bassista degli Emperor entriamo in discoteca e scuotiamo un po’ il culo. Sì, proprio Mortiis, quel bislacco personaggio dal naso aquilino e le orecchie a punta che sembra uscire da un incubo di Clive Barker (e già, non proprio la quintessenza del truzzo danzante!). Con Mortiis, invero, assistiamo ad una delle parabole artistiche più assurde che la Musica Tutta abbia mai conosciuto.

Pensateci bene: in quale altro universo, se non nel vulcanico mondo del metal, poteva capitare una cosa del genere? Signore e signori, ecco a voi la storia di Havard Elefsen, in arte Mortiis.

Il quindicenne Havard Elefsen, giovane bassista norvegese, agli albori della decade novantiana militava nientemeno che in una delle più grandi band black metal di sempre: gli Emperor. Ma attenzione: non troveremo traccia del suo plettro nel mitico “In the Nightside Eclipse” (nel quale suonerà il suo successore Tchort), perché qualche tempo prima (nel 1993 per l’esattezza), terrorizzato dalle vicende sanguinarie dell’Inner Circle, decise di togliersi dalle palle e cambiare aria, trasmigrando nella confinante Svezia. Voci di corridoio vogliono che sia scappato per via delle ritorsioni temute per aver spifferato alla polizia dettagli che poi avrebbero incastrato il suo compagno di band Faust, nel frattempo arrestato per aver ucciso a sangue freddo un omosessuale (mi ricordo ancora l’intervista del batterista, già dietro alle sbarre, in cui giurava impietosa vendetta nei confronti di quell’infame dell’ex collega). Il bassista dette una versione diversa della vicenda, affermando di essersi trasferito in terra svedese per amore, visto che là viveva la sua fidanzata. C’è addirittura chi sostiene che si sia sottoposto ad un’operazione di chirurgia plastica per allungarsi orecchie e naso al fine di non farsi riconoscere (punto di vista alquanto opinabile, dato che sarebbe stato proprio un coglione a ridursi in quello stato ed al tempo stesso non cambiare il nome d’arte; non considerando, inoltre, il fatto che in generale conciarsi come un pagliaccio non è il miglior modo per passere inosservati…).

Gossip a parte, il buon Mortiis ebbe modo di partecipare solo alle sessioni dell’EP “Emperor”, debutto discografico della band, edito nel 1993 in uno split con gli Enslaved. Il suo lascito artistico però, più che fra le corde del basso (poca roba nell’economia del suono degli Emperor e in genere di qualsiasi band dedita al black-metal), è da rinvenire nei versi che ha scritto per due brani formidabili quali “Cosmic Keys to My Creations and Time” e “I Am the Black Wizards” (grandissimo titolo!). In entrambi i testi (per i quali il bassista viene accreditato come co-autore insieme al cantante Ihsahn) possiamo già cogliere in embrione quella che poi sarà la missione artistica del piccolo/grande Mortiis: creare mondi.

Non manca l’immaginazione al ragazzo, che ama spaziare nella vastità creatrice della sua mente e ritrarre paesaggi maestosi che non sarebbe fuori luogo accostare alla famigerata Terra di Mezzo di tolkienana memoria: elfi, orchi, maghi (neri!) popolano questi mondi sanguinari in cui battaglie cruente e sortilegi sono gli elementi fondanti. Un’indole solitaria e visionaria che lo porterà di fatto a gestire un progetto tutto suo che prenderà il nome proprio dal suo stesso pseudonimo Mortiis (verrà poi svelato in un’intervista che la genesi di questo nome fu dovuto all’ignoranza del musicista stesso che probabilmente non andava troppo bene in latino, considerato il fatto che la parola mortiis non esiste e non è altro che una storpiatura della lingua latina).

Fatto sta che il progetto Mortiis nasce come una one-man-band dedita ad un dark-ambient medievaleggiante, a dirla tutta un po’ prolisso. Per un po’ di tempo, tuttavia, sarà questo il medium artistico tramite il quale il Nostro preferirà esprimersi: è sempre del 1993 il suo esordio discografico da solista “Fodt Til a Herske”, a cui seguiranno diversi lavori più o meno simili, via via affiancati da altri progetti più o meno simili (Fata Morgana, Cintecele Dravolui e Vond).

Il nome Mortiis, pertanto, verrà associato per diversi anni ad una musica evocativa, ma sostanzialmente piatta. Il culmine di questo percorso (definita dall’artista stesso Era I) sarà “The Stargate” del 1999 (vi ricordate l’esilarante copertina con Mortiis ritratto in versione alata?), nel quale si introducevano nuovi elementi, come chitarre acustiche e voci femminili (per l’esattezza quella di Sarah Jezebel Deva, già collaboratrice di lunga data con i Cradle of Filth). Tutt’altra musica, invece, con l’album di rottura “The Smell of Rain”, del 2001, unico rappresentante dell’Era II (già con il successivo “The Grudge”, del 2004, verrà inaugurata l’Era III, in cui il progetto diverrà una band vera e propria).

Ma cosa succede nella fatidica Era II? Una delle metamorfosi più assurde che si siano mai verificate nella storia della musica recente. La virata musicale è sconcertante, tanto che della passata produzione artistica di Mortiis non rinveniamo praticamente nulla: da elfo evocatore di mondi fantastici, Mortiis si mette a fare elettronica, e quella più truzza che possiamo concepire. Il Nostro canta, suona la chitarra, il basso, le tastiere, sta dietro all’attività di programming e cura la produzione in prima persona: la musica di cui è autore diviene una sorta di pop/rock meticcio a metà strada fra industrial rock, techno piaciona e synth-pop dal sapore vintage. In essa troviamo stralci di Nine Inch Nails, Marylin Manson, Moby, Enigma, New Order, primi Depeche Mode, persino Glenn Danzig (artista per altro citato fra le maggiori influenze, e si sente).

Il risultato è una pacchianata allucinante (a partire dal titolo – ma che diavolo è “La puzza della pioggia”?!?), ma rende meglio di molte altre prove di metallari illuminati passati repentinamente alla causa dell’electro-pop. Abbiamo citato nell’anteprima il triste esempio dei Paradise Lost, che proprio non ci sono piaciuti in “Host”, ma potremmo menzionare anche le prove fallimentari di Sundown (progetto a quattro mani diviso fra Mathias Lodmalm dei Cemetary e Johnny Hagel dei Tiamat) o certe derive electro poco riuscite degli stessi Tiamat e dei Moonspell. Mortiis, a non sapere né leggere né scrivere, realizza un prodotto intrigante che fu salutato (dai pochi che se accorsero) come un lavoro fresco ed elettrizzante.

Il problema di questi lavori, come già sostenuto in precedenza, è che non vi è in vero target di pubblico con cui confrontarsi: quando un artista esce dal metal rischia di perdere i propri fan e di non guadagnarne altri, visto che farsi conoscere fuori dal confini del metallo non è semplice, nemmeno se si sfornano lavori eccellenti. Per quei pochi che per congiunture astrali si trovano nel posto giusto al momento giusto (o, potremmo dire, nel posto sbagliato al momento sbagliato, e io mi ci sono trovato spesso), imbattersi in lavori del genere può essere un’esperienza interessante. Da metallaro poco esperto di elettronica quale ero all’epoca, il tutto mi gustava alquanto. Oggi, che sono un po’ più scafato sull’argomento, mi sento di confermare che questo esperimento non è affatto male. Il termine adatto per definirlo è efficace: i beat elettronici picchiano che è una bellezza e tutte le altre cose (voce e chitarre comprese) sembrano stare nel posto giusto, sebbene non si rinunci a qualche pagliacciata ereditata dal passato “gotico” (tipo i cori operistici della sempre presente Sarah Jezebel Deva).

Probabilmente l’indole che originariamente spinse il piccolo Havard Elefsen a comprarsi un basso può essere ancora rinvenuta nell’attenzione dedicata alle basi ritmiche ed ai bassi, in effetti ben commissionati fra loro. Ma il sound allestito è comunque corposo e ricco, ricordando quell’elettronica paesaggistica e dal flavour epico di cui Moby (ruffianerie a parte) è stato un buon interprete. Le chitarre ritmiche non mancano a dare solidità al tutto, anche se il loro ruolo è secondario e lontano dalla potenza che esse potrebbero avere in formazioni come Rammstein o Ministry. La prova dietro al microfono dell’ex poeta degli Emperor, infine, si amalgama assai bene con il resto: ampiezza vocale al minimo, voce rigorosamente nasale e spesso filtrata, ma credibile nel ritrarre scenari di degrado urbano ed acido intrattenimento. Melodie scontate, certo, ma sempre ben sorrette e trasportate dalle robuste basi ritmiche, in certi casi al limite della jungle più scatenata. Insomma, non si capisce bene come, ma il tutto funziona, sebbene si abbia il sentore di trovarsi in un tragico equilibrio in cui tre zoppi (voce, melodie, ritmo) si sorreggono a vicenda (ma che invero riescono assai speditamente a giungere a destinazione). 

Cosa più importante di tutte: zero velleità intellettuali. Mortiis è serio (perché gestisce il suo cambiamento con grande professionalità), ma non si prende su serio: porta avanti onestamente la sua metamorfosi artistica, divertendosi e divertendoci, senza sfondarci le palle con sproloqui e verbosità di cui fra l’altro non sarebbe stato nemmeno capace. Del resto, che vi sia dietro a tutto una bella dose di ironia, si capisce dai videoclip che ritraggono il nostro eroe (sorta di orripilante Marylin Manson elfico de’ noantri),  in versione “urban”, con tanto di giacca di pelle, dreads e braccia tatuate, ma sempre con quel naso e quelle orecchie da folletto sradicato violentemente dalla sua foresta e gettato sull’asfalto sconnesso di una metropoli degradata!

Ma al di là dell’indice di gradimento che può riscuotere un’operazione del genere, quello che continua a colmarmi di stupore è aver assistito a questa strana vicenda artistica di cui Mortiis è venuto ad essere protagonista: prima bassista in una band black metal, poi fautore di un dark-ambient di matrice fantasy, infine alfiere di un industrial-rock che ambisce a far ballare scoordinati darkettoni nei club alternativi di tutto il mondo. Ve lo ripeto ancora una volta: avete visto cose del genere al di fuori del metal?