Kenya, uno dei paesi africani più noti all'uomo della strada. Negli anni '80 meta di turismo di vario orientamento. Il dato più inatteso è la presenza della comunità religiosa di cristiani quaccheri più grande del mondo. Da noi il Kenya è sempre stato famoso per altro. Natura selvaggia, ma anche:
“Ma tu eri a Malindi, nel
gruppo di Ghino, Manfredi....?”
Tratto da “Stasera a
casa di Alice” di Verdone, è una citazione che a sua volta
ripropone la più celebre
“Ma che frequenti il gruppo der Vichingo a Fregene? Conosci Franca, Manlio...?”
“Ma che frequenti il gruppo der Vichingo a Fregene? Conosci Franca, Manlio...?”
Malindi, in particolare,
divenne famosa come luogo di vacanze di ricchi in cerca di
trasgressioni (che poi si trovano anche in qualsiasi angolo
dell'Italia più provinciale); ricordo in particolare il caso dell'allora Ministro Martelli e degli spinelli.
Decido di iniziare alla
grande con The Seeds Of Datura, presentato come grind-death e
autore di un EP omonimo. Scorro qualche foto e vedo un preoccupante
tizio vestito come Bob Marley. Soprattutto però il primo video che
compare dice “Kenyan rock band”...sto incredulo ad ascoltare una
versione di “Californication” dei Red Hot Chili Peppers con
ritornello berciato con il growl. C'è anche la versione definita
“doom” in un altro video...uguale. Se volete li potete ingaggiare
per la vostra festa, così recita la didascalia.
A parte questi video
fuorvianti, in cui si rabbrividisce vedendo un headbanging sulle note
di "Californication", quando suonano la loro musica in realtà
fanno dell'apprezzabile death doom, solo più dinamico. … Almeno
in un brano, perché nell'altro fanno pop-ambient, in un altro
suonano un brano di rock melodico dal titolo “No one is born
racist” per poi deturparlo con urla belluine e totale anarchia
ritmica.
Va bene, dai, era un
passo falso? Per fortuna sì, c'è ben altro in Kenya. Abbastanza
per giustificare un breve documentario, in cui un DJ ci riporta
subito all'impostazione esistenziale propria del Metal Africano. Una
musica di emancipazione in senso positivo, come scarica delle
“scorie” mentali e incitamento alla crescita personale. Per
questo i (pochi) gruppi che trattano temi macabri o satanici ci
tengono a rimarcare l'assoluta estraneità al satanismo e al culto
della violenza, laddove nel mondo più ricco lo stesso tipo di gruppi
millanta inesistenti coinvolgimenti con l'occulto.
Irony Destroyed
assemblano insieme melodic death, riffing techno thrash e growling
poliedrico (quando più tagliente, quando più cavernoso) in un
flusso ritmico altamente instabile. L'assemblaggio è un po' da
officina, ogni tanto la batteria va in pausa caffé, e sembra suonata
con gli shanghai. La chitarra a tratti si ritrova da sola a pompare,
si ferma e cambia binario. Il tutto quindi suona un po' troppo come
una “prova”, anche se la varietà di riff che il chitarrista si
inventa è sufficiente per un paio di lp. Irrompe dopo un quarto
d'ora una voce femminile pulita giustapposta a quella maschile.
Per rimanere sul death
melodico, ma meglio registrato e assemblato, con ricercatezze
cacofoniche più volute e particolari, allora i Lust of a Dying Breed
(a parte il terrificante gioco di parole del nome). Non c'è molto
materiale subito disponibile on-line, ma il progetto sembra più in
linea con il death europeo, sia nell'iconografia che
nell'impostazione.
Absence of Light. Il loro
EP su YouTube si attira le ire di commentatori cristiani: “Dio
esiste e vi punirà tutti!”. Sbrigativamente etichettati come
deathcore, i nostri suonano un death-grind dalle sfumature
orientaleggianti, in barba all'Africa. Anche perché i nostri
dell'Africa se ne sbattono i cosiddetti, visto che sono indiani (ma residenti a Nairobi), e
dal titolo e dalla copertina del disco “Vyom Chakra” si
cominciava a sospettare qualche incongruenza. Buon death metal in
gran parte strumentale, il che secondo il mio parere lo rende più
interessante.
Dio sicuramente, se
esiste, non punirà invece gli In Oath. death-grind con tematiche
cristiane (si direbbe). Buona fattura, in linea con tutto il grind
africano, che per ora non ha mai deluso.
Mortal Soul. Qui siamo
sul metal core africano, una sorta di pop metalizzato, in cui
l'elemento peculiare è costituito dal timbro growl che irrompe a
tratti, o per segmenti interi, brutalizzando, ma con misura, l'insieme.
Un genere che in Europa non si trova tale e quale, ma che
prossimamente potremmo vedere a programmi tipo X Factor. Nonostante
gli autori Africani affermino di suonare “contro” il sistema
discografico che privilegia musica etnica o pop innocuo, questo
filone del pop-core appare sempre più come un tentativo empirico ma
non ingenuo di conciliare la durezza del metal con l'esigenza
dell'orecchiabilità. Qualche guizzo d'orgoglio ce l'hanno i nostri,
verso lidi più power metal, o thrasheggianti, il che li fa suonare
come vicini a certo post-death metal melodico, ormai sciolto
nell'acido di melodie pop o dark. Alla fine, il metal-core africano è
un genere di confine, come poteva essere per il mondo occidentale
l'hard rock, o il metal prima dei generi. La stranezza sta nel fatto
che mentre quello attingeva ai generi rock per stemperare elementi
metal isolati, quasi sempre chitarristici, qui si attinge al metal
per appesantire strutture-canzone sostanzialmente rock.
Anche i Last Year's
Tragedy fanno librare nell'aria il loro metalcore che procede bene
tra tastiere e vocalizzi death, su architetture meno ancorate alla
forma canzone, e più progressive. Qui si fa evidente dai titoli
quello che già abbiamo detto più volte: la malinconia (uno dei
brani è dedicato ad un amico scomparso) è convertita in energia
positiva e in speranza, e il metal è la chiave espressiva di questa
speranza. Titoli come Generazione Luce o Marcia fuori dal
sottosuolo, e anche Sfida accettata. Prendiamo il testo di
quest'ultima: un'invocazione ad un'entità, che può essere Dio come
la propria forza interiore, a superare il caos e restituire un senso
alle cose, una prospettiva, un orizzonte. Con gli stessi strumenti e
la stessa base sonora i My Dying Bride avrebbero costruito un inno al
suicidio. Qui la sequenza è invertita: dal buio la luce, e non dopo
la luce il buio. E' una sorta di anti-doom, o undoom, per coniare un
nuovo termine. Il ribaltamento del destino negativo, anziché la sua
scoperta, è al centro delle fantasie del metallaro africano.
Il vagito black metal che
esce dal Kenya è decisamente confuso. Il cantante degli Irony
Destoyed, da solo, mette in piedi un progetto di atmospheric black
metal (Nelecc) dalla facciata convincente ma dalla musica che è più
doom che altro. Niente di originale, e anche l'idea non è molto
solida. Parlare della fine del mondo, del fatto che
tutti torneremo polvere, il giorno del giudizio etc, che – dichiara
lui – in effetti a pensarci mette un po' angoscia. Un doom
egodistonico, cioè come si dice in psichiatria uno che canta, contro
la propria volontà, cose che gli mettono più angoscia che altro. Ma
deve farlo, rispondendo a qualche bisogno ancora più ancestrale che
ancora non ha messo a fuoco.
Val la pena di citare,
anche se siamo più dalle parti del rock duro che del metal
propriamente detto, i Rash. Esilarante, ma presumo in maniera
involontaria, il video di "Usiku Mbaya", dove si narrano i danni che
può fare l'alcol, specie se bevuto in bicchieracci di plastica
bianca e in baraccopoli dove sopravvivere non è scontato. I nostri
cavalcano tematiche bacchettone: niente alcol, i videogiochi e i
telefonini ci rendono automi. "Misafiri" narra il viaggio senza
ritorno in cui i tossicodipendenti scelgono di imbarcarsi...vi
garberebbe eh? E invece no. I tossicodipendenti si curano e possono
benissimo star bene. Anzi, proprio quest'anno ho assistito ad una
presentazione di medici kenyoti ad un congresso a Baltimora, in cui
spiegavano come sono riusciti a far partire i primi ambulatori per
tossicodipendenti a Nairobi. Quindi, cari Rash, meno prediche e più
metal.
Ma la palma della
performance migliore la vincono i REVA. Presumo sia una specie di
scherzo, il cantante blatera con il tono di chi canticchia in auto con dietro
lo stereo acceso (ascoltare “Satan is real”). Un altro brano,
analogamente sembra un brano di un gruppo metal normale con sopra una
voce che blatera per quattro minuti “Unataka Nini”, ovvero in
swahili cazzo vuoi?. Ma al di là di tutto è innegabile il
valore comico della versione acustica di “The trooper”,
registrata dal vivo in presa diretta in occasione del live in Nakuru
del 2007 (credo di conservare ancora intere riviste dedicate
all'evento). Il pubblico (migliaia di persone) se ne stanno
religiosamente in silenzio, così da creare la suggestione di una
registrazione effettuata in camera propria nella tristezza più
totale. Bella l'idea del disegno di Derek Riggs modificato con la
bandiera del Kenya al posto di quella Inglese, che fa da sfondo al
video di Luanda Magere.
Il Kenya, in questa
indagine, appare come una sorta di crocevia, equivalente all'Angola sulla costa opposta. Per rendersi conto di cosa spinga i giovani
africani a suonare metal val comunque la pena di vedersi dei
reportage sulla musica popolare tribale, tipo sagra del pinolo, con
tanto di sfilate in costume e animatori
https://www.youtube.com/watch?v=bGMQkZMycow
Ecco perché Nelecc
costringe se stesso a suonare un doom metal che lo fa intimamente
soffrire, pur di sottrarsi a tutto ciò.
Perdoniamo anche i Reva, che millanta performance live dallo stanzino delle scope.
A cura del Dottore