Avevo già visto gli Anathema due volte dal vivo, ma in
entrambi i casi i Nostri suonavano come gruppo spalla: una volta prima dei Porcupine Tree (fra l'incombere della
ingombrante strumentazione dei Porcospini
ancora ricoperta dai tendoni, costretti in quei sei metri quadrati cortesemente
concessi da Wilson) e l'altra prima
di Sua Maestà Akerfeldt e i suoi Opeth
(con un set risicato di soli sette
pezzi per non togliere troppo spazio ed attenzioni al Re). Converrete che non sono di certo queste le condizioni ideali
per apprezzare dei grandi artisti come gli Anathema. E dunque eccomi qua, per
la terza volta, sotto al loro palco
per capire di che pasta sono fatti i fratelli
Cavanagh finalmente in uno show
tutto loro!
Ma prima, una gradevole
sorpresa: gli Alcest…
Purtroppo per via di un
contrattempo in metropolitana giungo all'O2
Shepherd's Bush Empire a concerto iniziato. Certo, i francesi non potevano
riservarmi un'accoglienza migliore, visto che il mio ingresso coincide con le
note di "Là où Naissent les
Couleurs Nouvelles". Entrare in un posto mentre suonano gli Alcest è
come entrare in una stanza con Jennifer
Lawrence nuda sul letto che ti aspetta per fare l'amore: "troppa
bellezza" per realizzare cosa sta succedendo ed apprezzare all'istante.
Sono ancora sobrio, decido
quindi di “riscaldare i motori” con una prima birra. Mi guardo intorno: l'O2
Shepherd's Bush Empire è un locale un po' pacchiano dai leziosi interni
barocchi come ne ho visti altri a Londra (il Koko, il Troxy per
esempio), con ben due livelli, più la piccionaia. Si capisce che non siamo nel Tempio del Metal, ma l'ambiente è accogliente,
i baristi simpatici, i suoni puliti, suggestive le luci blu e verdi. Mi muovo
agevolmente fra una massa umana che
non riesco subito a codificare, sebbene sia abbastanza frequente imbattersi in
magliette degli Alcest, a dimostrazione che stasera non sono tutti venuti per i
fratelli Cavanagh.
Come gli Anathema, gli Alcest
muovono dal metal verso forme sonore "altre" che hanno saputo nel
tempo attrarre un pubblico trasversale, senza però mai sfondare nel mainstream, nonostante l'indiscutibile appeal radiofonico di certe loro
composizioni. A dimostrazione che i tentativi di commercializzazione del sound intrapresi con "Shelter" non siano stati coronati
dal successo sperato, ecco che l'anno scorso è uscito "Kodama", con i quali i Nostri son
dovuti correre ai ripari recuperando certi stilemi del metal estremo come il blast-beat e lo screaming burzumiano. Ad ogni modo gli impasti sonori dello shoegaze si plasmano così bene con
l'intensità del black metal e il
talento melodico di Neige che
francamente diviene cosa oziosa condannare la parziale marcia indietro della
band e prevedere se ciò costituirà in futuro un vicolo cieco.
Il concerto, piuttosto breve, va
inteso come un'esperienza unica in
cui i brani si confondono e confluiscono in uno splendido flusso sonoro.
L'impianto di base è post-rock, e il
post rock (chiunque lo suoni), con le sue melodie, i suoi crescendo, le sue
pause e le sue ripartenze, seppur procedendo sui binari della prevedibilità, si
conferma il genere più emozionante che ci possa essere. Ma anche gli Alcest ci
mettono del loro, facendo pesare lo status di inventori del "blackgaze" ed optando per una
scaletta snella che sa bilanciare vecchio (i classici "Autre Temps" e "Percées de Lumière") e nuovo (gli
estratti da "Kodama", fra cui primeggiano i dieci minuti della
titanica "Eclosion").
Grave pecca, per quanto mi riguarda, l'aver tralasciato in toto il capolavoro
"Souvenirs d'un autre Monde",
ma del resto non si può avere tutto dalla vita.
La band suona affiatata e sa
offrire una prestazione senza sbavature, salvo le prevedibili incertezze nel
canto di Neige che sul fronte del pulito mostra quelle debolezze che sono
ampiamente intuibili già su disco (provvidenziale sarà il supporto dietro al
microfono del secondo chitarrista). Apice della serata, indubbiamente, rimarrà
la coda infinita di "Déliverance"
(brano conclusivo del vituperato "Shelter" e del concerto di stasera),
fra sublimi intrecci di chitarre, solenni rullate e le due voci che si fondono
in melodie angeliche, il tutto immerso in un'atmosfera da sogno creata dal
sapiente uso delle luci: lacrime a
profusione, inutile dirlo.
Sapranno i "padroni di casa" Cavanagh fare di
meglio?