"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

29 ott 2018

I 10 MIGLIORI LIVE ALBUM DEL METAL: "SCENES FROM NEW YORK" (DREAM THEATER)


CAPITOLO 9: "LIVE SCENES FROM NEW YORK" (2001)

Li abbiamo presi simpaticamente in giro, costruito su di loro storielle grottesche, tra il serio e il faceto dissertato sulla lungaggine delle loro composizioni, ironizzato sui ravioli al vapore di Myung, ecc.

E, non troppo tempo fa, criticati seriamente anche nel merito qualitativo dei loro ultimi dischi.

Ma di certo abbiamo saputo anche elogiarli, perché, ai di là dei nostri gusti personali, la classe la sappiamo riconoscere. E le grandi capacità tecniche e compositive pure.

Quindi, nonostante non siano all’apice delle nostre classifiche quanto a simpatia, nella classifica dei migliori live del metal, a rappresentare la vasta branca del prog, non potevano che esserci loro, i Maestri della Berklee School. Il Teatro dei Sogni.

Perché, chi ha avuto la fortuna di vederli dal vivo, non può che ammettere che, per tutta la durata del concerto, si rimane lì, inebetiti, a bocca aperta, con la mascella penzoloni a pensare No, non può essere vero, non possono suonare in questo modo, sono irreali…

E’ invece sì. Non ci sono trucchi in studio che li fanno apparire meglio di quanto non siano poi anche sulle assi di un palcoscenico. Anche dal vivo quel quintetto pazzesco (LaBrie, Rudess, Portnoy, Myung e Petrucci) non sbagliava una nota, erano un caterpillar capace di suonare oltre tre ore filate senza steccare.

In tutta la produzione live dei newyorkesi, inseriamo “Live Scenes from New York” per due sostanziali motivi: da un lato è, banalmente, il più bello dei 5 live finora rilasciati. E in secondo luogo perché simboleggia la rinascita, il riscatto compositivo di Petrucci & co. Reduci dal bellissimo, ma criticato per la sua freddezza, “Awake”, dalla fuoriuscita dell’amatissimo Kevin Moore e dal disastro di “Falling into infinity” (seguito dall’altrettanto noioso live di supporto “Once in a LIVEtime”), i Nostri avevano dimostrato che, riassestando le idee e con l’innesto giusto al momento giusto (il mitico Rudess al posto dell’incolpevole ma bistrattatissimo Sherinian) i DT erano ancora il punto di riferimento del prog metal mondiale. E un capolavoro immane come “Metropolis Pt. 2: Scenes from a Memory” fu, nel 1999, la migliore risposta di merito a tutti i loro detrattori.

Il triplo live per 203’ di musica, oggetto di questo post (come noto pubblicato proprio nel giorno dell’attentato delle Torri Gemelle a Manhattan) è lo stato dell’arte della band all’inizio del terzo millennio (il live è la registrazione del concerto del 30/08/2000 al Roseland Ballroom di N.Y., oggi non più esistente), espressione diretta di quel momento di grande ispirazione che aveva dato i suoi frutti nel 1999 con il full lenght succitato. Tanto da spingere i Nostri a riproporlo per intero, quel “Metropolis Pt.2” (occupando la durata dell’intero CD1 e di parte del CD2), senza tagliare neppure un singolo brano (ovviamente la struttura del concept favorì tale scelta).

Se il CD2 verrà completato poi da un mix di brani tratti da “Images & Words”, “Awake” e, ahinoi, “Falling into infinity” (le pessime “Just let me breath” e “Caught in a new millennium”), sarà il CD3 a portare SFNY in un’ideale Olimpo dei live metal. Il terzo tomo dell’opera infatti dura 60 minuti per appena 3 canzoni (l’intera trilogia di “A man behind itself”, l’immortale “Learning to live” e la monumentale “A change of seasons”) a creare idealmente una summa dell’arte dreamtheateriana. Con buona pace di chi non li sopporta, questi 60 minuti sono la dimostrazione dell’allora superiorità tecnico-compositiva del quintetto.

Questo live segna quindi lo spartiacque tra la prima parte, sensazionale, della carriera dei DT e quella che seguirà dopo; una seconda fase mai particolarmente negativa, ma lungi dalle loro cose migliori dei nineties. Da quel 2001 in avanti, infatti, i DT si assesteranno su un livello discreto/buono/più che buono, con qualche colpo di reni notevole (ad esempio “Six degrees of inner turbolence”o “Octavarium”, la canzone, non il disco) nel quale però il mestiere prevarrà quasi costantemente sull’ispirazione.

Compendio ideale di oltre un decennio di carriera, SFNY è quindi uno splendido viaggio per chi, non avendoli mai sentiti (qualche marziano?) volesse conoscere i DT, immortalandoli al top della forma e dell’affiatamento. E in cui l’esecuzione dei brani riesce a coniugare in modo bilanciato le due caratteristiche cardine di un live di una prog band: fedeltà delle versioni originali + moderata (sic!) improvvisazione dei musicisti.

"Close your eyes and begin to relax. Take a deep breath, and let it out slowly. Concentrate on your breathing. With each breath you become more relaxed...”: seguite i consigli dell’ipnotizzatore e le successive tre ore e mezza della vostra vita saranno indimenticabili…

A cura di Morningrise