"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

8 lug 2019

ADLER'S APPETITE, E LA CATTIVA IDEA DI METTERE IL PROPRIO NOME AD UN GRUPPO METAL



Dicemmo già in altra occasione del percorso che portò Jon Oliva a fondare un progetto parallelo, Il Dolore di Jon Oliva. La natura di quel progetto, che alla fine poi fu una deriva sinfonica e teatrale dei  Savatage, fu il bisogno di ritagliare per sé uno spazio lirico separato, più per pudore e necessità di esprimersi a titolo personale, per rivangare un dolore irrisolto. La firma su quel progetto era forse un atto di umiltà, come dire: badate, è solo un mio progetto, ci tengo a precisarlo. Una diminutio rispetto al nome Savatage, sotto il quale la stessa musica avrebbe ottenuto, e ottenne, più attenzione. Ma anche un atto di onestà artistica, come per dire: guardate, io non esco dal mio dolore, e di quello voglio parlare; mi sento più a mio agio a farlo a titolo personale.

Di fronte a tanti che litigano sulla paternità di un nome famoso, per poi magari riproporlo in una salsa totalmente irriconoscibile, o autoplagiarsi, o pretendere un interesse rinnovato sulla fiducia, questo atteggiamento defilato di Oliva mantiene la sua dignità.

La maggior parte di questi progetti con il nome dell'artista sorgono, ahimé, dopo scissioni, o quando il progetto ricompare ma per onestà si fa il nome del superstite, come ad avvisare il pubblico che la formazione per il resto è cambiata. Qualcuno ha usato anche la trovata geniale di fare il reciproco, cioè per esempio: Black Sabbath featuring Tony Iommi, che vorrebbe dire i Black Sabbath con la presenza di Tony Iommi, presenza che era anche l'unica originale. Featuring si userebbe piuttosto per dire che sono quei Black Sabbath lì, del periodo in cui compare il tale musicista, o che sono i Black Sabbath con dentro in particolare quel personaggio (come ospite o componente straordinario).

Evita a priori questo tipo di problemi chi lavora con un progetto solista, o a suo nome intitolato, e quindi in realtà cambia formazione mille volte senza aver bisogno di rifare la facciata. Ozzy è sempre lui, anche se la sua fortuna è stata fatta anche da alcune formazioni memorabili che ha avuto. Poi ci sono i solisti che partono con un progetto da loro diretto, ma che presentano come tale, vedi i Malmsteen's Rising Force. Inevitabile che l'ego prenda il sopravvento, anche per l'instabilità delle formazioni, e alla fine diventi semplicemente Malmsteen e i Rising Force di turno.

In coda a questo tipo di soluzioni ci sono quelli che provano a ricordare da dove vengono, perché è la carta più alta che hanno. Capita di leggere cartelloni di concerti in cui accanto ad un nome che non dice granché c'è poi scritto (ex...). Cose tristi, un po' come quando si leggono i manifesti funebri con scritto “Gianna Verdi, vedova Rossi”, come a suggerire che la cosa più famosa che Gianna Verdi può vantare è essere stata moglie di un Rossi.

Per evitare questo effetto di auto-diminuzione, c'è chi dà il suo nome a supergruppi, ponendosi così come arbiter di un insieme di grandi nomi del metal, da coordinare e istruire nell'interpretare sue creazioni, come i Timo Tolkki's Avalon. Ma l'effetto può essere quello di un polpo che tenta di tenere insieme i cocci di un vaso.

E in tutto questo panorama di nomi, cade anche Steven Adler. Non pochi si chiederanno chi è, e lui lo ha previsto, dopo essere stato rimpiazzato come batterista dei Guns n' Roses. Infatti, dopo aver passato le bacchette a Matt Sorum, prova a collaborare con altri musicisti, usando il nome della band in cui suonava con Slash e Duff, prima dei Guns n' Roses. Non funziona d'altronde diluire il tuo nome, di per sé non automaticamente noto, con il nome di una band assolutamente sconosciuta, non mi pare chimicamente un bell'aggiustamento. Allora riprende il nome appetite da "Appetite for Destruction", e se li avoca: Adler's Appetite. Suona un po' una spacconata, “I Guns n' Roses sono io”, o comunque “I Guns n' Roses in versione mia”.

D'accordo, ci sono gli Slash's Snakepit, ci sono i Duff McKagan's Loaded, ci sono gli Izzy Stradlin and the Ju Ju Hounds. Nessuno di loro alla fine ha rinunciato a usare il nome in virtù al ricordo dei Guns che li hanno resi celebri, ma Adler è stato l'unico a voler rimarcare che andava avanti lui e rivendicava l'essenza dei Guns di Appetite. Un nome scelto fuori tempo, nel 2003 tutti avevano ormai capito che i Guns avevano qualche problema a produrre materiale nuovo e decente. Nessuno in verità sospettava che tale stallo dipendesse da Adler, coautore magari di un po' di materiale, ma non così centrale, e comunque già quasi fuori ai tempi di "Use Your Illusion". Forse anziché Adler's Appetite sarebbe stato meglio chiamarsi col nome che avevano pensato per primo, Suki Jones? Mah, francamente direi di no.

Il materiale degli Adler's a tratti somiglia ai Guns, richiamando proprio le linee vocali di alcuni brani, incluso uno stile vocale che ricorda quello stridente di Axl. Ascolto due brani e già ci sento dentro "Nightrain", "You could be mine". In altri passaggi si assaporano sonorità più sleaze, non aliene ai Guns ma più caratteristiche di altri gruppi della scena glam-street.

In definitiva, si può dire una cosa. Mentre nel rock il nome Pinco Pallino's Project spesso attira l'attenzione su un progetto “d'autore”, e non di rado i gruppi prendono il nome dei componenti (quando sono due o tre), nel metal è diverso. Nel metal quando si vede qualcuno spendere il proprio nome con il genitivo sassone, significa che non ha né la forza del proprio nome, da solo; né quella di un nome magari ancora sconosciuto su cui però punta con sicurezza. Il metal non è un genere di individualità con nome e cognome, quelle esistono dietro le quinte. Il metal è un genere di personaggi, meglio se immersi nella fantasia. Meglio se operanti in gruppo.

Quanti gruppi eponimi si possono contare che abbiano segnato un momento d'ascesa o di consacrazione? Sono gruppi di fuoriusciti, di riciclati, di apolidi, di orfani. In più, rischi di beccarti una coltellata, o prima o dopo averli fondati (Adler e Timo Tolkki sono due casi, ma già fanno percentuale).

Si salva solo Jon Oliva, per attaccarci bottoni interminabili col suo dolore.

A cura del Dottore