Agosto 1991: le solite, amate, vacanze al mare nel paesello d’origine. Una sera come tante, seduto all’aria
fresca sul muretto della via marina con gli amici di sempre. Non ricordo come,
si intavola un’aspra diatriba. Da un lato, un amico metallaro che, nonostante i 15
anni d’età, seguiva il metal estremo da tempo (ricordo lo stupore quando mi
mostrava, tirandoli fuori dalla valigia, i cd di band che ancora non avevo mai neppure sentito: Impaled
Nazarene, Obituary, Malevolent Creation…). Dall’altro un ragazzo campano, dj per
diletto, fan sfegatato di Michael Jackson e della dance/disco music. Oggetto
del contendere? Il Black Album dei Metallica appena pubblicato.
Il primo dei due aveva già colto chiaramente il “tradimento” dei Four Horsemen, l’”essersi venduti al mainstream”, l’aver confezionato un disco moscio, palloso; sicuramente non-metal. Il secondo invece, pur partendo da gusti e sensibilità lontanissime (e che, ricordo, tendeva a definire il metal estremo qualcosa di poco diverso dal “rumore”), apprezzava il sound del disco, esaltando in particolar modo l’opener “Enter Sandman”.
Da profano di certe sonorità,
ricordo chiaramente di aver seguito quel dibattito con interesse, seppur alquanto
stranito. Non ero minimamente cosciente che davanti a me, in modo plastico, si stava
svolgendo in piccolo una querelle che, per molto tempo a venire, avrebbe
accompagnato fan e critica metal a livello mondiale.
Di lì a poco, anche il
sottoscritto sarebbe entrato in contatto con il famigerato dischetto, segnando in
maniera importante la sua adolescenza. “Enter sandman” e “Nothing else
matters”, in particolare, si ascoltavano dappertutto, giravano in tv, venivano
canticchiate da amici e conoscenti. Impossibile rimanerne al di fuori.
Riascoltare, come ho riascoltato
in questi giorni, "Metallica" a quasi 30 anni dalla sua uscita, non fa più l’effetto
di quella volta. E sarebbe anche sbagliato pensarlo ancora oggi solo come il disco di
“The unforgiven” e “Nothing else matters” (che, senza paraocchi, rimangono due
fantastiche metal ballad). Sì, perchè, stringi stringi, siamo di fronte
a un album più che sufficiente, con un’alternanza di ottimi brani (i
primi 11’ dell’accoppiata iniziale “Enter sandman” + “Sad but true”; poi
“Wherever I may roam”, le ballads succitate), altri “solamente” buoni (“Of wolf
and man”, “The god that failed”, ) e altri ancora davvero inutili, oggettivi
filler: “Holier than thou”, “Through the never”, “The
struggle within” (un termine, “filler”, in quel momento ancora sconosciuto
nella discografia dei Nostri).
La band, cosa evidente col senno
del poi, era sul crinale di un’ispirazione calante contemporanea alla
definizione di una loro nuova “via” al metal che non era più thrash ma neppure
groove/neo-thrash. Ma nemmeno rock tout court, data la consistenza dei riff
portanti dei brani e gli assoli hammettiani, indubitabilmente metal. E, in ogni caso, capace di
sferrare ancora dei colpi di coda degni del loro passato e della classe
compositiva che li aveva contraddistinti (in quanti, come i Metallica, potevano vantare in quel 1991 4 album,
tutti diversi e tutti fondamentali per il Thrash in particolare e per il Metal
in generale? Pochi, molto pochi...).
In ogni caso, la resa complessiva, innegabilmente, risultava più
accessibile, easy-listening.
Senza entrare nel merito delle
intenzioni artistiche e/o di marketing, non dubito che i quattro, dopo le
pesantissime evoluzioni di songwriting contenute in “...And justice for all” (1988) sentissero davvero la necessità di cambiare registro sonoro. E che, in tal
senso, l’influenza di quel volpone di Bob Rock dietro alla consolle abbia avuto
un peso non indifferente. Del resto, i dati del successo di “Metallica” parlano
da sé, con le 30 mln di copie vendute ad oggi: avevano ragione loro!
Ci sono opere che nella carriera di certe band hanno rappresentato un
netto spartiacque, segnando in modo indelebile un prima ed
un dopo nella loro esistenza…questo scriveva il nostro
Mementomori nell’anteprima della nostra Rassegna. Ecco, il Black Album, oltre a
essere l’inizio della fine artistica per la band di Frisco, è stato, per certi
versi, anche quello spartiacque tra approcci & sonorità capaci di avvicinare e compiacere una vasta
gamma di padiglioni auricolari e una volontà
di fare metal a uso & consumo solo di metalhead stagionati.
"Metallica" rimane, ancora oggi, IL disco di passaggio per antonomasia. Obbligatorio da conoscere.
A cura di Morningrise