"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

26 mar 2020

THE BEGINNING OF THE END: "METALLICA" (METALLICA)


Agosto 1991: le solite, amate, vacanze al mare nel paesello d’origine. Una sera come tante, seduto all’aria fresca sul muretto della via marina con gli amici di sempre. Non ricordo come, si intavola un’aspra diatriba. Da un lato, un amico metallaro che, nonostante i 15 anni d’età, seguiva il metal estremo da tempo (ricordo lo stupore quando mi mostrava, tirandoli fuori dalla valigia, i cd di band che ancora non avevo mai neppure sentito: Impaled Nazarene, Obituary, Malevolent Creation…). Dall’altro un ragazzo campano, dj per diletto, fan sfegatato di Michael Jackson e della dance/disco music. Oggetto del contendere? Il Black Album dei Metallica appena pubblicato.

Il primo dei due aveva già colto chiaramente il “tradimento” dei Four Horsemen, l’”essersi venduti al mainstream”, l’aver confezionato un disco moscio, palloso; sicuramente non-metal. Il secondo invece, pur partendo da gusti e sensibilità lontanissime (e che, ricordo, tendeva a definire il metal estremo qualcosa di poco diverso dal “rumore”), apprezzava il sound del disco, esaltando in particolar modo l’opener “Enter Sandman”.

Da profano di certe sonorità, ricordo chiaramente di aver seguito quel dibattito con interesse, seppur alquanto stranito. Non ero minimamente cosciente che davanti a me, in modo plastico, si stava svolgendo in piccolo una querelle che, per molto tempo a venire, avrebbe accompagnato fan e critica metal a livello mondiale.
Di lì a poco, anche il sottoscritto sarebbe entrato in contatto con il famigerato dischetto, segnando in maniera importante la sua adolescenza. “Enter sandman” e “Nothing else matters”, in particolare, si ascoltavano dappertutto, giravano in tv, venivano canticchiate da amici e conoscenti. Impossibile rimanerne al di fuori.

Riascoltare, come ho riascoltato in questi giorni, "Metallica" a quasi 30 anni dalla sua uscita, non fa più l’effetto di quella volta. E sarebbe anche sbagliato pensarlo ancora oggi solo come il disco di “The unforgiven” e “Nothing else matters” (che, senza paraocchi, rimangono due fantastiche metal ballad). Sì, perchè, stringi stringi, siamo di fronte a un album più che sufficiente, con un’alternanza di ottimi brani (i primi 11’ dell’accoppiata iniziale “Enter sandman” + “Sad but true”; poi “Wherever I may roam”, le ballads succitate), altri “solamente” buoni (“Of wolf and man”, “The god that failed”, ) e altri ancora davvero inutili, oggettivi filler: “Holier than thou”, “Through the never”, “The struggle within” (un termine, “filler”, in quel momento ancora sconosciuto nella discografia dei Nostri).

La band, cosa evidente col senno del poi, era sul crinale di un’ispirazione calante contemporanea alla definizione di una loro nuova “via” al metal che non era più thrash ma neppure groove/neo-thrash. Ma nemmeno rock tout court, data la consistenza dei riff portanti dei brani e gli assoli hammettiani, indubitabilmente metal. E, in ogni caso, capace di sferrare ancora dei colpi di coda degni del loro passato e della classe compositiva che li aveva contraddistinti (in quanti, come i Metallica, potevano vantare in quel 1991 4 album, tutti diversi e tutti fondamentali per il Thrash in particolare e per il Metal in generale? Pochi, molto pochi...). 
In ogni caso, la resa complessiva, innegabilmente, risultava più accessibile, easy-listening.

Senza entrare nel merito delle intenzioni artistiche e/o di marketing, non dubito che i quattro, dopo le pesantissime evoluzioni di songwriting contenute in “...And justice for all” (1988) sentissero davvero la necessità di cambiare registro sonoro. E che, in tal senso, l’influenza di quel volpone di Bob Rock dietro alla consolle abbia avuto un peso non indifferente. Del resto, i dati del successo di “Metallica” parlano da sé, con le 30 mln di copie vendute ad oggi: avevano ragione loro!

Ci sono opere che nella carriera di certe band hanno rappresentato un netto spartiacque, segnando in modo indelebile un prima ed un dopo nella loro esistenza…questo scriveva il nostro Mementomori nell’anteprima della nostra Rassegna. Ecco, il Black Album, oltre a essere l’inizio della fine artistica per la band di Frisco, è stato, per certi versi, anche quello spartiacque tra approcci & sonorità capaci di avvicinare e compiacere una vasta gamma di padiglioni auricolari e una volontà di fare metal a uso & consumo solo di metalhead stagionati.

"Metallica" rimane, ancora oggi, IL disco di passaggio per antonomasia. Obbligatorio da conoscere.

A cura di Morningrise