"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

27 gen 2025

VIAGGIO NEL METAL RURALE_VIII - PESTE NOIRE: LA MALATTIA COME "SOFFIO VITALE" , LA TERRA COME CORPO

 


Peste Noire sono coloro che hanno dato risonanza all'argomento rurale in maniera efficace. Sicuramente hanno indotto una corrente. La prima fase, quella più ideologica, visionaria e meno politica, ci racconta la nascita dei Peste Noire dalla terra, e il senso del legame tra terra e identità, passando per l'avversione al Dio monoteistico. Un percorso in parte noto, ma con alcune peculiarità da segnalare, data la rilevanza dei testi nel progetto.
La Peste è malattia “rurale” per eccellenza. Chissà da dove è venuta, forse da qualche atto contronatura consumato in chissà quale lurido angolo che crede di sfuggire alla punizione di Dio:

“Da dove credete che origini questa Peste?”
“Io non credo, come la maggioranza, che Dio ci stia punendo per qualcosa. Secondo me, come tutte gli altri germi di malattia....viene dalla Francia”

Con queste parole inizia l'auto-split eponimo dei Peste Noire. Il mondo dichiara guerra a sé stesso, il mondo vive in un perenne stato di mobilitazione contro un alter-ego interno.

Del resto:

In fondo al cratere
ho trovato il Padre Nostro
che mi ha dato il senso...
La scienza della Terra
Quella del Male che vaccina.


La malattia è strumento della Natura, e chi sopravvive non può che viverlo come un passaggio che lo ha selezionato per fortificarlo. L'immagine della malattia e della sanazione è riproposta come una cosa sola, fatta di aspetti confliggenti, ma uniti dalla stessa fonte.

Da “Phalenes et Pestilence" (Falene e pestilenza), demo del 2005:

[I. Fuoco]

Il fulmine grida il suo oro, secco, schiantandosi!
Nella mia notte detronizzata da soli incantati.
Schiaffeggia un cataclisma che incendia l'albero
Del mio corpo inondato di tenie elettriche...
Muse frenetiche urlanti respirano dentro di me
Le cataratte fiammeggianti della trascendenza!

[II. Cantico]

Là cade ardente
la tua pioggia di falene che semina
con gemme di strage
le regioni arrossate bagnate d'incenso acre.

Grida notte nociva
da calde piogge di ceneri incarnate,
insanguina l'etere
con sciami d'insetti in febbrili meandri

ti seccherà
la zizzania stantia , fermento dell'inutilità,
bevi come elisir tossico
il seno dell'umanità.

FINE

Flora di foglie di bietole corporee.
Un pozzo nero di carne in putrefazione.
Ventre pesante dove ci si addormenta,
Un turbinio di ferite che si depositano...

Dobbiamo annegare la peste
Con la peste, che un acido espiatorio
Dal cielo infesta
Le nostre città erette come sputacchiere.


Il cielo che sputa sulle città la malattia. Il cielo che sputa sulle città l'antidoto. Flora, fauna e umanità unite nel rapporto con un cielo che non può essere indifferente né amico, solo nemico incompiuto. Lì lì per ucciderti, poi ti sputa addosso anche la pozione per salvarti. Accanto alle più attese immagini di insetti che diffondono il morbo per acquitrini e luci di case che ne richiamano lo sciamare, ci sono altre più sorprendenti, in cui questa contrapposizione viene meno.

La peste è un'idea: l'idea di distruzione, e l'uomo la farà sua. Anzi l'uomo sarà tale come prodotto del tentativo della Natura di distruggerlo (con la peste) e del tentativo della Natura di salvarlo (con una peste contraria). Il “rivolgimento salvatrice” altro non è, letteralmente, che la tempesta, il cielo che “viene giù”, come si dice anche in italiano il “rovescio” che pulisce tutto, accompagnato dai fulmini che danno l'idea della sterilizzazione. Due elementi opposti, che collaborano per interrompere il morbo. Ma l'espressione “salvatrice aversa” suonerebbe suggestiva anche se si ritenesse che sia il cielo che si rivolta contro se stesso, per difendere lo stesso uomo che ha attaccato. Come succedeva, in fondo, nella mitologia classica, quando gli dei si dividevano in fazioni per sostenere o penalizzare un personaggio. Nessuno aveva mai il Pantheon dalla sua, o contro di sé.

Il figlio della terra si sente, sì, un puro, ma non nel senso classico. La terra è la terra sanata ma anche quella che ammala. Fonte di bellezza e di deformità.

Mi affermo per primo
Nella mia categoria
Quella dei brutti, dei cattivi, dei nati morti che rilasciano solo batteri.

O candore della mia razza, luce cadaverica,
irradia attraverso la tua sporcizia, rendi magico l'orrore!
Eccoci qui, gli aristocratici del fango e del fondo
Sì, siamo metà topi e metà re


Il bello origina dal brutto. Il sano dal malato. Sono i batteri che permettono di essere sani. Del resto, direi da medico, il corpo è un'entità che ospita batteri fuori e dentro, in un equilibrio che non solo è tollerato, ma talora è esso stesso una barriera ad infezioni. Lo sporco ben distribuito non è dannoso, è anzi parte di quello che chiamiamo vitalità. L'asettico si infetta inevitabilmente. Ciò è naturalmente vero in ogni senso, materiale e spirituale.

L'origine del male, l'errore di volontà che genera la Peste, è Dio stesso. Il “pasticcio”, il morbo lo ha iniziato lui, pretendendo una moralità da parte di creature che chiaramente non tendevano ad essa (altrimenti cosa pretendere se fosse stata naturale?) . Da qui nasce un inno all'uomo senza-Dio che si distingue come uno dei testi più coerenti e disturbanti di tutto il post-Satanismo.

"Domine" dallo split "Peste Noire" (2018):

Spegni quelle maledette luci.
Cosa sono queste teste di ghiande – fai sul serio?
E tutto quel sangue disgustoso?

Ritornerei lì nella pancia di mia madre
ma come tutti rimango
nell'angoscia, nella sfortuna, nella tristezza.
Speleologicamente nel regno dello sporco
ho subito percepito questo mondo
come un retto abissale
dove prendere a pugni i tuoi figli, le tue creature, o Signore,
solo per il piacere sporco e marcio
di dominarle,
Era di tutti i cibi
il più squisito e raffinato.


Niente quaggiù, né bene né male,
solo le leggi fatali del regno animale
e l'arbitrarietà e il caso e il deserto
Dove gli angeli mangiano la melma sotto il ronzio delle ruspe.
Pensavi che fossi un cane o qualcosa del genere? Una formica?
Qualcosa che passa di là, lavora di là, muore di là
Senza fare un guaio in questa dannata “cosa” ?
Non me ne andrò senza soffrire,
senza vedere alcuni degli ingranaggi di questo sistema diventare blu,
tutti freddi e pallidi.

Chiamatelo Pan, Wotan, Satana, Baal...
Non me ne frega niente purché crei crateri nel mirino con la mia pistola
Per vendicarmi di questa tristezza che fin da bambino il Creatore
mi ha dato libero come un tetano siringa nelle arterie.
Non mi sono mai divertito altro che sparare alle ambulanze.
Mi arrenderò se non ce n'è motivo, abusi e strane sofferenze.
Non portare via le tue ultime cose, come volevo che mamma da piccola
volessi già trafiggere la loro pancia, rovinano le loro possibilità, fin dalla nascita.


Di chi è la colpa se le nuvole della malinconia
cadono come uccelli malati
e mangiano i denti di leone alla radice
non appena sorge l'odio, come una manna dal cielo,
miracoloso e sano, come il Messia?


Non godere di nulla se non dell'ebbrezza di sporcare
Baciare l'autorità per un solo ed unico piacere.
Tale è la vocazione, il passatempo, l'ozio
Della razza dei morti prima che marciscano.


Se Dio esiste nel cielo delle nostre teste
è per prestare il suo culo affinché gli scorreggiamo contro
e attraverso di lui o piuttosto attraverso le sue parti posteriori arriviamo
alla gioia ultima senza difficoltà né preghiere.
Dio, sei una puttana nel senso letterale.
È grazie a te che i tuoi figli vengono.
Dio, tu sei il ponte e la barriera
La barriera abbattuta, la barriera necessaria
Sì Dio, tu sei il miglior aiuto del tuo fottuto avversario.
Dio, tu sei il sole del Male, lo specchio fiammeggiante
Della sua travolgente gloria.


Che Satana sia un figlio di Dio, forse un fratello...forse lui stesso, lo dice il satanismo nella visione di alcuni teorici. Qui però, in un post-satanismo, si parla di Dio come si parlerebbe di qualsiasi “codice” universale e antropocentrico usato per indicare un senso positivo e utile per tutti. Si attacca l'illusione, secondo il principio che se la Natura è buona, è buono allora anche tutto ciò che le va contro. L'immagine del culo di Dio, che presta agli uomini anche per offenderlo, va oltre l'idea che l'uomo è responsabile anche quando va contro Dio. Qui si dice che il “corpo” di Dio, la volontà di Dio, deve corrispondere per forza a quella dell'uomo, ovvero che non può dirsi estraneo a lui stesso. Se ha fatto l'uomo libero, allora non sarà lui libero di dichiararsi estraneo ad un'iniziativa umana, fosse anche di opporsi a lui. Dio no è libero di opporsi a Lucifero: la sua volontà è per lui Legge.

Questo che significa? Che, alla fine, il credere in un principio unificatore e in una volontà che indica agli uomini il bene, è uno sgambetto. Ogni “divinità” o principio anche laico con questa pretesa finirebbe per benedire chi lo avversa.

La trovata dello split con se stessi, al di là del carattere scherzoso, cela un significato. Il completamento di sé. Il completamento non esiste, come non esiste la divisione, la contrapposizione. L'apparenza del contrario, del negativo, come quello che campeggia sulla copertina, è un parziale depistaggio. Il concetto di razza, nei Peste Noire, non è sicuramente avversato, ma è definito in maniera non peregrina.

Il nemico è l'uguaglianza, sia come presupposto che come prodotto politico. Che le persone siano tutte uguali nel diritto, è ipocrisia intrinseca, essendovi un organo che controlla l'uguaglianza “degli altri”. Che le persone lo siano in partenza è un principio di schiavitù: perché la schiavitù sia accettata, gli uomini devono concepirsi uguali tra loro, poiché in questo modo non troveranno così strano di trovarsi tutti ugualmente asserviti. Se un padrone c'è, che questo sia la malattia. E che in principio, e come diritto di nascita, siamo tutti filtrati come figli di un morbo.

Chi vive si sporca. Chi ama si sporca come chi odia, della stessa lordura. La passione è lo sporco delle secrezioni proprie o altri.

Così, “la morte gioiosa” è nient'altro che la gioia della vita, e insieme la sofferenza della vita, indistinguibili perché non scorporabili. Se il corpo della gioia è lo stesso di quello della sofferenza, e se l'età è la stessa, e se le ragioni sono le stesse, fino addirittura all'esito (amore e morte)... inutile concepire questi due aspetti antitetici come se fossero espressioni di entità separate e contrapposte.

“Le Mort Joyeux" (La morte gioiosa)” da "La Sanie des Siecles" (2006):

In una terra rigogliosa e piena di lumache
voglio scavarmi una fossa profonda,
dove stendere a mio agio le mie vecchie ossa
e dormire nell'oblio come uno squalo tra le onde,

odio i testamenti e odio le tombe;
Piuttosto che implorare una lacrima dal mondo,
vivo, preferirei invitare i corvi
a far sanguinare tutte le estremità della mia sporca carcassa.

Oh vermi! compagni neri senza orecchie e senza occhi,
guardate un morto libero e gioioso venire a voi;
Filosofi viventi, figli della putrefazione,

attraversate senza rimorso la mia rovina,
e ditemi se c'è ancora qualche tortura
per questo vecchio corpo senz'anima e morto tra i morti!


La morte e la vita, declama Famine, è uno squalo che avanza al buio. Al mondo chiede partecipazione al banchetto del suo corpo, così come per la sua vita spera che sia fatto oggetto di passioni, senza poter escludere che in questo siano incluse quelle dolorose. Senza poter separare i dardi di Cupido da proiettili dei soldati nemici.

L'uguaglianza è il morbo vero poiché è il tentativo di acquisire “il controllo” su se stessi. La purezza attraverso l'astensione, la moderazione; o, che è la stessa cosa, attraverso la proprietà del mondo, il possesso. E se da un lato la si evita, dall'altro la si possiede, come nel tentativo di farla esprimere e funzionare come ci aggrada. Invece, quando il contadino coltiva, esso sta combattendo contro la madre terra, e gli strappa un po' di vita per sé. Ecco perché uccidere il bestiame, recidere i frutti, ingoiare embrioni di pollo non sono aspetti controversi di un rapporto di armonia: essi sono aspetti distruttivi e cruenti di un rapporto fatto di questo. La Natura, per i Peste Noire, non è matrigna come nella visione leopardiana: essa è amorale, non è indifferente al dolore umano perché lo prevede ma non lo può compatire. E' lo stesso dolore che l'uomo, per sua natura, infligge alla natura per poter vivere.

I vermi sono “filosofi viventi”, poiché mangiano la vita, si nutrono di cadaveri. Sarebbe come sapere che il verme si dispiace che qualcuno debba morire per poter sopravvive.

Se l'uomo si mette in testa di portare la Natura dalla sua parte, o anche di venire a patti con la natura...ecco che ogni uomo ambirà allo stesso modello, o si accontenterà dello stesso modello, finché le due cose arriveranno a coincidere terribilmente. Si accontenta lo schiavo come il padrone del mondo, che si compra la propria distanza dagli schiavi, ma non quella da altri mille padroni del mondo.

La critica alla razza nei Peste Noire sembra emergere laddove si indica la superiorità antropologica in questo orientamento. Chi lo concepisce come “particolarità” del proprio ceppo è indicato come Dandy di Satana, ovvero l'anti-giudaismo di matrice pan-germanica. Paiono dire i Peste Noire: non è l'essere tedeschi che rende superiori, ma il riconoscersi come uomini diseguali, e la disugualianza come mistica. Le bandiere, i confini e i campanili servono a formare eserciti, identità locali...tutto inutile se l'identità individuale fosse improntata ad un principio di uguaglianza, ma anche se vi fosse una superiorità già nota. Rispetto all'olocausto, il testo di “Des medicins malades et des saints sequestres" (Medicine malate e santi sequestrati) è una sorta di descrizione in codice, che però pare ironicamente dire come chi voleva curare una malattia sociale lo fece con medicine malate, inevitabilmente (come la Natura fa quando vuole porre fine ad un flagello, con un altro flagello); ma che le vittime furono dei sedicenti detentori di quella famosa “verità” che è la vera malattia spirituale irrimediabile, che non risponde più alla Natura stessa. A mio avviso, il limite di tale visione è soprattutto l'appiattimento della visione ideologica su quella umana. Proprio perché, se ogni uomo determina sé, non è il nascere in una comunità che certamente crea una categoria spirituale o antropologica. Se invece si facesse riferimento ad un punto di tipo genetico, allora non ci sarebbe bisogno alcuno di richiamare la consapevolezza di ciò che è di fatto determinato ancor prima e al di fuori della consapevolezza di sé.

Che in Francia vi sia stata adesione al nazismo è cosa nota, al punto che, diversamente da altre nazioni, si formò un governo di “collaborazione”, vituperato ma non scontato come soluzione, e certamente non centrato su Parigi. Come altri popoli, i francesi chiaramente non aderirono alla superiorità dei teutonici, i quali peraltro avevano un po' confuso l'arianesimo e la ricerca delle “radici ancestrali” con la tesi di tale ricerca, cioè “noi tedeschi semo li mejo”. I Peste Noire sembrano invece prendere alcuni elementi di quell'ideologia ma in una chiave a-germanica, e mettono il baricentro in un legame tra terra, divinità intesa come la sfida che la natura dichiara all'uomo, tramite la vita, e il culto dell'esistente (potenzialità e limiti) contro quello del principio morale unificatore (la religione monoteista).

Il dialogo tra uomo e Dio, convertito in quello tra uomo e terra, sembra consiste nella domanda che l'uomo, tramite il mago, pone alla Terra : Qual è oggi la tua malattia ? Da questo tipo di divinazione è possibile ottenere un vantaggio per sanare la terra contro la natura che la fa ammalare. Si intenda: non ogni terra, ma questa, che ci dà il cibo oggi.

L'uomo rurale è il malato che vive per curarsi e trarre dalla cura di sé il senso di un continuo scambio di informazioni con la natura e di un'unità con essa. In questo dialogo sarà mantenuta l'individualità, con cui si nasce in cui si muore. Il rapporto con la terra è un rapporto individuale. Un'individuo è una bocca in più da sfamare, e due braccia in più per zappare il campo. Non è “un uomo”, ma ha una sua qualifica sia nel dare che nel togliere. Alla fine della vita, si descrive l'immagine della tomba, che è nella terra. Che il morto sia inumato, o cremato, egli diventa cenere, polvere...ma ad un certo punto l'uomo sente la necessità di una restituzione vivente, palpitante, alla terra. La terra non si mangia i cadaveri, li nutre. Si nutre di essi e ne nutre la presenza, perché quel che si ristabilisce, l'unità tra morte e vita, non è una mostruosità, ma è il punto di unione del ciclo vitale.

La tomba è una. La fossa comune è percepita come aberrazione. Destinata a chi? Ai malati contagiosi, ai nemici disprezzati. La tomba è individuale. La terra ci fa diversi, e ci torniamo diversi. Certo, tutti livellati dallo stesso destino, da vite anche simili. Ma ciascuno in guerra con la stessa natura, in una sua personale guerra con il proprio corpo e la natura.

Prima della fase più politica.

A cura del Dottore

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