E siamo giunti così al termine
del nostro viaggio!
Abbiamo considerato svariati sotto-generi metallici (doom, stoner, death, classic, symphonic-power, black) e non (rock, folk, ambient), fatto la spola tra le due sponde dell’Atlantico e girovagato in Europa, da ovest a est fino ad approdare, in ultimo, in Terra d’Albione. Dieci i Paesi toccati: Austria, Cile, Francia, Serbia, Polonia, Stati Uniti, Italia, Finlandia, Russia e Regno Unito.
Gli argomenti in cui abbiamo provato ad addentrarci, prendendo spunto dalle suddette band, sono stati di non semplice analisi e divulgazione. Ci abbiamo provato, con i nostri limitati mezzi e limitate competenze. Sforzandoci di rendere interessanti, e accessibili, oggetti quali la mitopoiesi della narrativa tolkieniana, il rapporto tra creazione e sub-creazione; quello tra Bene e Male, con focus sulla volontà di dominio di Melkor/Morgoth prima e Sauron dopo; quello, altrettanto centrale, tra Ombra e Luce. Ci siamo immersi nell’analisi del Tempo, del suo trascorrere e della sua caducità (con conseguente struggimento nostalgico da parte della razza elfica); abbiamo affrontato il tema del Potere e di come esso tenti e travii tutti i personaggi del Legendarium e, non ultimo, abbiamo provato a sottolineare l’importanza del linguaggio come strumento di custodia di memoria e identità, tanto “storica” e di gruppo quanto soggettiva.
Roba pesa, lo capisco.
Detto ciò, possiamo, ordunque, provare
a rispondere ad una delle domande che ci eravamo fatti nella nostra introduzione
dello scorso gennaio: esiste un metal definibile come ‘tolkieniano’?
Beh, ad onor del vero, facendo una panoramica di quanto letto e sentito, diremmo di ‘no’.
No: in tutta
onestà, non parrebbe esistere un filone, al di là delle differenze
stilistiche tra le oltre 300 band che hanno trattato/usato/si sono ispirate al Legendarium
tolkieniano, che si possa definire tale. Anche perché, la vivida
impressione che abbiamo avuto è che l’uso di toponimi, tematiche, personaggi
ecc., creati dal Professore di Oxford, rimanga spesso in superficie. Un po’ per
mancanza di conoscenza e/o approfondimento dei testi; e un po’ per un’oggettiva
difficoltà nel trasporre in musica e liriche argomenti così complessi. La
conseguenza è che, salvo pregevoli eccezioni (su tutti, direi Rivendell,
Barroquejòn e Ainulindale), ci si limiti a qualche frase ad effetto o,
addirittura, a una semplice citazione nei titoli o nel monicker. Ma che poi,
scavando nella ‘ciccia’ degli album, non si trovi granchè di davvero
tolkieniano.
Per carità, ribadiamo: ci sta. È
comprensibile.
Non è un caso, perciò, che coloro
che paiono aver maggiormente introiettato le lezioni del Professore e siano
riusciti, con credibilità sistemica a trasporle nei loro dischi, siano stati proprio
le band citate nella nostra introduzione: i Summoning e i Blind Guardian di Nightfall.
E questo è un loro merito che ci sentiamo di ri-sottolineare.
Dal canto nostro, l’obiettivo di
fondo di questa Rassegna, come detto, era quello di stimolare una curiosità nei
nostri lettori, fornire un ‘gancio’ tematico che potesse "sfrugugliare" l’interesse metallaro verso i testi del buon JRR. Testi che, lo diciamo con forza,
non devono essere considerati, come troppo spesso ancora accade, come meri
libri fantasy ma, al contrario, come opere classiche. Tali, perciò, da andare
oltre i(l) generi/e, le epoche e i contesti storici contingenti. E rimanere attuali, capaci quindi di parlare alla contemporaneità, all'uomo del presente.
E questo perché, in realtà, come abbiamo accennato durante la trattazione, il
fulcro di tutta la poetica di Tolkien è una riflessione, ampia e profonda,
nonché non risolta (e come lo potrebbe essere del resto?!), sul rapporto tra morte
e immortalità e, di riflesso, tra Libero Arbitrio (propria degli Uomini, mortali) e Destino (condanna precipua degli immortali Elfi). Non a caso, ci
piace chiudere la Rassegna inserendo in esergo al presente post, un paio di
citazioni tratte da quello che è probabilmente il testo più ‘filosofico’ di
tutta la produzione di Tolkien: l’Athrabeth Finrod ah Andreth. Essa
è una discussione, avvenuta al termine della Prima Era, durante il celebre
Assedio di Angband (cfr. qui), tra Finrod, saggio re elfico di Nargothrond
(fortezza elfica sita nella regione del Beleriand nord-occidentale), e Andreth, donna mortale
della casa di Bëor. Il dialogo, scritto con un registro linguistico molto
elevato, è una sorta di dissertazione filosofica, e teologica, sull’origine del Male, sulla mortalità intesa come dono
o disgrazia (a seconda dei punti di vista) e sulla speranza di salvezza.
Il testo è da brividi e ne
consigliamo caldamente la lettura quando, nel 2026, ne uscirà la versione
italiana che sarà inserita nel decimo volume (Morgoth’s Ring) de “The
History of Middle-Earth” (attualmente è disponibile solo l’originale inglese).
Ci teniamo infine anche ad ammettere, pienamente consci di ciò, che le nostre disamine sono state parziali e abbozzate: non poteva essere diversamente. E, parimenti, non pochi sono stati i temi che ci sarebbe piaciuto tratteggiare ma per i quali non abbiamo trovato riscontro in band metal che ce ne potessero offrire appiglio. Mi riferisco, in particolare, all’affascinante macro-tema, anch’esso molto problematico e stratificato, della Natura e dell’Ambiente, per il quale, va detto, non basterebbe una rassegna a sé per esaurirlo (ma consigliamo la lettura del libro di M. Dickerson e J. Evans, recentemente tradotto in italiano, “Ent, Elfi ed Eriador – La visione dell’ambiente in J.R.R. Tolkien”, pubblicato dai tipi di Fede & Cultura ed.). O quello della diminuzione della Luce nel continuum del Tempo (di entrambi i Mondi di riferimento: quello primario e quello secondario) che denota un pessimismo storico da parte di Tolkien insospettabile, se ci si ferma ad una sua lettura di superficie; e ancora sarebbe stato bello approfondire la tragicità del personaggio di Frodo, sul quale l'Autore riversa tutta la sua esperienza di "reduce di guerra"; ma come dimenticarci di Gollum e del suo ruolo nell'Eucatastrofe di Monte Fato? E altrettanto imprescindibile sarebbe stato analizzare le tematiche della Provvidenza e della Speranza cui il Professore attribuiva un ruolo decisivo nella Storia. E questi sono solo alcuni dei punti-cardine della poetica tolkieniana che non siamo riusciti a sviluppare appieno come avremmo voluto.
Parallelamente a queste omissioni, molti sono stati anche i personaggi che avrebbero meritato di essere approfonditi e analizzati: dall'affascinante ent Barbalbero, (il celebre Pastore di Alberi) all’enigmatico Tom Bombadil e sua consorte, Baccadoro (Goldberry nell’originale); dalla bella mezzelfa Arwen, dama di Gran Burrone, al tormentato Fëanor (personaggione ingombrante e tragico; si, quello della ‘maledizione’ descritta dal Guardiano Cieco in “The Curse of Fëanor”). E molti altri.
Ma ci accontentiamo di quanto
fatto. Con la consapevolezza di aver provato a trasmettere un briciolo della
bellezza e dell’attualità dell’opera tolkieniana.
E soprattutto convinti, in questi
pessimi tempi bui che stiamo vivendo, che il suo Legendarium possa essere di riferimento
e conforto, ricordandoci che, se da un lato il Male è sì insito nel mondo (e non lo si può tenere fuori dalla porta semplicemente provandolo a ignorare), dall'altro gli
si può resistere, anche quando tutto intorno
a noi dominano le Tenebre.
Come fa Sam nell’oscurità di
Mordor, quando anche il suo ‘padron Frodo’ è ormai soggiogato dal Potere
dell’Anello e in preda al dolore e allo sfinimento, si può credere ancora nella
parte più luminosa di noi, nel Bene presente nel nostro cuore.
Consentendo, così, alla Luce di non
sparire da questa Terra…
A cura di Morningrise
