"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

7 ago 2017

BUON COMPLEANNO, BRUCE! Live IONONCERO - GLI IRON AL WACKEN 2016


Ogni tanto io ne ho bisogno. Di sapere come stanno. Di vederli suonare dal vivo. Diciamo, toh...almeno una volta l’anno. I Maiden, dico. Li penso spesso e spero che stiano sempre tutti bene. Sapete com'è...ora l'età c'è tutta. 

E così periodicamente me li vado a “cercare” in rete. Perchè, quantomeno se parliamo di esibizioni live, non mi annoiano mai.

E’ un po’ come quando torno al mio paesello d’origine e vado a trovare le mie zie anziane, cui sono legatissimo. E a casa delle quali da bambino ho passato tanti felici pomeriggi estivi. Ascoltando i racconti della loro gioventù, sorseggiando la limonata fatta in casa. Tante partite a scopa o a briscola, che mi facevano regolarmente vincere senza che io allora me ne accorgessi. 
Ma ogni estate che passa sono sempre un pò più “malandate”. L’udito funziona meno bene, l’andatura è sempre più zoppicante, la lingua incespica nel pronunciare le parole. Ma lo scintillio degli occhi no, rimane quello di sempre. E i racconti di cui sopra, ripetuti e ascoltati mille volte, anziché tediarmi, rivivono in me, freschi ed emozionanti come la prima volta.

Un po’ come con gli Iron.

E così quest’estate, stimolato dal nostro post sul Wacken 2017, mi sono andato a vedere le quasi due ore di concerto della Vergine di Ferro al Wacken del 2016. L’ultima delle 72 tappe del tour 2016 di supporto all’uscita di “The book of souls”. 72 concerti da fine febbraio a quel 4 agosto. Praticamente cinque mesi e mezzo. 163 giorni per la precisione. Un concerto ogni 2 gg e spiccioli. Ma come diavolo fanno a quasi 60 anni?? Che cuore, che spirito i Maiden!

Però mi fanno effetto…mi fa effetto vedere l’enorme doppio mento di un Dave sempre più imbolsito, le guance solcate ai lati di Steve e la faccia da pugile suonato di Nicko che mi ricorda sempre più il volto tumefatto di Mickey Rourke in “The Wrestler”. Anche le corse di Janick sotto le gambe all’Eddie di turno (in questo caso in stile Maya) mi paiono più lente e artefatte. Come il look da eterno ragazzino di Adrian, con la sua sciarpa rossa, il gilè di pelle e la bandana. Ma che se lo guardi bene in viso vedi chiaramente i segni del tempo che scorre...

E Bruce? A Bruce come prima cosa, oggi 7 agosto, facciamo gli auguri…compie 59 anni! Buon compleanno Bruce!
Il Bruce 58enne del Wacken 2016 intanto ci dà dentro come sempre. Corre, salta come un canguro, non risparmia la sua ugola, che non da molto se l’era vista brutta. Fa scena, si mette pure una cazzo di maschera di pelle che sembra un improbabile lottatore di wrestling (ma perchè?). Però gli acuti sono sempre meno lunghi, meno potenti. Il microfono si allontana dalla bocca nei momenti in cui si dovrebbe spingere di più con gli acuti; forse per nascondere un’estensione vocale che, fisiologicamente, comincia a diminuire. E tutto questo ci sta, ci sta tutto, per carità. Non saremo certo noi a fare i pignoli e i criticoni.

Anche perchè riescono comunque a incantare. Nonostante la scaletta non sia più quella di un tempo, fagocitata da questi nuovi, pachidermici brani che durano un’infinità. E’ il gioco del mercato, della promozione dell’ultimo nato che impone i tagli a dei classici immortali. Perciò via “Aces high”, via “2 minutes to midnight” e “The clairvoyant”. Via anche “The evil that men do”, “Wratchild” e “Flight of Icarus”. Addirittura via “Run to the hills” (troppo alta, Mr. Dickinson?) e “Running wild”. Non c’è tempo per tutto questo. Bisogna dar spazio alle pessime “Tears of the clown”, “Speed of light”, “Death or glory”. E al quasi quarto d’ora di “The red and the black” (allora, cazzo, per occupare 13’ e mezzo per questa potevano usarne 18 per regalarci “Empire of the clouds"!).

Vabbeh…ci rifacciamo. Ci rifacciamo con la sorpresa di ascoltare “Children of the damned” (e chi se lo aspettava?); ci rifacciamo coi classici, con “Hallowed be thy name”, “Iron Maiden” e “Fear of the Dark”. E ci rifacciamo coi bis. Si, perchè il trittico finale è pura goduria: “The number of the beast” ci accoglie con il suo intro parlato, nel buio. Te lo aspetti, ma quando arriva l’effetto pelle-d’oca è garantito. Non ci si abitua mai al rivivere la Storia. 
Poi “Blood brothers” che, non a caso, e “The book of souls” a parte, è l’unica canzone riproposta di tutti i 17 anni post-reunion. Canzone che, in tempi non sospetti, avevamo indicato come quella fondamentale (assieme a “The thin line between love and hate”) da cui i Maiden avrebbero dovuto ripartire per il nuovo corso. 
E infine lei, la sempiterna, l’infinita “Wasted years”, la canzone per la quale piansi al Forum di Assago nel tour della Reunion nel 1999.

Questi tre pezzi sono come l’ultimo abbraccio. L’ultimo saluto che questi vecchi zietti ci danno sulla soglia della porta, quando stiamo andando via dopo la nostra rituale visita. Una visita non pro-forma. Una visita vera, sincera. Dovuta e voluta. E che non nasconde, senza alcun imbarazzo, l’immensa gratitudine che riponiamo per questi compagni di vita. Sapendo che li rivedremo, chissà, magari il prossimo anno, alla prossima visita.

Ma con la consapevolezza che potremmo anche non rivederli più. 

A cura di Morningrise

Per vedere il live clicca su Iononcero Iron Maiden Wacken 2016