"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

30 giu 2018

IN MEMORY OF IAN JOHNSTONE

Il 30 giugno 2015, esattamente tre anni fa, moriva Ian Johnstone. E sono certo che già vi starete chiedendo: ma chi cazzo era Ian Johnstone?
In realtà vi sono due ottime ragioni per conoscere questo bizzarro static dancer: una è che il Nostro ha collaborato con i grandissimi Coil (è stato peraltro l’ultimo partner di John Balance, prima che anch’egli venisse strappato via dalla vita nel 2004); l’altra è che ha collaborato con gli Ulver.

Johnstone è stato un artista a tutto tondo, tutto e niente, oserei dire: ballerino, performer, illustratore, stilista, e, nell’ultima fase della sua vita, apicoltore. Da anni, infatti, si era ritirato nelle montagne delle Asturie, dove avrebbe trovato la morte per una infezione ai bronchi. Ma prima di dedicarsi a questo suo progetto nella fattoria Cantu Fermusu, egli aveva dato forma a Mr Todd, “personaggio performativo” concepito durante gli studi di fine arts alla Middlesex University e sviluppato nel corso della sua carriera.
Suddetto personaggio (ed è qui che ho conosciuto Johnstone) è anche comparso nello show che gli Ulver hanno tenuto presso la Norwegian National Opera (documentato con il DVD edito il 28 novembre 2011 tramite Jester Records e Ksope).
I norvegesi non si sono mai distinti per essere degli animali da palcoscenico: del resto decisero di intraprendere la via concertistica solo nel 2009, quasi quindici anni dopo il loro debutto discografico. Eppure, con alle spalle meno di due anni di gavetta, il 31 luglio 2010 per l’esattezza, registravano quello che poi sarebbe divenuto “The Norwegian National Opera”: uno dei documenti live più interessanti in cui mi sia capitato di imbattermi. I Lupi avrebbero fatto l’ennesimo centro della loro carriera, e per giunta calcando un territorio storicamente a loro ostico, data la scarsa esperienza maturata sul palcoscenico: questo perché con la consueta scaltrezza hanno saputo trovare le modalità giuste al fine di valorizzare i loro pregi ed al contempo nascondere i loro difetti.
Il repertorio degli Ulver è variegato, discontinuo, richiede diversi approcci e dal vivo avrebbe potuto peccare di eterogeneità? Ecco che il sound si omogeneizza e si consolida grazie a nuovi arrangiamenti, all’uso intelligente di basi campionate e all’impiego di musicisti aggiuntivi. Senza poi contare il contributo illustre del noto sound-designer Christian Fennesz (guest di lusso e prova definitiva dello status raggiunto dai norvegesi negli ambienti della musica colta) e il soccorso, su tutti i reparti, del polistrumentista Daniel O’Sullivan (all’epoca in organico).
Kristoffer Rygg è il frontman più timido e dimesso che ci possa essere? Ed allora lo circondiamo di oscurità, luci, installazioni e video-proiezioni (a cura del regista Erlend Gjertsen). Per aggiungere gloria alla gloria, reclutiamo un artista non convenzionale come Ian Johnstone ad aprire e chiudere il concerto.
Eccoci dunque al nostro uomo.
Oscurità in sala, il suono cristallino del pianoforte: fanno il loro ingresso, timidamente, le note della introduttiva “The Moon Piece”. Il disco bianco di una luna piena (nemmeno troppo celato richiamo al passato “licantropico” dei norvegesi) si accende sullo sfondo. Il suo chiarore è funzionale a far emergere progressivamente dalle tenebre un altro soggetto: un uomo immobile, appeso ad un filo, sospeso ad altezze vertiginose. Egli veste una sorta di abito nobiliare in tweed che parrebbe sullo stile della caccia alla volpe (look che peraltro si ricollega al concept dell’allora ultimo parto discografico “The War of the Roses”). Quell’uomo è calvo, ha gli occhi vuoti e sbarrati, il naso allungato con protesi, la bocca spalancata con un denso rigurgito di sangue che gli cola sulla barba crespa. E’ Mr Todd: un’immagine indubbiamente inquietante, e vi assicuro che, con quella musica, in quella cornice, l’effetto è decisamente suggestivo.
Con le note di “Eos”, accompagnate dalle impressionanti immagini di un fungo atomico (una sorta di “alba nucleare”), entrano in gioco gli Ulver, che, per la cronaca, si renderanno responsabili di una prova convincente su tutti i fronti, a partire dalla scaletta, praticamente perfetta. Essa toccherà più di dieci anni del nuovo corso della carriera della band, da Themes from William Blake’s The Marriage of Heaven and Hell” fino al già citato “Wars of the Roses”, passando dal capolavoro “Perdition City” e dagli album degli anni zero “Blood Inside” e “Shadows of the Sun” (ampiamente rappresentati), senza disdegnare la brillante stagione degli EP.
I brani vivono di vita nuova e gli arrangiamenti funzionano, con il batterista Tomas Pettersen, impeccabile motore ritmico, e i soundscape di Fennesz, vera ciliegina sulla torta, a fare da contorno. L’unica pecca, a mio avviso, è il ricorso agli scioccanti documenti visivi legati al periodo del Terzo Reich e ai fatti dell’olocausto: tutto sommato una provocazione evitabile, nonché una scelta non proprio in linea con l’immaginario tipico della band.
Ma eccoci al finale: le rarefazioni sonore di piano e chitarra confluiscono in “The Leg Cutting Piece”, dove, in tutti i sensi, riemerge Johnstone. Se nella sua prima apparizione sostava immobile in alto nella scenografia, adesso, dal basso, viene lentamente issato su una bizzarra e precaria struttura ad altezze comunque considerevoli: questa volta completamente nudo, con il corpo ricoperto da tintura bianca, le natiche verso il pubblico. E’ piegato su se stesso, aggrappato ad una piccola maniglia posta ai suoi piedi. In questa sorta di drammatica levitazione, i polpacci sono in tensione, le gambe tremano nello sforzo di mantenersi in equilibrio: una scena pietosa, nel senso che suscita pietà, che è commovente, che esprime una sensazione di grade fragilità, con il pianoforte e la chitarra a fare da struggente didascalia.
In questi gesti impercettibili, tanto studiati quanto naturali, vi è il recupero di una umanità che era assente, forse smarrita, all’inizio del viaggio, quando Mr Todd pendeva ad un filo, vestito in modo elegante, ma irrimediabilmente morto.
Nella sua nudità, libero dalle convenzioni, delle sovrastrutture della vita comunitaria, forse dal pensiero razionale, l’uomo rinasce: un percorso ostico, faticoso, irto di difficoltà, ma possibile.
In memory of Ian Johnstone (1967 - 2015)