"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

12 nov 2018

DIECI ALBUM PER CAPIRE IL POST INDUSTRIAL: CONCLUSIONI



Ritual industrial, dark ambient, death industrial, black industrial, martial industrial: questi, più o meno, sono stati gli ambiti che abbiamo deciso di esplorare per dare al neofita un'idea di che cosa fosse il post-industrial

Come si diceva in sede di introduzione, dopo la sua origine ed implosione, il fenomeno della industrial music si è saputo espandere in diverse direzioni. Noi abbiamo imboccato quella che, più delle altre, poteva interessare al popolo metallico. Primo, perché i filoni da noi analizzati hanno comportato, dopo il trionfo delle macchine, un ritorno alla sfera umana, un avviarsi lungo un sentiero spirituale il cui tracciato è stato delineato dagli influssi esercitati dal neo-folk, fenomeno tangenziale all'universo post-industriale. Secondo, perché l'industrial, come il metal, è un genere musicale estremo, forse ancora più estremo, sicuramente più assordante del death-metal, più oscuro del doom, più "malefico" del black. Terzo, perché generi come il dark ambient, il martial industrial e la musica rituale hanno saputo influenzare le propaggini più annichilenti del metal come il drone metal, il funeral doom e lo stesso black metal, sia nella sua variante depressive che in quella più raw e militante.

L'essenziale è già stato raccontato nei dieci capitoli della nostra rassegna, pertanto ci permettiamo di non aggiungere altro e di chiudere il cerchio con coloro con cui tutto aveva avuto principio: i Throbbing Gristle, padri dell'industrial e, nella loro immensità, maestri nel delineare nuovi orizzonti e traiettorie -post

Come si diceva, l'esperienza TG si concluse nel 1981, in quanto, stando agli stessi autori, la missione era stata compiuta. Ecco che però, nell'anno 2007, inaspettatamente il glorioso monicker si riaffacciava sul mercato discografico. Che in realtà la missione non sia stata veramente portata a termine? No, la missione era semplicemente cambiata, perché cambiato, nel frattempo, era il mondo. 

Se "The Endless Not" (questo il titolo dell'album della reunion) non poteva avere l'impatto destabilizzante che ebbe trent'anni prima il seminale "The Second Annual Report", esso ci consegnò degli artisti incredibilmente in forma ed ancora curiosi, intraprendenti, vogliosi di progredire, anche avvalendosi del contributo che nel frattempo avevano fornito i loro discepoli. Inutile precisare che nei nuovi TG confluivano le sonorità post-industriali dei progetti portati avanti in solitaria dai quattro componenti, ossia Psychic TV (capitanati da Genesis P-Orrdige, che nel frattempo si era fatto impiantare il seno, divenendo un inquietante essere androgino), Coil (dove aveva militato Peter Christopherson) e Chris & Cosey (progetto gestito in tandem dai compagni Chris Carter e Cosey Fanni Tutti).

La chirurgica opera di manipolazione e campionamento di Christopherson e le esplorazioni ai sintetizzatori di Carter (pure motore ritmico e responsabile degli aspetti di produzione) costituivano l'ossatura dell'opera, mentre il pregevole lavoro chitarristico di Cosey Fanni Tutti si assestava sul piano della rifinitura noise-psichedelica. Completava il quadro il canto sgraziato di  Genesis P-Orridge, nel frattempo cresciuto come cantante grazie ai lavori dei suoi Psychic TV. 

"The Endless Not" si evolve così all'insegna dell'ecclettismo, un po' com'era successo con il vario "20 Jazz Funk Greats", ma con una accresciuta consapevolezza dei mezzi espressivi. E dopo un doveroso tributo al caos più letale con il pezzo di apertura, l'ottima "Vow of Silence" (temibile crescendo spacca-orecchie in cui il latrato spezzettato di P-Orridge suona come l'urlo isterico di una iena ridens), è una vera sorpresa imbattersi nel piano jazzato che apre la formidabile "Rabbit Snare", incubo lynchano dall'ipnotico incedere, animato dalla strampalata tromba di Cosey e dalla allucinata performance vocale del sempre malatissimo P-Orridge. 

Il discorso proseguirà in un continuo alternarsi di squassanti assalti di insano rumorismo in tipico TG style (i monumentali dieci minuti di "Greasy Spoon") e pezzi di pseudo-cantautorato che richiamano alla mente gli Psychic TV più ispirati (come non citare l'orribile ballad "Almost a Kiss"). Il tutto condito dalle atmosfere electro-trance già ritrovate nei lavori di Chris & Cosey e da un alone mistico che aleggia per tutto l'album e che certo deriva dalle ricerche sonore dei Coil. I riverberi della conclusiva "After the Fall" ci lasciano, oltre che scossi, con l'impressione di essere venuti a contatto con qualcosa di importante. 

Il post-industrial dei TG targati 2007 completa un processo di smaterializzazione che ha infettato, nel corso degli anni, l'industrial originario: un processo che è andato a ricalcare l'iter involutivo del nostro mondo, oramai indirizzato verso una complessità sterile, indomabile e deleteria nei suoi effetti disumanizzanti. Alla pesantezza dei macchinari, alla monumentalità delle fabbriche, alla tangibilità dei bulloni subentrava l'era ICT, un'epoca inafferrabile, dominata non più che dalla coercizione fisica e dalla manipolazione mediatica, ma dalle speculazioni finanziarie, dai processi di globalizzazione, dall'informazione che perde consistenza. E in una società in cui i rapporti interpersonali si instaurano attraverso la Rete, in cui il tuo interlocutore è solo una voce che non ha un volto o semplici parole che scorrono su un monitor di un laptop o sullo screen di un dispositivo mobile, l'assalto rarefatto (scusate l'ossimoro) dei Throbbing Gristle diviene più attuale e penetrante che mai. 

: la Fabbrica della Morte è dentro di noi!