"Parlare di Musica è come ballare di architettura" Frank Zappa

22 nov 2018

I 10 MIGLIORI LIVE ALBUM DEL METAL - "IN LIVE CONCERT AT THE ROYAL ALBERT HALL" (OPETH)



CAPITOLO 10: "IN LIVE CONCERT AT THE ROYAL ALBERT HALL" (2010)


La Royal Albert Hall. Londra. Austera e imponente, è il fiore all’occhiello della zona bene (quella compresa tra Kensington e Chelsea) della metropoli inglese, uno dei suoi centri culturali e artistici.

Dall'inaugurazione, quasi 150 anni fa ad opera della sovrana più amata dai sudditi britannici, la Regina Vittoria, è stata nei decenni teatro delle più svariate manifestazioni, ma gli appassionati di musica la pensano soprattutto come luogo di concerti. Moltissimi Mostri Sacri della musica hanno voluto immortalare su disco e/o, più recentemente, su DVD una propria esibizione alla Hall, quasi che una performance lì fornisse una sorta di “bollino blu” di qualità alla propria carriera.

Dai folkesters irlandesi The Dubliners a Bob Dylan, dagli Who ad Emerson, Lake & Palmer, da Nick Cave a Eric Clapton, passando per i Deep Purple, la Royal Albert Hall ha visto salire sulle sue assi il gotha della musica mondiale.

E in questo gotha, anche loro. Gli Opeth.

Eh si, anche Akerfeldt & co. hanno avuto l’onere e l’onore di esibirsi alla RAH e lo hanno fatto in uno dei momenti più importanti della loro carriera, il 2000, 20esimo anniversario della loro fondazione avvenuta a cavallo tra l’89 e il ’90 in quel di Stoccolma.

“In Live Concert…” è, lo diciamo subito, impegnativo e richiede da parte dell’ascoltatore dedizione e tempo, visto che i Nostri per l’occasione non si risparmiano e ci regalano musica utile a riempire tre CD, per quasi tre ore filate di show (minutaggio nei quali sono compresi anche i dialoghi autocompiacenti dell’umile Akerfeldt).

Se il primo tomo va a riproporre fedelmente l’intero “Blackwater Park” (2001), cioè il disco della “maturità”, da molta critica e pubblico riconosciuto come il loro apice artistico (e questo già sarebbe bastato per darci appagamento uditivo), i restanti due dischi riescono, se possibile, a fare ancora meglio, essendo una sorta di “processione”, un excursus dei restanti otto full lenght pubblicati fino al 2010. Secondo una formula ricorrente (ad esempio i Dream Theater l’avevano utilizzata 4 anni prima per il loro ventennale di carriera, con il monumentale live “Score”), ogni album viene così ricordato con un singolo brano.

Per quanto riguarda il sottoscritto, vecchio nostalgico dei primi lavori del gruppo, l’emozione più grande l’ha donata il secondo tomo, composto dai 4 brani estrapolati dai primi 4 capolavori. “Forest of october”, “Advent”, “April Ethereal” e “The Moor” compongono 56’ di perfezione metallica che valgono un’intera carriera e al contempo dimostrano, sentite così, una di seguito all’altra, la coerente evoluzione/maturazione avuto dal songwriting di Akerfeldt dal 1995 (“Orchid”) al 1999 (“Still life”).

“Wreath”, “Hope leaves”, “Harlquin Forest” e “The lotus eater” è il restante quartetto compreso nel terzo tomo, che rivisita la seconda fase della band (quella che va dall’ottimo “Deliverance” al buonissimo “Watershed”) prima che con “Heritage” (2011) gli Opeth così come li abbiamo sempre conosciuti smettessero di esistere.

Ai fan della prima ora, come il sottoscritto, mancherà la presenza in formazione dei vecchi Peter Lindgren e Martin Lopez ma bisogna ammettere che la resa sonora dell’ensemble non ne risente minimamente e, anzi, il sound complessivo risultato pieno, corposo, piacevolmente stratificato come non mai. Del resto, oggettivamente, Fredrik Åkesson e Martin Axenrot sono, oltre che due musicisti ipertecnici, capaci naturalmente di seguire senza tentennamenti le infinite evoluzioni e cambi d’umore della musica opethiana. E Martin Mendez, dal canto suo, è il solito orologio svizzero con il suo Fender, cuore pulsante a donare corposità e ritmo al tutto.

Ogni minuto di questo live esprime in definitiva il grande potenziale concertistico di un Metal che possiamo definire senza tema di smentite “superiore”, con la M maiuscola, visto che quello composto da Mikael è (era?) profondamente sincretico, capace di fondere diversi sottogeneri in un unicum coerente e compatto.

Ci pare quindi di riuscire a chiudere la nostra Rassegna sui 10 migliori live album del Metal nel miglior modo possibile. E questo perchè, oltre a quanto detto sopra, gli Opeth sono stati per quasi un decennio (che nel Metal corrisponde praticamente a un’era…) la punta di diamante di un intero movimento, riferimento per molte band, capaci di mettere d’accordo deathsters oltranzisti e defenders dell’heavy classico; giovani progsters e scafati rocker settantiani.

Gli “svedesi intelligenti”, secondo una splendida definizione del nostro Mementomori, li vogliamo allora ricordare così, a celebrare (e auto-celebrarsi) per 20 anni di musica che hanno accompagnato, tra esaltazione e lacrime, la crescita, dall’adolescenza alla maturità, di tanti amanti del nostro genere preferito.

Redazione di Metal Mirror compresa...

A cura di Morningrise