Arriviamo alla Piazza delle Feste
del Porto Antico di Genova in ritardo a causa di impreviste problematiche
tecniche al nostro mezzo di trasporto…ci perdiamo quindi, ahinoi, le esibizioni dei No Regrets e dei trentini Chaos Factory, acts che hanno cercato, a partire già dalle 18, di riscaldare l’atmosfera di questo suggestivo spazio a Ponte Embriaco, molo che dà direttamente
sulle acque del Mar Ligure.
Da chi ha invece presenziato dall’inizio ricevo commenti entusiastici sulla terza band in programma nel bill, i Damnation Gallery, combo genovese
autore nel 2018 del loro primo full lenght “Black Stains”. Ve ne daremo
sicuramente conto sul Blog nel prossimo futuro.
Dei milanesi Black Oath facciamo la conoscenza sul filo di lana: entriamo
proprio mentre stanno eseguendo gli ultimi due brani e l’impressione che ci
lasciano è davvero buona per capacità tecniche, presenza scenica e livello dei
brani. Che siano in pista da una dozzina d’anni traspare dalla sicurezza con
cui tengono il palco; un doom esoterico il loro che rimanda direttamente ai
numi tutelari Candlemass con un tocco kingdiamondiano che non guasta mai. Il
fatto che si esibiscano ancora alla luce delle lunghe giornate estive non li
favorisce ma è del tutto evidente che la sostanza ci sia: bravi bravi…
Forse fuori contesto il penultimo gruppo della serata,
apripista dei Death SS, gli ormai storici (attivi da fine anni ’90) Antropofagus. Il loro technical brutal
death viene comunque molto apprezzato dal pubblico, e non solo perchè, da genovesi, "giocano in casa". I Nostri spaccano, riuscendo anche a variare lo spartito di un genere che, per sua natura, ha pochissimi margini di manovra.
Ma, è inutile nasconderlo: siamo
tutti qui per Steve Sylvester e i suoi Death SS. E, verso le 22, ci siamo: sale l’attesa mentre il palco viene predisposto con i consueti microfoni-crocefisso e altri
ossianici ammennicoli. E poco dopo le orrorifiche note registrate di “Ave Satani” precedono
l’esplosione della splendida “Peace of mind”…
Non è nostro interesse descrivere
la prestazione tecnica di Freddy Delirio, Al De Noble, Glenn Strange e Bozo Wolf, né
quella di fare un noioso track-by-track delle due ore di concerto. Basti solo dire che i 18 brani della scaletta si sono
susseguiti come i grani di un rosario (pagano ovviamente) ricostruendo la
Storia 40ennale della band; una scaletta che ha saputo dosare sapientemente
passato remoto (anni 80 e 90), mezza età (ben rappresentata da tre bani di “Panic” del 2000) e le produzioni più recenti. Un’alternanza capace di
attualizzare grandi classici (su tutti “Horrible eyes”, “Where have you gone?”,
“Terror” e “Baphomet”) e classicheggiare i nuovi arrivi (da “Hellish knights” a
“Rock and Roll Armageddon”; da “The crimson shrine” e “Madness of love” alla
rammsteinana “Witches dance” , per chi scrive uno degli highlight della serata).
Quello che ci interessa rimarcare
in questa sede come detto sono altri aspetti. In primis la forma del buon Silvestri: alle soglie dei 59 anni (il nostro è classe
’60), Steve appare fisicamente asciutto, capace di tenere il palco senza
cedimenti e con il suo “strumento” ancora in grado di emozionare: al netto di
qualche leggero cedimento fisiologico (supplito da aiuti tecnici…) la voce ha
retto per 120', non risparmiandosi. Ma soprattutto quello che
stupisce nel 2019 è la capacità del frontman di imbastire ancora concerti che
sono al contempo spettacoli a tutti gli effetti: ad ogni brano una trovata
scenica, foss’essa un particolare gioco di luci, l’impiego di fuochi
d’artificio, o l’utilizzo di colonne di fumo. Non sono mancate le numerose, e molto
gradite, comparsate di un paio di succinte ballerine che, a tema, hanno creato
l’atmosfera giusta per accompagnare i brani (da segnalare il simpatico
siparietto di “Vampire”, quando Steve ha vampirizzato una fanciulla vestita da
suora con piccanti conseguenze sulla stessa…); così come
un megaschermo alle spalle della band che ha fatto la sua parte nel creare il
giusto contesto dei pezzi che si susseguivano.
Ma gettando uno sguardo da una
prospettiva più “alta” è bello e giusto sottolineare come un certo tipo
di metal (quello “classic”, anthemico) è ancora capace di creare “comunità”, spirito
di appartenenza, sentire comune. Lo riconosci dagli sguardi, dal clima sereno e amicale che si respira, dalla gentilezza e dai sorrisi che denoti in chi si urta senza volere. A proposito: la platea, non certo numerosa (meno di 400 gli
astanti), era composta sì da metalheads d’annata
(over 55) ma anche da parecchi under 20, tutti con magliette d’ordinanza delle band più svariate; e poi le immancabili giacche jeans con pletora di toppe che di concerti ne hanno visti a centinaia, e persino
qualche blackish bracciale puntuto. Menzione d’onore per una giovanissima darkettona
con la maglia di Burzum e per un bambino di non
più di 12 anni con una maglietta nera e la scritta sanguigna “murder
metal” (sic!) che, assieme al papà, assisteva in prima fila allo show degli Antropofagus…queste si che sono soddisfazioni genitoriali!
Ma tornando all’attrazione
principale della serata, possiamo concludere sottolineando come a distanza di
4 decenni dalla sua fondazione, il circo horror dei Death SS continui a dare/fare spettacolo e
soprattutto non scada mai nella pagliacciata o nel ridicolo, risultando sempre
credibile e trascinante. E questo è merito di una band affiatata e tecnicamente
preparata, ma soprattutto è merito del suo leader che continua, sia in studio che live, a rinnovarsi nella
tradizione nell'alveo di un progetto che, per forza di cose, deve
portare avanti determinati cliches.
Usciamo dalla Piazza delle Feste
dopo le 24, soddisfatti e consapevoli di aver assistito ad un concerto "di sostanza", con in testa le note della conclusiva “Heavy Demons” che ci risuonano martellanti…ed è una
piacevolissima sensazione…
A cura di Morningrise